CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 11 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il riassunto dell’intervento tenuto nel pomeriggio di mercoledì 10 ottobre dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
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Mi riferisco al numero 73 dell’Instrumentum laboris: “Il contesto interreligioso e il confronto con le grandi religioni dell’Oriente viene salutato come un’occasione fornita alle nostre comunità cristiane di approfondire la comprensione della nostra fede, grazie agli interrogativi che un simile confronto suscita in noi…”.
Alcuni cristiani, ignorando spesso il contenuto della loro fede e incapaci quindi di viverla e di viverne, non sono adatti al dialogo interreligioso che inizia sempre con l’affermazione delle propie convinzioni: non c’è posto per il sincretismo o il relativismo! Di fronte ai seguaci di altre religioni con un’identità religiosa forte, occorrono cristiani motivati e preparati dal punto di vista dottrinale. Per questa ragione, la nuova evangelizzazione è una priorità, al fine di formare cristiani coerenti, capaci di rispondere della propria fede, mediante parole semplici e senza paura.
Il dialogo interreligioso diventa così un’occasione di approfondimento e di testimonianza della fede. Credo che oggi i cristiani debbano far fronte a tre sfide:
-La sfida dell’identità: chi è il mio Dio? La mia vita è in sintonia con le mie convinzioni?
-La sfida dell’alterità: colui che pratica una religione diversa dalla mia, non è necessariamente un nemico, ma piuttosto un pellegrino della verità.
-La sfida del pluralismo: Dio opera in ogni persona, attraverso vie che solo Lui conosce (AG, 7).
Certo, non si tratta di mettere tra parentesi la nostra fede, di arretrare di fronte alle persecuzioni e alle discriminazioni di cui sono vittime molti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nel mondo, in particolare cristiani. Bisogna invece denunciare con il massimo vigore la violenza che ferisce e uccide, ancor più ingiustificata quando si fa scudo dietro una religione.
Tuttavia, dobbiamo citare anche aspetti positivi come l’amicizia nella quotidianità, che si esprime con gesti di fraternità e di vicinanza. L’armonia tra credenti dà spesso alle società di cui essi fanno parte una dimensione spirituale della vita, antidoto alla disumanizzazione e ai conflitti.
Penso, per esempio, alle giornate che abbiamo appena vissuto in Libano. Ha ricordato, Santo Padre, che il vivere insieme implica la fiducia nell’altro, il rifiuto della vendetta, il riconoscimento dei propri sbagli e il coraggio del perdono. La cito: “Solo allora può crescere la buona intesa tra le culture e le religioni, la stima delle une per le altre senza sensi di superiorità e nel rispetto dei diritti di ciascuna” (Palazzo Presidenziale di Baabda, 15.09.12). E abbiamo sentito il Mufti della Repubblica affermare: “Per noi musulmani, i cristiani sono una ricchezza”. Bisogna sottolineare anche che la rete televisiva Al Jazeera ha praticamente trasmesso in diretta i diversi incontri di questo viaggio apostolico, il cui messaggio ha potuto raggiungere così milioni di famiglie musulmane.
In mezzo a tanti timori, è utile citare questi segni positivi che lastricano il lungo cammino che conduce al dialogo sereno e fecondo.
Il 28 ottobre 1965 i Padri conciliari, riferendosi alle tradizioni religiose orientali, non esitavano a affermare che “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni… (che) non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.” (Nostra Aetate, n. 2). Possiamo forse applicare questo principio ad altre religioni.
In tutti i casi, nonostante le difficoltà, le ambiguità e i passi indietro, nessuna delle parti impegnate in questo dialogo tra credenti l’ha rimesso in discussione! Forse perché, qua e là, alcuni uomini e alcune donne hanno avuto il coraggio di perseverare, dimostrando così che il credo religioso ispira la pace, incoraggia la solidarietà, promuove la giustizia e difende la libertà.