di Jan Bentz
CITTA‘ DEL VATICANO, venerdì, 26 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Nell’ambito della XIII Congregazione generale del Sinodo dei vescovi sulla Nuova evangelizzazione, ZENIT ha intervistato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Lei ha partecipato in passato già ad altri Sinodi? E quali sono le sue impressioni del Sinodo in corso?
Card. Kurt Koch: Sono già al mio quarto Sinodo. A due ho partecipato come vescovo di Basilea, cioè al Sinodo straordinario sull’Europa, poi a quello sulla Parola di Dio nel 2008. Nel mio nuovo incarico ho partecipato al Sinodo sul Medio Oriente ed adesso a quello sulla Nuova evangelizzazione. In fin dei conti lo schema è sempre lo stesso, ma il Sinodo mondiale dei vescovi è particolarmente interessante, essendo presenti rappresentanti episcopali da tutto il mondo. Poter cogliere le esperienze di tutti i vescovi è già qualcosa di straordinario, e poi poter sperimentare quanto è diversa la Chiesa nel mondo e allo stesso tempo quanto le problematiche si assomigliano.
Lei è presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il dialogo con i protestanti è proprio molto importante in Germania. Secondo Lei, quali progressi sono stati realizzati ultimamente in Germania e che cosa si può aspettare in concreto del Sinodo?
Card. Kurt Koch: La dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata ad Augusta nel 1999 è stata senz’altro un grande passo avanti nel dialogo ecumenico con i luterani. Rimane adesso il compito di discutere le conseguenze ecclesiologiche di questa dichiarazione congiunta. È chiaro infatti che gli evangelici hanno un’altra comprensione di Chiesa rispetto ai cristiani cattolici. Non basta semplicemente riconoscersi reciprocamente come Chiesa. Serve piuttosto un serio dialogo teologico su cosa costituisce l’essenza della Chiesa.
Per i cristiani evangelici è possibile una soluzione simile alla Anglicanorum coetibus per gli anglicani?
Card. Kurt Koch: Anglicanorum coetibus non è stata un’iniziativa di Roma, ma è partita dalla Chiesa anglicana. Il Santo Padre ha cercato in seguito una soluzione e, secondo me, ha trovato una soluzione molto ampia, nella quale sono state prese ampiamente in considerazione le tradizioni ecclesiali e liturgiche degli anglicani. Se simili desideri verranno espressi dai luterani, allora toccherà rifletterci sopra. L’iniziativa tocca però ai luterani.
Abbiamo sentito durante il Sinodo anche rappresentanti delle Chiese ortodosse. Cosa si profila per il dialogo con gli ortodossi in un prossimo futuro?
Card. Kurt Koch: Gli ortodossi sono attualmente molto presi dalla preparazione del Sinodo panortodosso. Io personalmente sono convinto che quando esso avverrà sarà un grande passo in avanti per il dialogo ecumenico. Perciò dobbiamo sostenere questi sforzi ortodossi ed anche avere pazienza. Nelle commissioni ecumeniche continuiamo il dialogo teologico sul rapporto tra sinodalità e primato.
Molti sostengono che la secolarizzazione è stata provocata anche dalla Chiesa, anche se involontariamente. Non bisognerebbe analizzare maggiormente quali correnti ed atteggiamenti hanno portato ad una secolarizzazione, per poi correggerli?
Card. Kurt Koch: Alcuni storici sottolineano infatti, e giustamente, che lo scisma del XVI secolo e le successive sanguinose guerre confessionali, in particolare la Guerra dei Trent’anni, hanno concausato la secolarizzazione nel senso della privatizzazione della religione. Dato che il cristianesimo era presente solo nella forma di confessioni che si combattevano fino al sangue non poteva più servire da fondamento e garante dell’unità e della pace sociale. Per questo motivo l’incipiente età moderna ha cercato un nuovo fondamento dell’unità, a prescindere dalla religione. Bisogna tener presenti questi processi funesti anche in vista del 500° anniversario della Riforma. Certamente nella storia posteriore dell’età moderna altri sviluppi della secolarizzazione sono sopraggiunti come l’abbandono della questione di Dio, che hanno altri motivi e vanno anche contemplati nel progetto della Nuova evangelizzazione.
Riguardo al Concilio Vaticano II, oggi è molto attuale la discussione sul concetto della “ermeneutica della continuità”. Non è che i due estremi “politici” della Chiesa, cioè tradizionalisti e progressisti, stanno commettendo entrambi lo stesso errore, nel senso che considerano il Concilio una “rottura”?
Card. Kurt Koch: Sì, ma proprio per questo motivo il Papa chiama la sua interpretazione del Concilio non “ermeneutica della continuità” ma “ermeneutica della riforma”. Si tratta di un rinnovamento nella continuità. Questa è la differenza: i progressisti sostengono una ermeneutica della discontinuità e della rottura. I tradizionalisti sostengono una ermeneutica della pura continuità: solo quello che è già rilevabile nella Tradizione può essere dottrina cattolica, per cui praticamente non ci può essere un rinnovamento. Entrambi vedono ugualmente il Concilio come rottura, anche se in modo molto diverso. Il Santo Padre ha messo in questione questa comprensione dell’ermeneutica conciliare della rottura e proposto la ermeneutica della riforma, che unisce continuità e rinnovamento. Questa ermeneutica il Santo Padre l’ha già presentata nel suo primo discorso natalizio nel 2005 e ha dato in questo modo delle indicazioni precise su come interpretare il Concilio e renderlo fecondo per il futuro.
[Traduzione dal tedesco a cura di Paul De Maeyer]