Sui principi non-negoziabili non si può patteggiare

Durante il discorso ai rappresentanti dell’Internazionale democratico-cristiana, Benedetto XVI ha ribadito il legame tra crisi economica e crisi morale

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di Massimo Introvigne

CASTEL GANDOLFO, domenica, 23 settembre 2012 (ZENIT.org) – Il 22 settembre 2012 Benedetto XVI ha ricevuto a Castel Gandolfo il comitato esecutivo dell’Internazionale democratico-cristiana, pronunciando un importante discorso sull’impegno politico dei cattolici ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa, che «non deve conoscere flessioni o ripiegamenti, ma al contrario va profuso con rinnovata vitalità, in considerazione del persistere e, per alcuni versi, dell’ag­gra­var­si delle problematiche che abbiamo dinanzi».

Come di recente fa spesso, il Papa è partito dalla crisi economica internazionale, occasione per «cogliere nelle trasformazioni in atto l’incessante quanto misteriosa presenza di Dio nella storia». Per chi sa leggere in questo modo la storia, diventa evidente che la crisi economica non è soltanto né principalmente economica, ma è stata anche determinata dal venire meno di «un solido fondamento etico».

Se la crisi non è principalmente economica, neppure la via d’uscita dalla crisi potrà essere principalmente tecnica ed economica. Al contrario, dovrà partire dalla «promozione e la tutela della inalienabile dignità della persona umana» e dall’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II, che «oggi risuona quanto mai attuale», secondo cui «nell’ordinare le cose ci si deve adeguare all’ordine delle persone e non il contrario» (Gaudium et spes, 26).

Ma il discernimento di questo «ordine delle persone» non può avvenire seguendo mode passeggere o preferenze soggettive: «non può procedere senza una costante attenzione alla Parola di Dio ed al Magistero della Chiesa». Purtroppo, anche presso esponenti politici che si dicono cattolici, questo discernimento non si può dare per scontato.

«Sono purtroppo molte e rumorose le offerte di risposte sbrigative, superficiali e di breve respiro ai bisogni più fondamentali e profondi della persona. Ciò fa considerare tristemente attuale il monito dell’Apostolo, quando mette in guardia il discepolo Timoteo dal giorno “in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole” (2Tm 4,3)».

Per l’ennesima volta, il Pontefice ha ribadito – e la frequente ripetizione è resa necessaria dal fatto che questo chiaro insegnamento del Magistero troppo spesso non è ascoltato – che il primo criterio di discernimento politico concerne «gli interessi più vitali e delicati della persona, lì dove hanno luogo le scelte fondamentali inerenti il senso della vita e la ricerca della felicità». Questa formula rimanda a quelli che il Papa ha chiamato in altre occasioni principi non negoziabili, nozione tecnica che si riferisce a tre soli valori – la vita, la famiglia e la libertà di educazione – e che non può essere stravolta da chi, in nome magari delle alleanze politiche, inventa nuovi principi non negoziabili o magari considera non negoziabile anzitutto un ministero o un assessorato.

Benedetto XVI non si stanca di continuare a enunciare i tre principi non negoziabili, non già per dichiarare gli altri principi e valori irrilevanti, ma per ribadire che questi tre criteri, quando si compiono scelte politiche, devono venire prima e prevalere su tutti gli altri. «Il rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale – con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica – è un impegno che si intreccia infatti con quello del rispetto del matrimonio, come unione indissolubile tra un uomo e una donna e come fondamento a sua volta della comunità di vita familiare.

È nella famiglia, “fondata sul matrimonio e aperta alla vita” (Discorso alle Autorità, Milano, 2 giugno 2012), che la persona sperimenta la condivisione, il rispetto e l’amore gratuito, ricevendo al tempo stesso — dal bambino al malato, all’anziano — la solidarietà che gli occorre. Ed è ancora la famiglia a costituire il principale e più incisivo luogo educativo della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per aiutarli a trarre fuori (“e-ducere”) il meglio di sé».

Il primato dei tre principi non negoziabili significa che un cattolico, nello scegliere i suoi rappresentanti politici e anche le sue e loro alleanze, non potrà mettere al primo posto le ricette per risolvere i problemi del lavoro e dell’economia ma dovrà sempre considerare i tre principi come criterio discriminante. Non posso scegliere chi propone l’eutanasia o il matrimonio omosessuale, anche se sono convinto in buona fede che le sue ricette per la crisi dell’economia e del lavoro siano migliori di altre.

A chi parla di progresso sociale, il Papa ricorda che «un autentico progresso della società umana non potrà dunque prescindere da politiche di tutela e promozione del matrimonio e della comunità che ne deriva». E nel discorso vi è anche un elemento di novità, quando a proposito di queste politiche il Pontefice precisa che «spetterà non solo agli Stati ma alla stessa Comunità internazionale adottar[l]e, al fine di invertire la tendenza di un crescente isolamento dell’individuo, fonte di sofferenza e di inaridimento sia per il singolo sia per la stessa comunità».

Naturalmente i pronunciamenti degli organismi internazionali su temi come l’aborto o il matrimonio tra omosessuali vanno oggi piuttosto in senso contrario, ma le parole del Papa rappresentano un monito e una sfida, specie per i politici cattolici. Infatti, «se è vero che della difesa e della promozione della dignità della persona umana “sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1929), è altrettanto vero che tale responsabilità concerne in modo particolare quanti sono chiamati a ricoprire un ruolo di rappresentanza» politica.

E «utilmente risuona in questo senso il monito del libro della Sapienza, secondo cui “il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto” (Sap 6,5); monito dato però non per spaventare, ma per spronare e incoraggiare i governanti, ad ogni livello, a realizzare tutte le possibilità di bene di cui sono capaci, secondo la misura e la missione che il Signore affida a ciascuno».

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ZENIT Staff

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