di Elisabetta Pittino
ROMA, sabato, 22 settembre 2012 (ZENIT.org) – Il monologo non è per tutti, si sa, bisogna essere davvero bravi…. e lui, Giovanni Scifoni, lo è, e molto.
Scifoni è un’artista, noto al grande pubblico per varie fiction a cui ha partecipato (Un Medico in Famiglia, Io e mio figlio), giovane, intelligente, preparato, e con una maturata esperienza di teatro e musical alle spalle.
Bella, molto bella la sua seconda piece del genere, ideata, scritta e diretta da lui stesso, Guai a Voi ricchi-Papà era cattocomunista, vincitore del festival “Teatri del Sacro” nel 2011, ha ottenuto il tutto esaurito a Roma per l’intera programmazione e ha vinto il Golden Graal 2011, premio “astro nascente del teatro”.
Seconda pièce perché segue un altro monologo di e con Giovanni Scifoni Le ultime 7 parole di Cristo, che pure è da vedere.
Giovedì 13 settembre ‘Guai a voi ricchi’ era a Brescia per la rassegna Agorà-2012 Cerchiamo il tuo volto. Scelta decisamente riuscita.
Oltre a risate Scifoni è comico, ironico, romano suscita interrogativi in un monologo, profondo e vero.
Accompagnato da una “colonna sonora” interessante, lo spettacolo, passando attraverso la prima messa-Beat, i canti di protesta di Victor Jara, S. Agostino, S. Giovanni Crisostomo, e tante storie, quella di Luis e di Padre Estebàn ….., si conclude con il discorso della montagna.
Ha detto Scifoni: “Se poi sei un cattocomunista o lo sei stato, se sei un venditore di “lotta comunista” convertito al marxismo, se hai giocato, almeno una volta, a Lotta di Classe (l’alter ego del Monopoli della Mondadori), se sei un sessantottino o un figlio di sessantottini, oppure stai facendo il cammino neocatecumenale, bé in questo caso ti sentirai anche tu un protagonista”.
A Brescia il pubblico ha accolto molto bene lo spettacolo, che passava per la seconda volta, tra i presenti molti sono venuti a rivederlo.
ZENIT ha intervistato l’attore-regista Giovanni Scifoni.
Guai a voi ricchi un monologo di grande successo, è il secondo. Tuo papà era davvero cattocomunista?
Giovanni Scifoni: Certo. Nasce proprio da lì questo spettacolo, dalla libreria di casa mia con tutti questi tomi polverosi. I preti e il dissidio, i sacerdoti e l’obiezione di coscienza, i cattolici e la guerra in Vietnam, eccetera, tutta questa roba era una corrente molto seguita negli anni ’70. Nelle parrocchie si facevano dibattiti sociali. Si cominciava per la prima volta ad affrontare i temi scabrosi…e nella mia famiglia tutto questo passava in maniera molto forte ma non solo dai libri di mio padre, ma dai racconti…avevamo dei preti che passavano a casa nostra, noi ospitavamo sempre preti del sud America che raccontavano storie affascinanti e bellissime.
La teologia della liberazione…
Giovanni Scifoni: Si, tutta questa roba qua e quindi discussioni, dibattiti, insomma era un focolaio abbastanza scoppiettante.
E così è nato Guai a voi ricchi. Perché è nato?
Giovanni Scifoni: È nato perché veramente questo è il mondo da cui provengo… poi papà ha smesso di essere cattocomunista (ride).
Grazie al cielo…
Giovanni Scifoni: Si ha smesso, gli è passata!
Questo tema mi ha sempre affascinato moltissimo perché ci sono domande che mi hanno accompagnato nella vita, cioè il problema del male, di come combattere il male, le disuguaglianze, tutto alla luce della fede.
Il problema è che esiste il male, non è che non esiste, esistono le disuguaglianze, esistono le tremende ingiustizie, però Cristo dice di amare chi produce queste ingiustizie e chi è la radice di queste profonde disuguaglianze: amarlo!. Però che vuol dire amarlo? E poi concretamente che vuol dire? Cioè come ci organizziamo? Alla fine ci sono anche dei problemi concreti. In quegli anni lì, negli anni ’60-70, c’è stato un dibattito fortissimo, tra chi diceva “eh, no, attenzione, è vero che si deve perdonare però non si deve essere complici del male”, sennò se tu non ti schieri contro chi produce il male, allora vuol dire che tu ti schieri a favore, e non va bene e quindi cavilli teologici, burocratizzazione della coscienza…
Soprattutto in sud America, la culla della teologia della liberazione, le comunità di base…questo discorso era cruciale perché produceva anche violenza e morte, era una cosa molto seria.
Io ho parlato con tantissima gente per questo spettacolo. Non so quanta gente ho intervistato. Sono andato in giro come te, con il registratorino nascosto però, perché così le persone sono più sincere, no? Sono più spontanee- Ho parlato con tanti preti, un sacco di missionari e loro mi dicono che sì, effettivamente tu puoi avere tutto l’amore che ti pare però quando tu vai lì e vedi un Suv che schiaccia un mendicante e la polizia che fa finta di niente, allora ‘scapocci’, capito? Diventi una belva. Questa storia del perdono … ci sono giornalisti che vanno dalle vittime, dalle madri delle vittime o degli stuprati e gli dicono “Lei perdona l’assassino di sua figlia?” è una follia totale. Vabbé. Perdono non è una tessera di partito, non è un’appartenenza “Quelli che perdonano”, no? Noi siamo quelli che perdonano, noi siamo la squadra di calcio dei perdonatori. Non può essere così. No.
Il perdono è un miracolo, non è altro. Ci vuole tutta una vita magari per perdonare una persona. Però è assolutamente la risposta. L’unica risposta al male del mondo. Su questo non si discute.
Il perdono è molto forte, rivoluzionario, nuovo come messaggio, come hai fatto a inserito in una pièce comica?
Giovanni Scifoni: Secondo me, non è che ho la presunzione di essere innovativo, per niente innovativo, racconto quello che è stato detto sempre da 2000 anni a questa parte. Solo che questa cosa che è sempre stata detta, è sempre stata rivoluzionaria. Sembra nuova. Però bisogna proprio entrare nel dolore, nell’ingiustizia e nella sofferenza per capire che cos’è il perdono. Non si può dare nulla per scontato.
Con lo spettacolo cerco di fare entrare lo spettatore anche nella grande fascinazione che ha la rivoluzione umana. I moti rivoluzionari, cioè lo spirito guerriero umano ha, per me e penso per tanti altri, un fascino incredibile. Come fai a non voler essere un guerrigliero? Se hai 18 anni non puoi non voler essere un rivoluzionario, non puoi non voler rivoltare il mondo. E questo fascino è importante anche capirlo, analizzarlo. Quindi in una parte dello spettacolo voglio proprio trasmettere questa fascinazione incredibile. Però poi mi interrogo, interrogo un pò il pubblico, lo sfido un pò, su quale sia veramente il senso profondo dell’essere uomo e spero insomma che qualcuno esca un pò più confuso…
Tu sei cristiano?
Giovanni Scifoni: Si.
Come si fa a vivere da cristiano e da artista, musicista, attore. Tu sei un’artista completo, hai studiato musica, arte drammatica. Lavori in televisione, nelle fiction, fai teatro, hai una certa fama. Come ti riesce di essere cristiano nel mondo dello spettacolo?
Giovanni Scifoni: Dal punto di vista delle scelte drammaturgiche e se vuoi etiche scrivo questi spettacoli, i testi nascono anche dal mio essere cristiano.
Nel mio lavoro in generale è abbastanza ‘un massacro’ essere cristiano. Sei soggetto a pressioni enormi da parte di tutti, anche di te stesso, scrupoli di coscienza continui. Una volta fino a 50 anni fa il mestiere dell’attore era quella valvola di sfogo della società in cui andavano a finire tutti quelli che facevano la vita sregolata e quelli che desideravano anche un mondo in cui non si tenesse conto delle regole e della morale comune,. Per cui ovviamente a tuo papà gli dicevi “Papà voglio fare l’attore”, e lui “non p
uoi andare a finire in quel mondo di sregolati”; se una ragazza diceva “papà voglio fare l’attrice”, era equivalente a dire “vado a fa la vita”, no? Oggi non è così, ma in che senso? Nel senso che, penso, qualunque ambiente di lavoro oggi è così, anche un call center, non c’è nessuna differenza. Quindi io direi che non è tanto speciale la mia condizione, ma è speciale la condizione di tutti i cristiani in un qualunque ambiente di lavoro.
Siamo alla frutta?
Giovanni Scifoni: Non so se siamo alla frutta, non ti saprei dire, però sicuramente l’etica nel mondo lavorativo non c’è da nessuna parte. Nel mondo degli attori, comunque vedo anche che c’è tantissima curiosità. Vogliono sapere che tipo di vita faccio, sono stupiti, incuriositi. Essere cristiani in questio mondo non lo vedo come un’ostacolo maggiore di altri. A scuola mi pigliavano in giro allo stesso modo.
Vedo che ti sei portato dietro Bibbia e Liturgia delle ore…
Giovanni Scifoni: (Ride) Mi servono per lo spettacolo…si, serve proprio per lo spettacolo.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Stai portando ancora in giro Le ultime 7 parole di Cristo…
Giovanni Scifoni: C’è anche un sottotitolo “Minestra di fede per cialtroni e strumenti antichi”, il cialtrone sarebbe una specie di rievocazione post moderna del giullare. Questa è un pò l’idea che mi sono fatto. Ci sono musicisti che sono bravissimi sono Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli. Porto in giro questo spettacolo da tantissimo tempo e con grande soddisfazione. E’ lo spettacolo che ha dato il via alla ricerca che sto portando avanti. Una strada tutta strana, complicata, però mi sembra che sia giusta per me, per la mia esperienza e quindi la porto avanti. Sto anche girando molte fiction.
Quali?
Giovanni Scifoni: Adesso devo fare una fiction molto carina, molto bella, un film per la Tv di una puntata che si chiama ‘La tempesta’, una commedia deliziosa scritta benissimo da Fabrizio Costa che è il regista, con Nicole Grimaudo e Nino Frassica. E’ la prima volta che faccio il protagonista e quindi sono un pò emozionato.
Senti l’emozione nonostante tu sia da tempo nelle fiction?
Giovanni Scifoni: Si però è la prima volta che sono il protagonista.Poi ho girato una Fiction con Proietti, “L’ultimo Papa re”, che poi sarebbe un rifacimento di quella diretta da Luigi Magni.
Com’è Proietti come attore?
Giovanni Scifoni: E’ strepitoso è una pallina in discesa, cioè parla con te, poi piglia le battute che deve dire “ah si la dico”, pam, via, perfetto. Insomma Proietti è proprio straordinario.
Con la famiglia come fai? Riesci a reggere entrambe le cose? Sei sposato hai figli…
Giovanni Scifoni: Si, ho 2 figli.
Ieri eri a Belgrado, oggi sei a Brescia, domani sarai a Varese…
Giovanni Scifoni: Partire è sempre dura, è pesante, soprattutto per chi resta, mia moglie si carica del lavoro di famiglia. Però poi ci organizziamo, loro mi vengono a trovare, facciamo anche delle cose divertenti. Siamo stati a Belgrado insieme, sono venuti a Gubbio, insomma cerco di organizzarmi un po’. Per adesso ce l’ho fatta.