di padre Angelo del Favero*
ROMA, giovedì, 4 ottobre 2012 (ZENIT.org).
Gen 2,18-24
“Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”.
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo.., ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e racchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta”.
Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.”.
Mc 10,2-16
“In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”.
Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto””.
L’essenza dell’istituzione divina del matrimonio è rivelata da queste semplici parole “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gen 2,18).
Poiché dunque Dio ha creato la donna come “aiuto” dell’uomo e ha creato l’uomo come “aiuto” della donna, è necessario domandarci: in che cosa entrambi hanno bisogno di essere aiutati?
Il testo sacro risponde per mezzo del pensiero stesso del Creatore: “Non è bene che l’uomo sia solo”. L’aiuto divino consiste nel far sì che l’uomo e la donna non siano e non vivano “soli”.
Ovviamente, non si tratta del rimedio alla solitudine di “specie” (tutti gli animali sono creati in coppia); l’uomo, infatti, creato a immagine di Dio, è persona, e come tale non può essere se stesso da solo e non può essere felice da solo, non può sopportare la solitudine dello spirito.
Ecco cosa significa per l’essere umano il dono e il compito di essere creato “a immagine di Dio” (Gen 1,27):
“Ciò che nella Trinità è la misteriosa immanenza delle persone, tra le persone umane deve essere riprodotto analogicamente in una donazione totale, in una reciproca accettazione totale, in una condivisione totale; è l’ideale di estrema perfezione, è generosità completa, è amore, è carità che nel sacramento del Matrimonio è legge e dovere sorretto dalla grazia. A tale altezza conduce il sacramento dl Matrimonio negli sposi che divengono immagine della unità e trinità di Dio” (G. Ferraro, Il Rito del Matrimonio nella celebrazione dell’Eucaristia, p. 135).
Certo, molte persone vivono di fatto da sole, ma ciò non vuol dire che siano costrette a vivere in solitudine. Infatti, la solitudine che avvilisce e contraddice l’uomo non è quella fisica, ma quella morale e spirituale, conseguenza della scelta esistenziale di un ego-ismo totalmente chiuso nel proprio mondo.
All’opposto, anche chi vive da solo può realizzarsi felicemente come persona, coltivando relazioni autentiche nella verità e nella carità’, a partire dalla propria vita interiore.
Ma entriamo nell’ambito matrimoniale.
L’affermazione divina: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gen 2,18), oggi più che mai induce a sollevare un’obiezione: che senso ha continuare una relazione tra due persone sposate, la quale sia diventata così reciprocamente non-corrispondente da essere logorante e distruttiva?
E ancora: come capire, prima del Matrimonio, se lei (lui)..corrisponde veramente a lui (lei)?
Sembra essere anche quest’incertezza e quest’esigenza la ragione per cui nella società attuale, caratterizzata dall’effimero e dal rifiuto culturale della ‘definitività’, la coppia sceglie la “convivenza” e la “separazione” piuttosto che l’indissolubilità del matrimonio.
Al riguardo, il beato Giovanni Paolo II ha scritto: “L’uomo e la donna, il cui amore non è maturato profondamente, né ha acquisito il carattere di una reale unione delle persone, non dovrebbero sposarsi, in quanto non sono pronti ad affrontare la prova rappresentata dal matrimonio. D’altra parte, quel che importa, non è tanto che il loro amore sia già pienamente maturo al momento del matrimonio, quanto che sia suscettibile di evolversi nel quadro del matrimonio e grazie ad esso” (K. Wojtyla, Amore e responsabilità, Ed. Marietti, p. 159).
Spesso è proprio il crogiuolo di una vita a due, per anni irrigata da fiumi di lacrime, che matura in divino l’amore umano di un coniuge o di entrambi, ma per chi fa la scelta di uno stato di vita in cui manca l’aiuto della grazia sacramentale (come nella convivenza o nel matrimonio civile), ciò sarà pressoché impossibile, come fa intendere questo bellissimo testo: “Il sacramento del Matrimonio, portando secondo la grazia sua propria al culmine l’attuazione del Battesimo e della Cresima, rende gli sposi intensamente partecipi del mistero trinitario; negli sposi viene stampato il volto umano e divino di Gesù Cristo e della Chiesa; viene loro conferita una nuova grazia, che li rende capaci di amarsi per sempre in questa vita attuando il mistero della carità ardente tra le persone divine, partecipazione del mistero dell’amore infinito tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.” (id., p.134).
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.