Genesi laboriosa e contrastata del decreto "Ad Gentes"

L’esperienza di padre Piero Gheddo, del Pime, al Concilio Vaticano II (1962-1965)

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di padre Piero Gheddo

ROMA, domenica, 30 settembre 2012 (ZENIT.org).- Il Decreto Ad Gentes è stato l’ultimo documento approvato nell’ultimo giorno di lavoro del Vaticano II, il 7 dicembre 1965. I molti temi discussi e la loro complessità si presentavano già prima dell’inizio del Concilio come una montagna difficile da scalare. Al termine della prima sessione del Concilio (ottobre-dicembre 1962), sebbene i risultati concreti nel campo missionario fossero ancora pochi, il Concilio aveva però manifestato le sue finalità più importanti, le mete a cui tutti i lavori tendevano: il rinnovamento pastorale per la ricristianizzazione del mondo cristiano, il riavvicinamento ai Fratelli separati in vista dell’Unione e una chiara “apertura missionaria” data a tutti i problemi in discussione.

Per il decreto Ad Gentes, nella fase anti-preparatoria al Concilio (17 maggio 1959 – 5 giugno 1960) si sono consultati tutti coloro che avevano diritto di esprimere il loro parere, con i loro “voti” stampati in grossi volumi (quello sull’Asia di 662 pagine, sull’Africa di 580 pagine). La commissione “De missionibus” si riunisce la prima volta il 24 ottobre 1960 con 57 membri, sotto la presidenza del card. Pietro Agagianian prefetto di Propaganda Fide: si formano cinque sottocommissioni.

Nel 1961-1962 la commissione preparatoria lavora attivamente e stampa sette schemi di testi per altrettanti argomenti da discutere nell’aula conciliare. Nel 1962 Giovanni XXIII nomina i membri della commissione missionaria del Concilio (16 eletti e 9 nominati), con i “periti” (una trentina, fra i quali anche il sottoscritto), che partecipano alle riunioni plenarie della commissione, la prima il 28 ottobre 1962, la seconda dal 20 al 29 marzo 1963 per il completo rifacimento dello schema, ecc.

Il decreto Ad Gentes ha avuto un cammino quanto mai laborioso e contrastato. Seguendo il suo “iter” e parlandone con diversi membri della commissione, molto più esperti di me, concludevamo dicendo: chissà come faremo a venirne fuori! Le proposte erano così tante e contrapposte, i tempi così stretti… Arrivavano continuamente suggerimenti nuovi e contraddittori, in aula i vari testi erano rimandati alla commissione con molti iuxta modum da inserire (testo approvato, ma con richieste di cambiamenti); in commissione pochi lavoravano a tempo pieno, la maggioranza non avevamo tempo o competenza sufficiente. Le difficoltà per la redazione venivano soprattutto da cinque dati di fatto:

1) Già a partire dal primo schema, tutto era provvisorio: si doveva attendere lo svolgimento e l’approvazione di altri schemi (sulla Chiesa, la liturgia, i vescovi e il clero, l’ecumenismo, le religioni non cristiane, ecc.) per poter orientare e concludere il lavoro sulle missioni.

2) La missione ad gentes si esercita (in dipendenza da Propaganda Fide) in ogni continente, comprese alcuni parti d’Europa (Albania per esempio), in una varietà quasi infinita di situazioni. Non era facile stilare un documento che andasse bene per tutti: le esigenze e le soluzioni proposte dai padri conciliari erano molto diverse a seconda dei continenti. Per fare solo un esempio che ricordo bene: dalle Chiese asiatiche, ricche di vocazioni e con un’antica tradizione celibataria nelle religioni locali, si insisteva nella richiesta di mantenere il celibato sacerdotale; dall’America Latina e dall’Africa, c’era invece la richiesta di discutere il tema e alcuni episcopati ne chiedevano l’abolizione o l’ammissione di clero sposato a certe condizioni. Invece, l’inculturazione e il dialogo interreligioso interessavano soprattutto l’Asia, molto meno gli altri continenti.

3) Nel tempo del Concilio si verificavano cambiamenti molto rapidi e radicali nel mondo non cristiano, che rendevano problematico il futuro delle missioni: indipendenza delle giovani nazioni, presa di coscienza delle loro culture e religioni, forti opposizioni ai missionari stranieri, moltiplicazione dei vescovi indigeni, urgenza di misure forti per “inculturare” il Vangelo, rapporti difficili fra Chiesa e autorità politiche, mancanza di norme per la partecipazione delle diocesi dei paesi d’antica cristianità all’attività missionaria (la Fidei Donum aveva suscitato un grande fervore missionario nelle diocesi, ma i vescovi delle missioni si lamentavano di vari inconvenienti), ecc. Lo schema da discutere in aula, preparato prima del Concilio, secondo una visione tradizionale delle missioni, prestava scarsa attenzione ai problemi nuovi. Era troppo diverso da quello che i padri conciliari indicavano nei loro interventi. Si ebbero forme di protesta di singoli vescovi e anche di due o tre conferenze episcopali (mai giunte alla ribalta della stampa), che avevano impressionato i membri della commissione, a quel tempo non abituati a forme ruvide di “contestazione”.

4) Le difficoltà aumentano quando il 23 aprile 1964, fra la II e la III sessione conciliare, la segreteria del Concilio manda una lettera alla nostra commissione delle missioni: lo schema deve essere ridotto a poche proposte. Non più un testo lungo e ragionato, ma un semplice elenco di proposte! Il tentativo era di semplificare i lavori del Concilio e farlo terminare con la III sessione (14 settembre – 21 novembre 1964). Alcuni testi basilari potevano essere abbastanza ampi; altri, ritenuti meno importanti, dovevano limitarsi a poche pagine di proposte. Era voce comune che le spese per i padri conciliari (circa 2.400 in tutto) e la macchina del Concilio erano del tutto insostenibili per la S. Sede. Pare siano poi intervenuti gli episcopato più ricchi, specie quello americano e il card. Spellman di New York, espansivo e simpatico personaggio simbolico della potenza americana, sul quale e sui suoi interventi in latino (la lingua del Concilio) giravano aneddoti gustosi.

La commissione delle missioni lavora a spron battuto (nottate di lavoro) per aderire a questa richiesta, formulando 13 proposte. Poi, appena la notizia si diffonde fra i vescovi, arrivano le proteste, alcune veementi come quella del card. Frings di Colonia, che manda lettere ai vescovi tedeschi e ad altri, sollecitandoli a protestare: “Ma come! Si afferma che lo sforzo missionario è essenziale per la Chiesa e poi si vuol ridurlo a poche pagine? Incomprensibile, impossibile, inaccettabile”.

Vista la situazione, un gruppo di vescovi chiedono di abolire il documento sulle missioni, integrando il materiale nella costituzione Lumen Gentium (sulla Chiesa); altri invece, più numerosi e agguerriti (c’erano dentro missionari di foresta, che solo al vederli non si poteva dir loro di no), procedono a contatti personali, uno per uno, con tutti i padri conciliari, conquistando seguaci. La battaglia in aula si conclude in modo felice: solo 311 padri conciliari si pronunziano a favore del documento sulle missioni ridotto a 13 proposte, 1601 chiedono che il decreto missionario sia salvato nella sua interezza. Il Concilio non termina con la III sessione, ma si prolunga nella IV, la più lunga di tutte: 14 settembre – 8 dicembre 1965. Come si è giunti al testo finale con tante altre difficoltà lo dirò in un prossimo Blog.

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ZENIT Staff

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