L'apparizione della Vergine a La Salette

Una “ecologia dello spirito”

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di padre Mario Piatti icms, 
direttore del mensile “Maria di Fatima”

ROMA, mercoledì, 19 settembre 2012 (ZENIT.org).- Nel pomeriggio di sabato 19 settembre 1846 a La Salette, nel dipartimento dell’ Isère, sulle Alpi, a circa 1800 metri, due poveri pastorelli, Melania Calvat (1831-1904), di quasi 15 anni, e Massimino Giraud (1835-1875), di 11 anni appena, analfabeti, privi perfino di una vera e solida formazione cristiana, furono i privilegiati interlocutori della Vergine. A differenza di altre apparizioni, quella fu l’unica occasione di incontro dei giovinetti con la Madre di Dio. Come in altre circostanze analoghe, le condizioni di vita e la scarsa preparazione culturale dei veggenti attestarono e confermarono, ancora di più, la verità dell’evento e la genuinità del messaggio.

La “Bella Signora” era seduta e piangeva –e pianse per tutta la durata della apparizione- con il capo tra le mani. Poi si alzò: era alta, splendente; indossava il vestito tipico delle donne di quella zona, con tunica e grembiule ai fianchi, uno scialle e una cuffia da contadina. La testa era adorna di rose, come pure lo scialle e i calzari. Sulle spalle portava una lunga catena e al collo aveva una catenina, che fermava sul petto un crocifisso, sfavillante, ai lati del quale erano visibili un martello e delle tenaglie. La fronte risplendeva, quasi recasse un lucente diadema.

Alzandosi, la Vergine confidò tra le lacrime: “Da quanto tempo soffro per voi!” e aggiunse: “Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sono costretta a lasciare libero il braccio di mio Figlio. Esso è così forte e così pesante che non posso più sostenerlo”. Ella rivelò ai due ragazzi il suo profondo dispiacere per i peccati degli uomini, in particolare per la abituale trasgressione del precetto festivo e il diffuso vizio della bestemmia: il male offende Dio, può condurre all’Inferno le anime e già produce i suoi nefasti effetti, provocando la rovina dei raccolti.

L’ampio contenuto del messaggio -riportato poi in redazioni diverse, discusso spesso per particolari ritenuti a volte aggiunti o amplificati dai veggenti- nel suo nucleo originario è chiarissimo e riprende il consueto appello che la Madonna rivolge al mondo, attraverso le sue apparizioni: l’impegno a non peccare, la conversione, il ritorno sincero alla Fede e alle pratiche di pietà.

Senza naturalmente entrare nell’analisi del testo, complesso, della rivelazione di La Salette, che richiederebbe un approfondito e accurato studio, un particolare comunque sorprende: il legame, sottolineato dalla Vergine, tra il peccato e le sue conseguenze sulla natura.

Il male, fin dalle origini, nella visione biblica, coinvolge l’intero Creato, che si ritorce contro l’uomo. Con fatica e sudore il suolo darà i suoi frutti: la maledizione della colpa si estende a un mondo voluto da Dio per il nostro bene e divenuto invece improvvisamente ostile e insidioso. La Salette conferma questo misterioso nesso tra l’universo interiore dell’uomo e l’ambiente vitale, nel quale siamo collocati e che risente –direttamente o indirettamente, in bene o in male- di quanto accade nel sacrario interiore del nostro cuore. Il peccato è come un’onda nefasta, che dilaga dovunque. Vanno denunciate certamente la colpa e l’egoismo di chi –per interesse, per egoismo e per insaziabile sete di guadagno- rovina arbitrariamente il mondo, invece di usare sapientemente delle cose, affidateci da Dio e finalizzate sempre al “bene comune”; ma va anche riconosciuto che il male in sé –qualunque male, anche quello commesso nel segreto dell’anima- inquina la coscienza, i rapporti sociali, la convivenza umana e ha senza dubbio un riflesso nel Creato, che “patisce” per le colpe dell’uomo.

Il raccolto –disse Maria Santissima a La Salette- si sbriciola tra le mani, perché il cuore di questo popolo ha dimenticato Dio: quasi a dire che il male produce sempre altro male: sempre, fino alle estreme conseguenze e alla follia della Guerra, della distruzione volontaria del prossimo.

Il Bene rigenera, risana le coscienze e ridona splendore anche alla realtà che ci circonda. C’è una sorta di “ecologia dello spirito” che dovremmo alimentare, perché rientra nella visione biblica ed evangelica dell’uomo, re e signore del Creato, custode dei doni a lui affidati dal Signore, ma capace anche di rovinare e di sciupare tutto, di contaminare il mondo non solo attraverso l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra, ma anche per le vie misteriose del male, che porta in sé.

È un discorso certamente da approfondire e da chiarire, teologicamente, per evitare fraintendimenti ed equivoci, e da riprendere anche per ricuperare, positivamente, la bellezza e la fecondità di certe ingenue pratiche di pietà -come la preghiera per la pioggia o per i raccolti- che esprimono, addirittura nella Liturgia, questa relazione vitale del nostro cosmo interiore con il mondo esteriore, con il Creato.

La vicenda umana dei due veggenti di La Salette, come si sa, fu tormentata, per diversi motivi. Melania, pur rimanendo sempre fedelissima alla Chiesa, rischiò a volte di lasciarsi affascinare da forme di pseudo-misticismo, che potevano alterare l’originario senso delle rivelazioni ricevute. Massimino cercò la propria strada, percorrendo diverse vie, senza mai approdare a una meta chiara e definitiva.

Le difficoltà attraversate, forse anche le debolezze umane dei pastorelli, non compromisero né la validità del messaggio –autorevolmente riconosciuto dalla Chiesa- né il faticoso cammino di santificazione dei due veggenti. Melania conobbe, negli ultimi anni, il futuro beato Alfonso Maria Fusco e Sant’Annibale di Francia, che la guidarono e la accompagnarono con prudenza e sapienza. Sant’Annibale la ritenne cofondatrice del suo Istituto, le Figlie del Divino Zelo del Cuore di Gesù. Ella morì ad Altamura, dove è sepolta.

È bello pensare che il cuore di Massimino, che riposa ora nel Santuario di La Salette, sia finalmente giunto, con quello di Melania, a possedere per sempre in Cielo quella pace desiderata e perseguita in terra, ma così spesso minacciata dalle alterne e dolorose vicende della loro vita. Segno, ancora una volta, che la fedeltà e l’amore materno di Maria per i suoi figli non vengono e non possono venire mai meno.

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ZENIT Staff

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