di Eugenio Fizzotti
ROMA, venerdì, 7 settembre 2012 (ZENIT.org).- A qualche giorno dalla scomparsa del CardinaleCarlo Maria Martiniritorna prepotente il ricordo di quello che fu il “testamento spirituale” che lasciò nell’incontro avuto diverso tempo prima, nel settembre 2010, con Don Mimmo Battaglia, sacerdote dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace e dal 2007 Presidente della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (in breve FICT) che, fondata nel 1969 da don Mario Picchi, Presidente del Centro Italiano di Solidarietà (Ce.I.S.), opera nel settore della droga, considerata un problema emergente e inquietante, e interpretato come sintomo di un malessere profondo e di tipo esistenziale.
Pienamente impegnato nella realizzazione del programma terapeutico “Progetto Uomo”, che è caratterizzato da una filosofia di intervento che pone l’accento sull’individuo, sulle sue risorse e sulle sue potenzialità interiori, affinché sia aiutato a trovare in se stesso il senso da dare alla vita, Don Mimmo Battaglia ricorda che, ricevuto dal Cardinale Martini, gli sembrava fosse impossibile che quel gigante buono che aveva sempre osservato e seguito da lontano, già sofferente per la malattia che lo accompagnava da diversi anni, potesse ricevere proprio lui.
L’incontro ebbe luogo a Gallarate, nel Collegio dei Gesuiti, in una sala nella quale il Cardinale lo fece sedere dinanzi a lui e gli consentì di parlargli e di poter giungere a lui con l’ansia di chi, piccolo, corre dinanzi al padre. Con estrema serenità oggi Don Mimmo Battaglia evidenzia che la sua ricerca di conferma e di serenità, per scelte e opere compiute, era da tempo tanta e il Cardinale, padre dinanzi a lui, divenne ascolto partecipe, manifestando l’atteggiamento autentico di una Chiesa che elimina le distanze e si pone in ascolto.
Ricordando che «nel mio ministero avevo incontrato e ascoltato storie pesanti, avevo accolto persone che avevano vissuto drammi ed episodi importanti e il mio interrogativo si poneva sull’esattezza delle risposte che avevo dato e di quelle mai espresse, perché, a volte, di risposte non ne avevo trovato neanch’io» Don Mimmo evidenzia che diverse volte aveva sentito la necessità di confrontare tale stato d’animo ma, prima di allora, mai era riuscito a sentirsi tanto rasserenato.
Ciò che lo colpì fu la percezione di trovarsi di fronte a un gigante che, giunto a lui in pari dignità di figlio di Dio, nella semplicità che nasceva solo da una profonda spiritualità ed era espressa in concreta testimonianza attraverso quel suo divenire piccolo, gli dava finalmente conforto, fino a divenire linfa alle sue azioni e motivazione alle scelte che da lì in poi avrebbe compiuto.
Avendogli raccontato in piena serenità le difficoltà e le fatiche che aveva individuato attorno a sé e nella Chiesa, colse con entusiasmo la reazione da parte del Cardinale Martini di fargli da padre e da guida, regalandogli «il coraggio di essere se stesso e di scegliere la verità» e insegnandogli «la distinzione tra il dire e il gridare la verità e, ancor di più, il bisogno di un mondo che necessita di uomini che vivono la verità».
Avendo pensato, fino ad allora, che mai si sarebbe potuto ritrovare, dinanzi a un gigante, a condividere il percorso che quotidianamente tentava di costruire con i ragazzi che, giorno per giorno, gli rimandavano il dolore incomunicabile di chi ha vissuto la strada, con i suoi drammi, le sue colpe e le sue ferite, con la conseguenza di sentirsi inadeguato a così tanto dolore, apprezzò notevolmente il fatto che il Cardinale, divenuto padre, «in quel tempo di grazia vissuto insieme, ridava dimensione alla mia speranza, facendomi dono del vero significato della misericordia di Dio. Infatti imparai da lui che, se rimani nel patto d’amore, giustizia e misericordia camminano con te».
Ovviamente, attraverso la condivisione del suo pensiero, il Cardinale Martini non divenne per Don Mimmo Battaglia formale insegnamento ma riusciva a trasmettergli la sua esperienza d’amore per cui afferma con estrema chiarezza: «Tre insegnamenti mi porto dietro come tre doni preziosi ricevuti in quell’incontro. Il primo insegnamento, la prima testimonianza del Cardinale, è il primato dell’amore verso Gesù, Signore della storia e della vita, che si fa vita e carne nell’amore verso i fratelli, soprattutto i più fragili e vulnerabili. Il secondo fu il monito a scegliere il coraggio di essere se stessi e con umiltà osare l’autenticità non contro qualcosa o qualcuno ma come fedeltà al disegno di Dio. Il terzo dono, il più semplice e il più grande, fu quello di un grazie per il nostro lavoro, un grazie ricevuto e immeritato, un grazie a cui mi sento solo di rispondere oggi, con la stessa, identica, immensa parola: grazie, padre Carlo Maria,voce dell’uomo, voce di Dio, profeta di Dio. La tua benedizione ci accompagni sempre!».