Elvira Parravicini: la vita come carità

Neonatologa presso la Columbia University, cura i bambini che il destino condanna a vite brevi

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di Antonio Gaspari

RIMINI, martedì, 28 agosto 2012 (ZENIT.org) – È uno di quegli incontri che ti lasciano stupito, incredulo, commosso… Un medico che va oltre ogni ragione, dedica tutto il tempo a bambini che vivranno per poche ore e che secondo la diagnosi non ce la faranno mai a sopravvivere. Eppure…

È accaduto al Meeting di Rimini, venerdì 24 agosto, è la storia di Elvira Parravicini, assistente di Clinica pediatrica alla Columbia University di New York, neonatologa che assiste e conforta bambini la cui vita sembra destinata a finire in breve tempo. Un atto al confine tra la carità infinita e la dura e crudele legge della fragilità umana.

La Parravicini ha raccontato di una coppia di teenager che aspettava due gemelline siamesi. “Le avevano amate e volute, avevano già scelto i nomi Kila e Keila. Erano unite al torace ed inoperabili, avevano un solo cuore in comune. In sala parto c’era un’atmosfera bruttissima, gli ostetrici che si lamentavano, giudicando quel parto una pazzia. Le bambine sono nate, piccole, abbracciate e con difficoltà respiratorie. Il padre mi chiese di tenerle in braccio. Vide che facevano dei sospiri, e disse: il vostro papà è qua, non vi preoccupate”.

A quel punto tutti in sala operatoria hanno iniziato a piangere e alcuni hanno abbracciato i giovani genitori, “perché – ha spiegato la Parravicini – era un momento di bellezza, prova del fatto che abbiamo tutti lo stesso cuore”.

La Parravicini si occupava di diagnosi prenatali, ma si è resa conto che una certa mentalità dominante usava le sue analisi per proporre l’interruzione volontaria di gravidanza. Le diagnosi non servivano per proporre una cura, ma per abortire.

Così è andata in crisi e per un po’ ha smesso di andare alle riunioni con i colleghi. Dopo due anni fu invitata a rientravi  perché c’erano due mamme in attesa di bambini con gravi patologie, le quali non intendevano interrompere la gravidanza. La Parravicini disse: “questi bambini soffrono, e io soffrirò con loro”. E propose: “datele a me facciamo comfort care”.

Il comfort care non vuole dire solo limitarsi a consolare pazienti e genitori, ma proporre un’assistenza terapeutica anche per i casi più disperati.

“Non è vero che non c’è niente da fare – ha sostenuto la dottoressa Parravicini – il neonato ha bisogno di essere accolto, tenuto caldo, non deve soffrire la fame e la sete, non deve sentire il dolore”.

La neonatologa ha raccontato di una neonata minuscola che pesava solo 360 grammi e che con la manina provava a stringere un dito della mamma. Con le cure e l’attenzione è tornata casa appena è ha raggiunto i tre chili di peso.

Alessandra pesava appena 800 grammi alla nascita. Una infezione le aveva distrutto l’intestino. Secondo i chirurghi non c’era più niente da fare. La Parravicini ha mostrato una foto di Alessandra che ora sorride, ha un anno di età e dà da mangiare alla sua bambola.

Ha raccontato di Simona una bimba che stava rianimando, ed ha capito che “tutta la sua scienza non l’avrebbe aiutata a farla stare in vita se non ci fosse stato un Altro”.

“Essere medico – ha affermato – significa usare tutto di sé in termini professionali per un Altro che decide le ore e i minuti”.

 All’incontro è intervenuto anche Carter Snead, già segretario generale del Consiglio per la Bioetica durante la presidenza di George Bush, il quale ha commentato: “Quando incontriamo un neonato riconosciamo in noi stessi, il dovere di proteggerlo, farlo crescere, non per quello che può fare per noi, ma per dirgli ciò che è, un membro della famiglia dell’uomo”.

 “Il neonato è tra due infiniti. – ha concluso Snead – Si estende a ritroso nel tempo arrivando fino ai primi nostri antenati e si protende nel tempo verso il futuro, verso quelle generazioni di esseri umani che devono ancora nascere. È un qualcuno di concreto, a immagine e somiglianza di Dio”.  

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ZENIT Staff

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