di Antonio D’Angiò
ROMA, sabato, 30 giugno 2012 (ZENIT.org) – Nella Sala Grande di Palazzo Braschi, sede del Museo di Roma con vista su Piazza Navona, è possibile ammirare sino al 15 luglio 2012 il capolavoro restaurato del Caravaggio “Resurrezione di Lazzaro”, olio su tela di oltre dieci metri quadrati (cm. 380 x 275), prima del ritorno al Museo Regionale di Messina (orario delle visite dal martedì alla domenica dalla 10 alle 20, con biglietto d’ingresso intero di euro 11 e ridotto di euro 9).
Dipinto nel 1609 da Caravaggio durante il suo soggiorno siciliano – dopo la fuga da Malta ed a pochi mesi dalla morte che avverrà vicino Roma nell’estate dell’anno successivo – fu commissionato dal mercante genovese Giovan Battista de’ Lazzari; il 6 giugno 1609 la tela fu collocata nella cappella della chiesa dei Crociferi di San Camillo de Lellis con la nota sull’autore “Michelangelo Caravagio militis Gerosolimitanus”.
L’attuale intervento di restauro, durato otto mesi, ed eseguito dall’Istituto Superiore per la Conservazione e Restauro (ISCR), oltre ad aver recuperato la leggibilità dell’opera ha consentito di arricchire le conoscenze sui materiali e sulle tecniche utilizzate dall’artista.
Nella grande sala in penombra, la tela è l’unico elemento di presenza scenica ed è illuminata solo nella vista che raccoglie le molte figure che affollano, in primo piano, la parte bassa. La conoscenza dell’opera può essere completata, poi, sostando nelle due piccole stanze attigue dove, con l’ausilio di moderni filmati è narrata la parte scientifica del restauro e, con immagini d’epoca, quella più tipica di storia dell’arte.
Si apprende in questo modo che il volto dell’uomo che ha tolto la lastra dal sarcofago è stato dipinto due volte in posizione diversa; piuttosto che il mento di Lazzaro è stato segnato con un unico colpo di pennello; suggestivo infine vedere quell’indice imperioso del Cristo verso Lazzaro, che molto ricorda il gesto della Creazione di Michelangelo nella Cappella Sistina.
Il tempo dinanzi alla tela suscita molteplici sensazioni di carattere artistico che non devono essere certamente messe in secondo piano per gli appassionati d’arte o per i più semplici frequentatori di un museo; e tuttavia può offrire anche lo spazio per una riflessione più intima su chi possa o su che cosa possa simbolicamente rappresentare oggi Lazzaro.
Tutto questo per provare ad andare in parallelo alla connotazione più propriamente religiosa / miracolistica e soffermarsi, invece, sulla dedizione volontà e capacità con la quale ogni singolo cerca di porsi di fronte alle straordinarie (o drammatiche) assenze.
In questo possono essere di aiuto due segni in tempi diversi; uno del Cardinale Martini e l’altro della filosofa Hannah Arendt.
Sul chi possa essere Lazzaro, in una delle sue ultime risposte ai lettori nella rubrica sul Corriere della Sera apparsa domenica 24 giugno, così Martini in un drammatico dialogo con il signor Francesco Izzo di Messina: “Caro Cardinal Martini, lunedì 2 aprile 2012 ho perso mio figlio di 10 anni. Chiedo umilmente a lei una parola di conforto e la strada da seguire affinché in qualche modo torni a vivere. Ma come si fa, Eminenza, a credere in Gesù? La prego, Eminenza, mi aiuti, lei è un uomo speciale.”
E Martini risponde:”Caro Francesco, non ci sono parole vere di conforto davanti ad un doloro così grande, forse il dolore più grande per un essere umano. Né so indicarti strade precise. Posso dirti che prego per te perché sia Gesù, il Figlio, ad indicarti la strada. Ma non sarà certo presto, perché dolori così forti tolgono forza, vista, udito e anche ledono la nostra forza fondamentale che è il coraggio di fare fronte a qualunque avvenimento.”
Sul che cosa possa essere oggi Lazzaro, la risposta è certamente meno univoca, ma può probabilmente fare riferimento agli atti e riflessioni che tanti cittadini fanno sulla propria unicità solitudine e ripiegamento, in questi anni, rispetto alle legislazioni pubbliche e finanziarie nazionali e internazionali.
Questo quanto affermato dalla Arendt il 28 settembre 1959 nel discorso in occasione del conferimento del Premio Lessing ad Amburgo: “Un numero sempre crescente di persone nei paesi occidentali, che dal declino del mondo antico hanno innalzato la libertà dalla politica a libertà fondamentale, fanno uso di questa libertà ritirandosi dal mondo e dagli obblighi nei suoi confronti. Questo ritiro fuori dal mondo non è necessariamente un male per l’individuo; può anzi permettere a grandi talenti di elevarsi fino al genio e di tornare a essere, dopo questa deviazione, utili al mondo. Ma ognuno di questi ritiri provoca una perdita per il mondo che si può quasi dimostrare; ciò che va perduto è lo specifico e perlopiù insostituibile – tra – che avrebbe dovuto formarsi tra quell’individuo e i suoi simili.” Senza altro commento.