Coloro che non appartengono alla morte

Vangelo della XIII Domenica del Tempo Ordinario

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 28 giugno 2012 (ZENIT.org).- Sap 1,13-15; 2,23-24

Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi.(…) Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto a immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che le appartengono”.

Mc 5,21-43

In quel tempo,..uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, come vide Gesù gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”.(…)

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni,..udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”…E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.

Giunsero alla casa del capo della sinagoga. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. E lo deridevano. Ma egli,…prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: alzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni.”.

La prima Lettura di questa Domenica si chiude con parole misteriose: “Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24).

Cosa significa quest’ultima precisazione? Chi sono quelli che appartengono alla morte e quelli che non le appartengono?

Per credere alla possibilità per un mortale di non appartenere alla morte, è necessario abolire l’idea della morte come “The end”: fine del romanzo della vita, fine della nostra storia.

Certo, l’evento della morte, improvviso come un lampo o lento come candela che si consuma, è un dato biologico che appartiene alla natura umana, ma al principio non fu così; infatti:“Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto a immagine della propria natura” (Sap 2,23).

Avendo creato l’uomo simile a Sé, Dio lo ha fatto libero e responsabile, e lo ha dotato della luce della coscienza mediante la quale può discernere il bene e il male ed agire sulla propria volontà per fare concretamente l’uno o l’altro.

Ora, se Dio non ha creato il male e la morte non esisteva, come ha potuto il diavolo farla entrare nel mondo? Che cos’è la morte? Esiste davvero?

La Sacra Scrittura rivela anzitutto che Dio ha creato il mondo per iniziare una storia d’amore eterno con l’uomo, da Lui voluto immortale; se dunque “la morte è entrata nel mondo” (Sap 2,24), ciò è accaduto per conseguenza di quella “rovina dei viventi” (Sap 1,13) che è stata ladisobbedienza dei nostri progenitori.

I movimentati colpi di scena del Vangelo di oggi fanno riflettere sull’assoluto potere di Gesù sulla vita e sulla morte.

Il cuore di una fanciulla dodicenne si era improvvisamente fermato. Gesù non è arrivato in tempo a salvarla, ma per lui l’urgenza non sussisteva: si trattava solo di sonno profondo. Viene deriso, ma ha ragione: “la bella addormentata” si sveglia con due sole parole: “Talità kum!”, più efficaci di una defibrillazione ventricolare.

Poco prima, senza nemmeno una parola, il Signore aveva guarito una donna affetta da emorragie croniche. La sua malattia non era mortale, ma per la Bibbia il sangue è sinonimo di vita e la sua perdita ha un significato di morte, come si può cogliere nel dato comune dei “dodici anni”: rispettivamente l’età della fanciulla morta e la durata della malattia della donna.

Possiamo perciò leggere nei due miracoli operati da Gesù, la verità pasquale della morte. Essa non è il mostro che divora la vita annientandola, ma il parto che la fa passare dal buio chiuso del grembo terreno alla Luce intramontabile del trionfo di Cristo, vita e risurrezione dell’uomo e del mondo intero.

Torniamo, per concludere, alle parole del libro della Sapienza: “Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24).

Ecco: il cristiano è uno che sa di non appartenere alla morte, ma alla Vita.

Cristo infatti, al Quale egli appartiene, è per lui fin dal Battesimo “la risurrezione e la vita” (Gv 11,25). Tale consapevolezza di fede può essere tanto profonda da superare la naturale “biologica” angoscia della morte: “Figlia, la tua fede ti ha salvata” (Mc 5,34).

Perciò, a colui che ontologicamente non appartiene alla morte (poiché è “già risorto con Cristo” – Col 3,1), anche se muore, è dato realmente di non fare l’esperienza della morte, ma quella della presenza viva e vivificante di Colui al quale egli appartiene, Gesù, Autore della Vita (At 3,15) e Vita in sé stesso.

Non direi facilmente una cosa simile se non l’avessi vista con i miei occhi.

Voglio ricordare qui un mio confratello anziano, che assistetti in convento da cardiologo durante una penosissimo stato di edema polmonare refrattario, che si protrasse per più di un’ora. Sembrava un uomo che sta per affogare, con una disperata fame d’aria, eppure ogni volta che “riemergeva” con voce rantolante riusciva a dire “grazie!…grazie!…grazie!..”.

Dal suo volto disfatto (pur in quella drammatica sofferenza riusciva a sorridere!), traspariva una luce soprannaturale che rimase come “fotografata” quando si accasciò esausto e sereno.

Vengono allora in mente le parole di un grande vescovo e martire: “E’ impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all’Essere divino. Orbene, tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio” (Sant’Ireneo, Trattato contro le eresie, Lib. 4, 20, 5-7).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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