I mistici e gli angeli (Prima parte)

Non vi è vita da santi che non narri il loro intervento

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di don Marcello Stanzione 

ROMA, domenica, 14 ottobre 2012 (ZENIT.org).– Occorrerebbe un massa di grossi volumi per contenere il racconto di tutti gli interventi degli angeli nelle vite dei santi. Noi abbiamo visto come i giusti di Israele nella Bibbia li incontravano nel deserto od all’ombra di un santuario. Si sa ch’essi annunciarono ai pastori la nascita del Salvatore cantando” Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini di buona volontà”, che servirono il Signore dopo la Tentazione nel deserto e che uno di essi lo consolò durante la sua agonia; che due altri, vestiti di bianco, rovesciarono la pietra del sepolcro al mattino della Resurrezione, che accompagnarono l’Ascensione del Signore mentre uno di essi esortava gli Apostoli. E’ inutile infine rammentare l’intervento di Gabriele nell’Annunciazione e l’avvertimento angelico dato ai Magi ed a san Giuseppe.

Gli Atti degli Apostoli riportano come un angelo liberà san Pietro, prigioniero di Erode. La storia dei primi cristiani ci mostra gli angeli che sostengono il coraggio dei martiri e talvolta guariscono le loro piaghe. Uno di questi primi cristiani, Saturnino, compagno delle sante Perpetua e Felicita, raccontò prima di morire questa visione: “Noi abbiamo subito il martirio ed eravamo usciti dalla carne; quattro angeli cominciarono a portarci verso Oriente, le loro mani non toccavano i nostri corpi. Giungemmo allora in un luogo vasto che rassomigliava ad un vigneto, con dei roseti ed ogni tipo di fiori. Là vi erano altri quattro angeli, più luminosi dei primi. Come ci videro, ci salutarono e dissero ai quattro angeli: eccoli, eccoli!, con ammirazione”.

Santa Cecilia, sposata ad un giovane pagano chiamato Valeriano, seppe convincerlo a farsi cristiano ed a consacrarsi a Dio come lei, e due angeli apparvero per deporre sulla testa degli sposi delle corone di rose, così come  riporta una pia tradizione.

Non vi è vita da santi che non narri l’intervento degli angeli. Essi portano il pane agli eremiti nel deserto dell’Egitto o nelle foreste  della Gallia e della Germania; guidano le barche dei monaci d’Irlanda, che solcarono l’Oceano per estendere il regno di Cristo. Aiutano quelli che  lavorano a beneficio dell’umanità, come l’abbiamo già narrato a riguardo di san Giovanni di Dio. Si dice così che i santi angeli lavoravano in cucina per san Gerardo Maiella e per altri ancora; che impastarono il pane per santa Zita, una povera serva che viveva a Lucca, in Italia; che gli angeli ancora custodivano spesso il gregge di santa Germana di Pibrac; che menavano i buoi di sant’Isidoro il lavoratore: questi  viveva nel XII secolo vicino a Madrid. “La bontà del suo cuore, si dice, si estendeva a tutti i poveri, ed anche agli uccellini ch’egli nutriva col grano durante l’inverno”. Tutto questo accadeva molto tempo fa; ma, molto più vicini a noi, interventi dei santi angeli si sono prodotti e si producono ancora certamente. Così fu aggiustata per miracolo la cella della piccola suora Maria Céline, clarissa al monastero di Talence, vicino a Bordeaux.

Ma come non ammirare le prove  di tenerezza angelica che ci riportano le antiche cronache? Noi abbiamo già visto l’arcangelo Raffaele aiutare santa Maria Francesca a spostare la sua sedia od a tagliare il suo pane. Ecco una religiosa del XV secolo, la beata Elisabetta, soprannominata “la Serva” (la si chiama anche la Beata Elisabetta di Reute e la si festeggia il 25 novembre). Ella è malata e nessuno la cura, la si dimentica.  Dio ha permesso un tale abbandono per provare la pazienza di Elisabetta. Questa non testimonia né amarezza né angoscia; al contrario, ella rende grazie a Gesù di soffrire abbandonata come Lui. Allora, gli angeli giungono, aggiustano il suo letto, la ripongono dolcemente sulla sua branda, ed ella guarisce.

Gli angeli consolavano  con celesti melodie la beata Margherita di Savoia. Avvisavano santa Solange, la pastorella del Berry, che era tempo di rientrare le sue pecore quando era assorta nella sua preghiera, così vicina a Dio che avrebbe dimenticato quello che accadeva sulla terra. Ed anche, gli angeli venivano a giocare con una bambina che si chiamava Lucia di Narni e che viveva in Italia, nel XV secolo: le persone del vicinato la vedevano danzare in girotondo, con le braccia tese, come se facesse parte di una catena di amiche invisibili; ella si divertiva con gli angeli e trovava ciò così naturale che si meravigliava molto di essere la sola nel vederli e sentirli. I vicini avevano finito col comprendere e dicevano: “Vedete dunque la piccola Lucia che fa il girotondo con gli angeli!”.

Più tardi, dopo aver molto sofferto, ella è diventata Beata.

Verso la stessa epoca, a Mantova, viveva un’altra fanciulla molto pia, chiamata Osanna, od Ozanna; ella anche riceveva spesso la visita degli angeli. Un giorno, una voce mormorò molto dolcemente al suo orecchio: “Fanciulla, la vita a la morte consistono nell’amare Dio”.

E, subito, ella si trovò in Paradiso, dove scorse tante meraviglie che sarebbe impossibile descriverle.

“Bambina mia, disse l’angelo, questa grande gioia non ti sarà data  a meno che  tu ami veramente e con tutto il cuore il nostro Padre del cielo. Tutte le creature cantano la sua gloria, e quello che dicono gli uccelli, quello che si può leggere sui fiori, è:  Amate Dio, poiché egli ha tratto dal nulla tutte le cose per ottenere il vostro amore”.

Santa  Rosa da Lima, che fu la prima santa americana. Ella amava Dio con un sì grande amore che faceva continuamente  penitenza per espiare i peccati che si commettono in ogni istante nel mondo. Ella viveva nella sua  famiglia, ma come avrebbe vissuto una religiosa nel suo convento. Per devozione per la  Santa Vergine, ella aveva preso il nome di Rosa di Santa Maria. Pregava, meditava, rinchiusa nella sua stanzetta e, attraverso la sua finestra, ella non vedeva altro che un grande albero.

Ora, durante la quaresima in cui Rosa faceva più mortificazioni del solito, nell’ora in cui il sole cala, un uccellino si poggiava sull’albero e cantava con voce incantevole. Rosa dimenticava allora la sua  fatica, la sua debolezza e si chiedeva se l’uccello fosse un angelo o l’inviato di un angelo: di certo, veniva dal cielo.

Talvolta, nel suo ardore di mortificarsi, Rosa rischiava di nuocere alla sua salute ed ella non vi prestava attenzione.

Una sera, una delle sue migliori amiche, la signora Usatégui, ebbe l’idea di inviare a Rosa una grande tazza di cioccolata calda: subito quell’idea le sembra ridicola: la sua amica non prende normalmente cioccolato e non ne ha certamente bisogno. L’idea ritornò  comunque e la perseguì come se qualcuno, giù, gliela ispirasse.

“Presto, comanda  alla sua serva, fate del cioccolato e portatelo alla mia amica Rosa di Santa Maria”.

In quel momento, Rosa, nella sua cella, era sul punto di svenire. Ella digiunava da così lungo tempo che le sue forze l’avevano lasciata al punto che non poteva neanche chiedere soccorso. Nessuno, a casa sua, pensava che fosse malata.  Si era abituati ai suoi prolungati ritiri nella sua stanzetta e nessuno  veniva a vedere quello che avveniva. Come ondeggiava, pronta a cadere, la porta si apre: è la serva della Signora Usatégui, con una tazza d’argento pieno di cioccolato ben caldo. Quando quella signora apprese in quale stato la sua serva aveva trovato Rosa, ella gridò: “Sono ben certa ora che è il mio angelo che mi ha ispirato quel pensiero!”.

[La seconda parte verrà pubblicata lunedì 15 ottobre]

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ZENIT Staff

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