di Rosario Sitari
Segretario Nazionale Associazione Italiana Docenti Universitari
ROMA, giovedì, 28 giugno 2012 (ZENIT.org).- Se non è giustificato un atteggiamento di condanna sommaria e aprioristica del mercato globalizzato rimane in tutta la sua interezza il problema di dominare i tre paradossi sociali della globalizzazione:
l’aumento delle disuguaglianze che avviene in un contesto generalizzato di aumento della ricchezza e del reddito medio;
la crescita senza occupazione che procede in parallelo con lo sviluppo del processo di mondializzazione dei mercati;
l’andamento del reddito pro-capite che non solo non garantisce l’accesso al sapere, ma ne esclude un numero elevato di persone.
Si tratta allora di passare da una globalizzazione egemonizzata dagli aspetti finanziari ad una globalizzazione altra: capace, cioè, di superare concetti parziali e riduttivi dell’uomo in modo da recuperare un’etica della responsabilità e della reciprocità all’interno della stessa visione economica.La questione è molto seria tanto più che essa si colloca in un contesto in cui il peso egemone dei fondamentalisti del mercato è riuscito a frustrare, e talvolta a demonizzare, ogni tentativo di governo della situazione. Il buonsenso stenta a farsi strada per constatare che la concorrenza senza regole distrugge se stessa1 e che un’economia senza guida ha effetti devastanti.
Forse ciò è dovuto al fatto che le ideologie sociali che sono oggi alla base della convivenza civile sono incorse in due errori di riduzionismo antropologico:
l’ideologia collettivistica ha ridotto la persona a un insieme di rapporti sociali negandone l’individualità;
l’ideologia liberistica, al contrario, interpreta la persona in termini individualistici negandone la dimensione sociale.
I tempi sembrano maturi per affermare un nuovo tipo di razionalità in cui la persona è sempre fine e mai mezzo, è individuale e, insieme, comunitaria.
Le linee di pensiero che emergono in tema di globalizzazione sono tre:
il fondamentalismo del mercato: “I fondamentalisti del mercato vorrebbero abolire i processi decisionali collettivi e imporre la supremazia dei valori del mercato su tutti i valori politici e sociali”2. Gli inconvenienti che da questa concezione derivano non vengono negati, sono considerati incidenti di percorso che si risolvono col decorso del tempo, automaticamente, con la mano invisibile del mercato.
Il globalismo vissuto come minaccia alle specificità comunitarie ed etniche: si erigono barriere che fanno leva sul sociale, sulle religioni e sulle culture. Queste barriere sono spesso fonte di instabilità e perciò le etnie, le religioni e le culture vengono identificate col pericolo che incombe sul nuovo ordine mondiale.
Il globalismo riformista punta sul fattore istituzionale e su regole comuni condivise per il governo di una globalizzazione rispettosa delle diverse identità.
Nel globalismo riformista trova spazio un nuovo stile di razionalità fondato su tre principi:
il principio della destinazione universale dei beni che dà una dimensione etica all’attività economica e al lavoro produttivo;
il principio di solidarietà che esprime l’inscindibilità e la reciprocità tra l’io individuale e l’io sociale;
il principio di sussidiarietà3 che sostiene un tipo di organizzazione sociale nel quale è possibile coniugare solidarietà e libertà. La sussidiarietà, quella orizzontale – dove le diverse articolazioni sociali concorrono in autonomia a far fronte alle esigenze del bene comune così come si manifesta nei vari punti del sistema – evoca un modo di “fare economia” all’interno del mercato e identifica l’«economia civile»4.
E’ sorprendente “il contrasto tra il carattere consapevolmente non etico dell’economia moderna” e la sua evoluzione storica in cui l’economia è considerata parte dell’etica o, comunque, associata a quest’ultima. L’economia trae origine dalla politica: poiché la politica deve utilizzare le altre scienze pratiche, come l’economia, il fine della politica finisce col comprendere quello delle altre. Il “bene umano” riguarda perciò, al tempo stesso, l’economia e la politica. L’economia è poi collegata all’arte di governo: qui è di tipo “ingegneristico”, più che sui fini pone l’accento sull’impegno di trovare i mezzi adeguati per raggiungere quei fini.
Le caratteristiche legate all’etica e quelle legate alla concezione ingegneristica sono entrambe presenti negli scritti degli economisti, ma se può parlarsi, per un certo periodo, di equilibrio tra i due approcci dell’economia, l’importanza dell’approccio etico si è andata via via attenuando man mano che l’economia si affermava come scienza autonoma5. Tuttavia è da circa un ventennio che si registra un mutato clima di attenzione sul confine tra economia e etica6.
Eppure, nonostante sia stato trascurato l’approccio etico, la teoria dell’equilibrio economico generale7 ha portato alla luce il concetto di interdipendenza. Da un approccio ingegneristico è venuto forse il più grande contributo alla comprensione della natura dell’interdipendenza sociale .
È straordinario come la concezione “stretta” della razionalità, che sulla scia di Walras e Pareto vede soltanto l’aspetto quantitativo dei fenomeni economici, abbia avuto una conseguenza impensata: la solidarietà da categoria morale si è trasformata in categoria logica all’interno dell’interdipendenza economica, assumendo perciò una connotazione e un’incidenza assai più significative sia nel sociale, sia nel politico.
Ed è altrettanto straordinario che la concezione moderna dello sviluppo postula l’integrazione di tre dimensioni: la dimensione ecologica (biodiversità, resilienza, inquinamento), la dimensione sociale (povertà, equità intra e intergenerazionale, cultura) e la dimensione economica (efficienza, crescita stabile).
Non potendosi massimizzare contemporaneamente gli obiettivi di ognuna, vanno compiute scelte per armonizzare le tre esigenze a un livello ottimale. Ed è proprio dalla mediazione di queste tre esigenze che è nata la politica dello «sviluppo sostenibile»8.
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NOTE
1 La storia dell’economia dimostra che la concorrenza non è stata tutelata dal mercato, ma dalle leggi anti-trust.
2 Cfr. G. Soros, La crisi del capitalismo globale, Ponte alle Grazie, Milano, 1999.
3 Lo scopo del Principio è di permettere che i cittadini rivitalizzino i corpi intermedi e che diventino protagonisti dello sviluppo e del governo del loro territorio. Per una sintetica e chiara descrizione della situazione sull’applicazione del Principio di Sussidiarietà in Italia è consigliabile la lettura dello scritto di F. Occhetta, La sussidiarietà: da principio a prassi, La Civiltà Cattolica 2012 I 126-139.
4 Cfr. R. Sitari, La solidarietà nel mondo globalizzato, STUDIUM, fascicolo n.4-2009.
5 Cfr. A. Sen, On Ethics and Economics, Basil Blackwell, Oxford 1987, cap. I.
Dalla ripresa di interesse sui rapporti tra economia ed etica emerge una problematica di rilievo sia per la teoria economica, sia per la riflessione filosofica. Cfr. F. Marzano, Economia ed etica, Rivista di teologia morale, fascicolo n. 107, 1995.
6 Cfr. S. Zamagni, Economia e Etica – saggi sul fondamento etico del discorso economico, Ave, 1994.
7 Per un’esposizione della teoria dell’equilibrio economi
co generale di L. Walras, è consigliabile la lettura del volume di C. Napoleoni, L’equilibrio economico generale, Boringhieri, 1965, cap.1, “La formulazione generale della teoria walrasiana dell’equilibrio nella produzione e nello scambio”.
8 Cfr. R. Sitari, Lo sviluppo delle Biotecnologie tra etica, scienza e politica, LUMSA, Università, Supplemento a Lumsa News mensile, n. 11-12 novembre-dicembre 2007, Ristampa a cura dell’APVE, Roma, 27 ottobre 2008.