di Robert Cheaib
ROMA, sabato 1 settembre 2012 (ZENIT.org). – Qual è la motivazione umana fondamentale? È forse la volontà di piacere che spinge l’uomo a liberarsi dalle tensioni per giungere a una temporanea pace dei sensi, a una momentanea omeostasi? O è la volontà di potenza, la spinta verso l’autoaffermazione, spesso a spesa degli altri?
Viktor Emil Frankl, il fondatore della terza scuola viennese di psicologia, conosciuta meglio come Logoterapia, non si lascia abbagliare da nessuna di queste due spinte che pur sussistendo nell’uomo non costituiscono la sua motivazione fondamentale. A 15 anni dalla morte di Frankl, la sua visione verificata, comprovata e inverata nella sua biografia – che lo vide tra l’altro come internato in ben quattro campi di concentramento per tre anni – rimane tuttora valida perché riecheggia la musica più originale e originaria che nasce nel profondo dell’uomo. Per ricordare questo grande uomo, vorrei evocare il suo grande contributo a evidenziare la centralità della «volontà di senso» come motivazione umana fondamentale, ricordando una sua celebre affermazione: «ho trovato il senso della mia vita, aiutando gli altri a trovare il senso della loro».
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Per rispondere alla domanda sulla motivazione umana fondamentale, Frankl propone un antidoto alla «psicologia del profondo» (Tiefenpsychologie) che chiama «psicologia dell’altezza» (Höhenpsychologie). La Höhenpsychologie è una metodologia che consiste nel prendere in considerazione non solo la volontà di piacere o di potenza dell’uomo, ma anche la sua volontà di significato. Con essa Frankl propone una considerazione olistica dell’esistenza umana – non solo in profondità ma anche in altezza – spingendosi, quindi, non solo a un livello superiore a quello fisico, ma anche a quello psichico, per entrare nel campo della spiritualità. La sua convinzione di fondo è che «le nevrosi non si radicano necessariamente in un complesso edipico o in un sentimento di inferiorità: spesse volte possono aver origine in un problema spirituale, in un conflitto di coscienza o in una crisi esistenziale». Già dagli albori del pensiero (soprattutto quello Occidentale), ci si è convinti che una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. Quando l’uomo si pone in serietà dinanzi alla propria vita, si pone, in un modo o nell’altro le domande sul senso del proprio esistere. Così affiora quella che A. Camus considera come la vera e unica problematica filosofica: La vita vale la pena viverla o si deve optare per il suicidio? Se la vita non è sensata, non vale la pena viverla, e l’uomo, di conseguenza, non sarebbe altro che «une passion inutile» – come arriva a dire J.-P. Sartre nelle ultime battute del suo l’Être et le Néant. Per questo è congeniale all’uomo che ascolta veramente il proprio essere porre la domanda fondamentale formulata con semplicità lampante e lapidaria limpidezza da M. Blondel: «oui ou non, la vie humaine a-t-elle un sens?».
Per non presentare una risposta ideologica, Frankl parte da una considerazione esistenziale della situazione che l’uomo contemporaneo vive. Questi, contrariamente all’animale, non ha impulsi e istinti che gli indicano automaticamente tutto ciò che deve fare. Contrariamente anche all’uomo del passato, l’uomo di oggi che vive in un’amnesia collettiva, non ha più consolidati valori e comprovate tradizioni che gli dicano ciò che dovrebbe fare. Assai spesso, l’uomo contemporaneo non sa ciò che fondamentalmente vuole fare ed è esposto alla «epidemiologia del vuoto esistenziale» ossia alla «nevrosi noogena». Frankl intuisce che l’uomo attuale è alle prese, non con una frustrazione sessuale, ma con una «frustrazione esistenziale». La sua è l’esperienza della noia – diremmo anche dell’akêdia – di fronte all’apparente «abissale assurdità della propria esistenza».
L’uomo si presenta come «un essere in lotta spirituale per il senso concreto della sua esistenza personale». Per sopravvivere, egli ha bisogno di credere in un senso, in un lógos, e per vivere ha bisogno di realizzare un senso. La volontà di senso (Wille zum Sinn) è la motivazione umana fondamentale e l’uomo ha «una prescienza del significato e un presentimento di esso». La volontà di significato è talmente radicata nell’essere umano che neppure penserebbe al suicidio se non supponesse prelogicamente un significato. La fede nel senso costituisce una categoria trascendentale nel senso kantiano nella compagine dell’esistere umano.
In fin dei conti l’essere-responsabile si manifesta come essere-responsabile dell’adempimento di un significato, e la volontà di senso si mostra come «una tendenza innata al lógos, al senso e ai valori». Il fatto antropologico primordiale che l’uomo per sua natura è alla ricerca di senso non deriva in primo luogo dalla riflessione filosofica e dall’argomentazione, ma è basato sulla costatazione empirica delle esperienze quotidiane dell’essere umano. Essa non è una preferenza per la quale l’essere umano può optare o meno, ma è piuttosto un fondamentale dovere antropologico esistenziale. È una qualità che distingue l’essere umano dagli animali.
Se si accetta la volontà di senso come motivazione umana originaria e fondamentale, diventa necessario rilevare le conseguenze che essa apporta alla concezione dell’uomo. La volontà di senso, infatti, supera la visione statica dell’umano e cede il passo a una teoria motivazionale aperta, che concepisce l’essere umano in un continuo espandersi e divenire. L’uomo ha bisogno di una sana dose di tensione. La persona sana è un «essere-in-tensione» tra ciò che è e ciò che deve essere, tra sé e l’alterità (in senso lato). A questo riguardo Frankl asserisce: «C’è sempre una sana distanza tra il sé reale e il sé ideale, tra l’esistenza attuale e quella dell’aspirazione. D’altra parte, una soddisfazione eccessiva è indice di patologia». Se si cancella totalmente il margine di tensione necessario, l’uomo perde la prospettiva e il significato e soffre di uno stato di shock.
Sarebbe improprio affermare che la volontà di senso (Wille zum Sinn) sia in qualche modo una spinta verso il senso (Trieb zum Sinn). L’uomo non è sospinto da ciò che è istintivo, ma viene at–tirato da ciò che ha carattere di valore. La volontà di senso è una forza primaria che non può essere ridotta né uguagliata agli impulsi, ma che si distingue nettamente dalla volontà di piacere e dalla volontà di potenza. Essa è sempre presente nell’essere umano giacché ne costituisce l’essere esistenzialmente. L’intenzionalità verso il senso (Sinnintention) fa parte integrante della natura umana e non può essere interpretata a partire dalla causalità immanente (gli istinti), né a partire da obiettivi immanenti (autorealizzazione), ma è l’espressione per antonomasia della trascendenza dello spirito umano.
In questo contesto, Frankl denuncia l’illusione del quietismo distinguendo tra «quietisti» (peacemakers) e «battistrada» (pacemakers). La prima categoria cerca a ogni prezzo la quiete dello stato di omeostasi, di calma interiore ed esteriore. La seconda, invece, si spinge sempre in un orizzonte che va oltre se stessi, accettando che la vita sia una lotta per mantenere un equilibrio instabile.
Frankl insiste nello specificare che la frustrazione noogena non è propriamente una malattia psichica, quanto piuttosto un «bisogno spirituale» naturale conseguente spesso a un «profondo senso di assurdità» e perciò egli rifiuta la posizione di Freud che afferma in una lettera a Marie Bonaparte: «Nel momento in cui ci si interroga sul senso e sul valore della vita si è malati». La frustrazione di senso per Frankl è una manifestazione di one
stà e sincerità intellettuale, è l’allarme salubre della fame metafisica di un essere umano ormai troppo tecnicizzato da diventare anemico di significato e di prospettiva. Perciò sfidare la vita cercandone un significato diventa la vera espressione dello stato dell’essere umano sano, e la domanda sul senso della vita si mostra come «la più umana delle domande».
Tale onestà e tale domandare sincero mettono l’uomo sui binari giusti dell’umanizzazione, perché l’essere-uomo consiste proprio nel progredire nella realizzazione del senso. Perciò dopo il superamento dei tre grandi ‘-ismi’ della riduzione antropologica, Frankl invita a guardarsi da un ultimo ‘-ismo’, consistente nell’assolutizzazione non di uno degli aspetti (psiche, corpo, società), ma del punto di intersezione, ossia dell’uomo. Solo mediante la rinuncia a un’ottica immanentistica e antropocentrica, attraverso l’inclusione della trascendenza nella struttura dell’uomo, e solo rinunciando alla temerarietà del considerarsi come il tutto, l’uomo può trovare la prospettiva di senso e l’ermeneutica della propria esistenza e vincere la frustrazione esistenziale.
Frankl mostra, in breve, che – per sua natura – l’orientamento e il movimento verso il senso (Sinnintention) non è diretto verso il sé dell’uomo ma verso qualcosa che va oltre se stessi, si trascende verso un lógos.
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Il presente testo è un estratto (senza le note a piè pagina) dal libro di Robert Cheaib, Itinerarium cordis in Deum. Prospettive pre-logiche e meta-logiche per una mistagogia verso la fede alla luce di V.E. Frankl, M. Blondel e J.H. Newman, Cittadella Editrice, Assisi 2012.
Il testo sarà disponibile a breve nelle librerie:
http://www.amazon.it/Itinerarium-Prospettive-pre-logiche-meta-logiche-mistagogia/dp/8830812498/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1339782663&sr=8-1&tag=zenilmonvisda-21