Festa di San Pietro, il primo Papa

Padre Gheddo spiega il motivo per cui Cristo scelse l’Apostolo come successore per dirigere la comunità dei discepoli

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di padre Piero Gheddo

ROMA, sabato, 30 giugno 2012 (ZENIT.org) – San Pietro, l’Apostolo che Gesù ha scelto come suo successore nel dirigere la comunità dei suoi discepoli. Quali sono le qualità umane di Pietro, che hanno convinto Gesù a farne il primo Papa?

Pietro era capo di una compagnia di pescatori, un uomo autentico, onesto e trasparente, aveva leadership, bontà naturale, saggezza, prudenza e coraggio, esperienza di vita, buon senso. Però la caratteristica  fondamentale della sua vita è l’amore appassionato a Cristo e la fede in Lui. Quanti fatti nella vita di Pietro testimoniano questa fede e amore a Cristo!

Ricordiamo la triplice domanda di Gesù: “Piero, mi ami tu più di costoro?”. E la sua risposta: “Signore, tu sai tutto. Tu sai quanto ti amo!”. Non era una fede intellettuale, nutrita di studi, ma un amore totale alla persona di Cristo.

“E voi, chi dite che io sia?”. Pietro è stato il primo a dare la risposta giusta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “Volete andarvene anche voi?”. Pietro risponde: “Da chi andremo Signore?Tu solo hai parole di vita eterna”.

La fede e l’amore a Cristo lasciano però a Pietro tutti i suoi limiti e peccati. Si fa dire dal Maestro: “Via da me, o Satana! Tu ragioni come gli uomini, non pensi come Dio”. La notte del Venerdì Santo tradisce Gesù: “Non lo conosco”.

E quando Gesù è in agonia appeso in Croce, Pietro non si fa vedere, fugge lontano. Tutto questo avrebbe dovuto scoraggiare Pietro, renderlo pessimista, allontanarlo da Cristo. Invece, da uomo vero, era anche umile, riconosce il suo peccato, piange amaramente, crede dell’amore a Cristo che lo purifica, lo redime, lo rende sempre nuovo nonostante le sue colpe.

Ecco l’esempio più toccante di Pietro. Lo scoprirsi uomo e peccatore (“Allontanati da me – dice a Gesù – che sono un uomo peccatore”) non lo abbatte, sa che l’amore a Cristo vince tutto e riprende il cammino con nuova lena.

Gesù ama le persone autentiche e Pietro lo era. Ritorna sui suoi passi e nel Cenacolo è con Maria e gli altri Apostoli a ricevere lo Spirito Santo. Poi è pieno di coraggio e al Sinedrio, che gli proibiva di parlare ancora di Cristo risponde: “Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini”. Lancia la sfida ed è disposto a ricevere una buona dose di frustate, a farsi incarcerare e poi, alla fine della vita a morire crocifisso come il suo Maestro, addirittura con la testa in basso.

Questo San Pietro il primo Papa, che rappresenta non solo l’immagine della fede, ma è anche il primo Papa, il primo di una interminabile successione di Papi che ci tengono uniti a Cristo. Negli anni del Sessantotto, quando nella Chiesa si stava “infiltrando un acido spirito di critica e di divisione”, come diceva Paolo VI, la Provvidenza ha dato al nostro istituto, il Pime, un superiore generale che ha tenuto ferma la barra del timone orientato alla venerazione e obbedienza al Papa. E ha governato con paternità e mano ferma l’Istituto, salvandolo da una deriva che a quei tempi pareva quasi inevitabile.

Mons. Aristide Pirovano (1915-1997), fondatore della diocesi di Macapà in Amazzonia brasiliana (1946-1965) e superiore generale del Pime (1965-1977), era un uomo, come si dice, tutto d’un pezzo. Uno dei suoi “chiodi fissi” era l’amore e l’obbedienza a Cristo e al Papa. In tempi di  diffusi relativismi e confusione di voci, parlando e scrivendo ai missionari si riferiva spesso al Papa, fino a dire e ripetere questo slogan: “La mia linea è quella di stare sempre col Papa”.

Da uomo di fede, semplice e pratico qual era, non si fermava a discutere di temi che riguardavano la fede (lui diceva che la sua fede era quella che gli aveva insegnato la mamma): se il Papa aveva parlato, lui era d’accordo con Paolo VI. E aveva la capacità e il
carisma di agire di conseguenza. Ecco alcuni passaggi del suo “Discorso ai missionari partenti”  tenuto il 22 settembre 1968 a Milano (si veda la sua biografia: P. Gheddo, “Il vescovo partigiano, mons. Aristide Pirovano”, Emi 2007, pagg. 455):

La Chiesa non è certamente nuova alle bufere e ha conosciuto nei secoli lo strazio e le eresie che dilaceravano la veste inconsutile di Gesù…. Ma dobbiamo anche ricordare che il male era circoscritto, limitato a zone d’influenza (non c’erano i moderni mezzi di
comunicazione).

La Chiesa poi, in virtù della sua vitalità divina, una volta localizzato il male, reagiva come un corpo sano reagisce alle infezioni, e creava quelle antitossine che erano: più santità, maggior spirito di preghiera, scienza più approfondita e comunicata obbedienza più filiale e devota e generosa, così che il volto della Chiesa brillava più bello e più puro. Infatti la storia delle eresie è tutta costellata da santi di prima grandezza.

Oggi, purtroppo, cari confratelli, quello che vi aspetta non è un’eresia, uno scisma. A mio modo di vedere è qualcosa di ben più grave, di più pericoloso. Oggi, oserei dire, è la potenza delle tenebre che con un infernale gioco di astuzia e con profonde parvenze
di verità e di scienza, tende a trasformarsi in angelo di luce e pretende di insegnare al popolo di Dio, ma specialmente ai leviti e ai sacerdoti, nuovi principi di sociologia, di filosofia e persino di esegesi biblica, di morale e anche di teologia dogmatica.

E questa manovra non è una lotta aperta e leale, ma subdola e sottilmente velenosa; si dice di non voler negare la fede ma solo di volerla rendere più comprensibile, più razionale, più facile; si dice di non voler negare la morale  ma di voler soltanto renderla più personale, mettendo in maggior evidenza, vorrei dire “deificare” la cosiddetta personalità umana.

“Non si nega il Concilio, dice Paolo VI, ma pensandolo già superato e non ritenendo di esso che la spinta riformatrice senza riguardo di ciò che quelle solenni assise della Chiesa hanno
stabilito, vorrebbero andare oltre, prospettando non già riforme, ma rivolgimenti che credono da sé autorizzare, e che giudicano tanto più geniali quanto meno fedeli e coerenti con la tradizione, cioè con la vita della Chiesa, e tanto più ispirati quanto meno conformi
all’autorità e alla disciplina della Chiesa stessa, ed ancora tanto più plausibili quanto meno differenziati dalla mentalità e dal costume del secolo”. Così dice Paolo VI.

Ma esiste una medicina che garantisce la salute dell’anima, un’arma che garantisce la vittoria, un mezzo che ci rende invincibili.  Quale? La roccia su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa: PIETRO, il PAPA. “Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa”
(Mt. 16, 18).

E chi è il Papa? Rispondiamo con Paolo VI: “Il Signore stesso ha voluto definire la persona di Colui che Egli sceglieva come primo dei suoi discepoli, dalla missione che gli conferiva: non si sarebbe più chiamato Simone, figlio di Giona, ma Pietro, suo nome d’ufficio; dove
è evidente che Gesù dava al suo eletto una virtù particolare, e un ufficio particolare, raffigurati l’uno e l’altro nell’immagine della pietra, della roccia; e cioè la virtù della fermezza, della stabilità, della solidità, dell’immobilità, sia nel tempo che nelle traversie
della vita; e l’ufficio di fungere da fondamento, da caposaldo, da sostegno, come Gesù stesso disse nell’ultima cena a Pietro medesimo: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc. 22,32). Pietro doveva essere la base sulla quale tutta la Chiesa del Signore è costruita. Il pensiero di Cristo è chiarissimo”….

“E’ da ricordare poi, dice sempre Paolo VI, che nella Sacra Scrittura la figura della Pietra è dapprima riferita a Dio, come spesso si incontra nell’Antico Testamento; poi è riferita al Messia, a Cristo medesimo, la pietra viva e angolare (1Pietro, 2, 4-6). Ma poi da Gesù la figura della Pietra è attribuita al p
rimo degli Apostoli. “Dio, Pietra, Cristo, Pietro, il Papa”.

Ecco, cari confratelli, l’unico parametro a cui tutto riferire: idee, dottrine, teorie, movimenti, tendenze, progetti, per verificare la loro ortodossia e la loro capacità di salvezza e di produzione di grazia.

Cari confratelli, solo col Papa e nel Papa si viene ad attuare quella unità, quella comunione con Cristo e con Dio, unità per la quale Gesù rivolse al Padre quella sublime preghiera del Cenacolo; unità che si allarga in giri concentrici da Pietro all’ordine sacerdotale, e da questo a tutto il popolo di Dio. Obbedienza totale e devota, sincera e fattiva al Santo Padre.

Ecco la salvezza nostra e delle anime che saranno a noi affidate. Ho finito, cari confratelli, e termino chiedendo al Signore per me, e per tutti voi che partite, per tutti i membri della nostra famiglia missionaria, per tutto il Clero del mondo intero, la grazia di rimanere fedeli a questa invocazione: “Padre Santo, ecco la nostra docilità in ascoltarvi come Maestro; la nostra prontezza di obbedienza come a Pastore, la nostra generosa tenerezza di amore come a Padre delle anime nostre e di tutto il Popolo di Dio”. La Madonna ci aiuti e ci benedica.

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ZENIT Staff

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