Non solo il Mosè

Una visita alla Basilica di San Pietro in Vincoli

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 30 giugno 2012 (ZENIT.org) -Il ‘Mosè di Michelangelo, conservato all’interno della Basilica di S. Pietro in Vincoli, rappresenta indubbiamente uno dei massimi capolavori della statuaria rinascimentale, progettata e realizzata per la tomba di papa Giulio II tra il 1513-1515. La forza, la bellezza ed il temperamento che trasudano dall’opera del ‘Maestro’ sono soltanto alcuni tra gli elementi più apprezzati da turisti e storici dell’arte, ma pochi sono a conoscenza di quanto sia altrettanto importante la basilica che la ospita.

In pochi sanno che la basilica venne costruita nel 422 d.C. da Licinia Eudossia imperatrice e per questo anche definita ‘basilica eudossiana’. Figlia dell’imperatore d’Oriente Teodosio II e moglie dell’imperatore d’Occidente Valentiniano III, la storia la considera una delle cause del ‘sacco di Roma’ del 455 avvenuto per mano dei Vandali, comandati da Genserico.

Valentiniano III infatti venne assassinato in seguito ad una congiura, probabilmente ordita dal suo successore al trono Petronio Massimo che costrinse inoltre la vedova a sposarlo, probabilmente minacciandola di combinare un matrimonio tra la figlia di lei, Eudocia e suo figlio Palladio. Un intreccio politico insomma che si tradusse con il saccheggio di Roma più memorabile che la storia ricordi.

Al contrario di quanto la tradizione ci ha indotto a credere, non vennero effettuate distruzioni ma gran parte delle ricchezze possedute dalla città vennero razziate. Licinia Eudossia, portata prigioniera a Cartagine dove vi rimase fino al 462, tornò alla Corte di Costantinopoli e vi rimase fino alla sua morte probabilmente avvenuta nel 493.

La costruzione della basilica fu espressamente da lei voluta per conservarne all’interno le catene la cui tradizione riteneva avessero imprigionato San Pietro, nonché quelle costrittive del carcere Mamertino. Le reliquie le furono donate dalla madre Elia Eudocia, precedentemente avute e certificate dal Patriarca di Gerusalemme Giovenale.

Narra la tradizione che papa Leone I, incuriosito dalle reliquie, decise di confrontarle accostandole l’una all’altra con il risultato che si saldarono tra loro e non fu più possibile scinderle. Costruita la basilica, venne aggiunto l’appellativo ‘in vincoli’ anche per fare espresso riferimento al miracolo del ricongiungimento delle catene, ormai indivisibili.

L’edificio si trova in una delle zone più belle e ricche di vestigia archeologiche, posizionata nei pressi delle Terme dell’imperatore Tito sull’Esquilino (una delle aree in origine occupate dalla Domus Aurea di Nerone), in un luogo già precedentemente occupato da un edificio di culto cristiano a cui le fonti fanno riferimento come il titulus apostolorumuna domus ecclesae. 

Alcuni scavi archeologici ne hanno messo in luce la pavimentazione con un’aula absidata e la divisione in tre navate, datate al III e IV secolo. Sfortunatamente solo queste poche e labili tracce ne fanno intuire una sua origine tardo-antica con successivi rimaneggiamenti medievali.

L’attuale aspetto infatti venne acquisito a partire dal 1475 con la creazione di un portico d’ingresso e soprattutto all’epoca di Giulio II, a cui si attribuisce anche il restauro dell’attiguo convento. L’edificio fu precedentemente restaurato da papa Adriano I nel 780 e da papa Sisto IV nel 1471.

La facciata è preceduta da un portico formato da cinque arcate sostenute da pilastri ottagonali riportanti lo stemma di Giulio II, la cui originale costruzione è attribuita a Baccio Pontelli. L’interno presenta una perfetta divisione degli spazi, con tre navate scandite da una doppia fila di venti colonne di reimpiego, probabilmente provenienti dal vicino Portico di Livia (datato alla fine del I secolo a.C.) e facenti parte della fase tardo-antica.

Le navate, terminanti con tre absidi, hanno copertura con volta a crociera quelle laterali mentre quella centrale è scandita da una meravigliosa volta a sesto ribassato di epoca settecentesca con un affresco di Giovanni Battista Parodi.

Oltre alla tomba di Giulio II la basilica presenta monumenti sepolcrali di personaggi ecclesiastici di rilievo, oltre alla tomba degli artisti fiorentini Antonio e Piero del Pollaiolo, incorniciata dall’affresco che li rappresenta.

Di notevole importanza sono il Ritratto del cardinale Margotti del Domenichino e la rappresentazione di Sant’Agostino del Guercino, oltre ad un mosaico di San Sebastiano, di grande rilevanza storica perché unica immagine del Santo raffigurato come uomo anziano con la barba.

La basilica di San Pietro in Vincoli rappresenta l’ulteriore testimonianza della continuità storica di un monumento, oltre a rappresentare uno scrigno di indiscusso valore dal punto di vista artistico ed archeologico.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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