La riscoperta della preghiera del Rosario nell'Anno della Fede

L’intervento di monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Locri-Gerace

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, lunedì, 15 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Con particolare attenzione all’inizio dell’anno della fede mons. Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Locri-Gerace, ha scritto una lettera pastorale con la quale ha invitato tutti i membri della sua diocesi a riconoscere che la preghiera del Santo Rosario «è la più diffusa tra le devozioni popolari e senza dubbio la più amata dal popolo, perché facile da praticarsi in ogni momento e in ogni luogo». E con estremo realismo ha anche sottolineato «quante volte abbiamo visto pregare il Rosario, o noi stessi lo abbiamo fatto, durante un viaggio in treno, mentre aspettavamo il turno presso uno studio medico, o stando a letto malati o insonni al buio durante la notte».

Dopo aver ricordato che le origini di questa pia pratica religiosa risalgono forse a un millennio e che lungo i secoli i Pontefici hanno sempre incoraggiato i credenti a praticarla, soprattutto perché molte volte è stata suggerita nelle apparizioni private della Vergine, mons. Morosini ha richiamato la tradizione secondo la quale il mese di Ottobre è specificamente dedicato alla recita del Rosario. E la decisione liturgica di celebrare il 7 ottobre la festa della Madonna del Rosario ha avuto per lui come effetto che il popolo cristiano si è sentito invitato a «dedicare l’intero mese alla recita solenne di questa preghiera, con la quale, alla ripetizione delle preghiere semplici del cristiano (Padre nostro, Ave Maria e Gloria al Padre), si unisce la meditazione dei misteri della vita del Signore Gesù. Mentre le labbra si muovono nella preghiera di invocazione, il pensiero si sofferma sulla vita del Signore e il cuore sostiene l’uno e le altre perché la Vergine Maria, con cuore di madre, ci faccia raggiungere la comunione piena con il Signore».

Consapevole che, nonostante la semplicità della sua impostazione, mons. Morosini ricorda che il Rosario, poiché favorisce una profonda esperienza di comunione anche per i credenti meno dotti, «è entrato nel cuore di tutti i fedeli cattolici, sostenuto in ciò anche dalla Chiesa, che ne ha raccomandato la recita, definendola la devozione alla Madonna per eccellenza». E facendo riferimento alla proposta di Benedetto XVI di dare vita all’anno della fede, che consente anche di rivedere la religiosità popolare perché possa essere purificata da ogni sovrastruttura, ha dichiarato che «la preghiera del Rosario può essere quella forma di preghiera che tiene uniti l’aspetto popolare e la solennità della forma liturgica, anche se non rientra nella liturgia ufficiale della Chiesa. Ma se guardiamo all’uso che nel passato ha fatto del Rosario il popolo di Dio, ci sentiamo sollecitati tutti a ritornare a questa preghiera, che ci aiuta a raggiungere gli obiettivi dell’anno della fede».

Effettuando un richiamo alla vita che diventa preghiera, mons. Morosini ha poi evidenziato che «recitando il Rosario ci sentiamo come avvolti dalla preghiera. Molti di noi conservano ancora il ricordo della famiglia riunita alla sera per la preghiera; o quella di più famiglie che, all’imbrunire, quando si ritornava dai campi, si mettevano assieme per la recita comune del Rosario: tutti percepivano viva la presenza di Dio e la necessità di ricorrere a lui per avere pace interiore e forza per affrontare la vita. Le tensioni cedevano il passo a una serenità senza pari e si ritrovava la forza per ricominciare, senza esasperare conflitti e contrapposizioni, senza creare inutili drammi. Sentivano la verità delle parole di Gesù: Dove sono rinite due o tre persone nel mio nome, lì sono presente anche io. Recitando questa preghiera semplice o nella semplicità della casa o dei luoghi di lavoro, viaggiando, passeggiando, si ha la sensazione di essere trasportati dalla preghiera; come se la vita scivolasse tranquilla su di un fondo calmo e sereno».

Il successivo richiamo che Gesù è al centro della vita costituisce per il Vescovo di Locri-Gerace che «uno degli obiettivi dell’anno della fede è quello di riportare Gesù e la sua parola al centro della propria vita. È uno dei primi passi per la purificazione della fede. Esistono troppe incrostazioni devozionistiche che mettono al centro della pratica religiosa la Madonna e i Santi, spesso con una religiosità tutta esteriore e senza alcun aggancio con il Vangelo. La preghiera del Rosario, facendoci meditare su quanto Gesù ha fatto per la nostra salvezza, anche se recitiamo le Ave Maria alla Madonna, ci fa capire che al centro c’è solo lui. La Madonna nella recita del Rosario in modo particolare ci indica Gesù come l’unico Salvatore: Fate tutto quello che egli vi dice di fare».

Di particolare accoglienza nella sua lettera pastorale è la dichiarazione di mons. Morosini che il S. Rosario è per eccellenza la preghiera della famiglia. «Molti di noi ricordano ancora gli anni della propria infanzia in famiglie quasi patriarcali con la presenza di zii e di nonni, quando alla sera la recita del Rosario era l’atto che faceva sentire la famiglia unita e abbandonata alla provvidenza di Dio. Nostalgia di un passato ormai finito per sempre? No, un esempio da riproporre, un’esperienza da rifare. L’anno della fede scommette molto sulla famiglia, sulla sua capacità di raccontare la fede e non solo di provvedere a chiedere sacramenti, che per tanti hanno perso al loro interno il legame profondo con la fede autentica. Se la recita del Rosario riporta di nuovo la famiglia a riunirsi e a pregare, sarà più facile che in essa si stabilisca un clima di comunione e di attenzione  non solo alla trasmissione della fede, ma al mantenimento di quella stabilità la cui mancanza è una delle piaghe più terribili della nostra società».

E l’invito a provare l’autenticità e l’efficacia di tale esperienza avrà come effetto che la preghiera costituisce un profondo ed esistenziale tuffo nella speranza. Infatti è realistico il riconoscimento che il fedele quando prega non solo si sente avvolto da Dio e circondato dal suo amore, ma soprattutto guarda al suo futuro in questo mondo e nell’altro con occhi di speranza. Ciò vuol dire, e lo ribadisce con estrema convinzione mons. Morosini, che «Dio non viene meno alle sue promesse, e perciò anche le difficoltà più grandi l’uomo può superarle. Nel Rosario, però, il ripetersi continuo nell’Ave Maria dell’invocazione e nell’ora della nostra morte, ci fa sentire più viva la vicinanza della Vergine Maria e con essa quella di Dio». E continuando a riproporre la devozione del Rosario nel corso dell’anno della fede effettua un richiamo alla morte che definisce «il balzo doloroso e drammatico verso l’eternità nel quale fa capolino Maria, la Madre degli uomini che sta accanto al letto di ogni morente, come stava ritta presso la Croce di Gesù, e intercede presso Dio». E come conseguenza fortemente esistenziale ribadisce che «il pensiero della morte rimane sempre una possibilità per inquadrare bene la vita, non attaccarsi ai suoi beni, sapendo che dobbiamo lasciarli».

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ZENIT Staff

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