di Carmine Tabarro
Comunità Cattolica Shalom
ROMA, martedì, 26 giugno 2012 (ZENIT.org).- La crisi di cui si è discusso a Rio+20 è figlia a quella di cui si parla al G20: difatti anche Rio+20 è frutto di un modello di sviluppo che non tiene in considerazione il bene comune ne dal un punto di vista economico, finanziario, sociale e ambientale.
Invece il mondo globalizzato ha bisogno di un nuovo modello fondato sulla sostenibilità rispetto dell’uomo e del creato.
A distanza di 20 anni dal Earth Summit di Rio del 1992, i dirigenti del mondo politico ed economico si sono ritrovati nella stessa città per una conferenza mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, denominata Rio+20, con la missione di riprendere il cammino per promuovere lo sviluppo senza danneggiare l’ambiente e cercare nuove strategie per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile a livello globale.
Purtroppo, lo sviluppo sostenibile viene declinato solo dal punto di vista ambientale, dimenticando come affermava già Paolo VI nella sua Populorum Progressio, “tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo” e tale “autentico sviluppo dell’uomo”, quando avvenga con le modalità su dichiarate, “riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione”.
Questa affermazione di Paolo VI suggerisce una prospettiva di lungo periodo, ma questa cultura della sostenibilità non è stato valutata dai policy-makers una priorità assoluta nell’agenda politica dia fronte di problemi economici ritenuti più urgenti.
In maniera profetica Paolo VI sempre nell’enciclica Populorum Progressio ricorda in tal senso che le Istituzioni in sé non sono garanzia di sviluppo, benessere e rispetto dell’uomo.
Difatti l’attuale recessione mostra quanto sia vero che le Istituzioni non sono state in grado né di dare vita ad una sostenibilità dello sviluppo, né di garantire uno sviluppo durevole. Questo è il problema che incide in maniera preponderante sulla salute del sistema economico globale.
Questo squilibrio ha provocato una riduzione tendenziale della domanda aggregata delle famiglie ed un conseguente rallentamento del tasso di crescita dell’economia nei paesi industrializzati.
La riduzione sistemica della domanda aggregata delle famiglie è stata in parte compensata dal crescente indebitamento delle stesse e da un impetuoso processo di finanziarizzazione che ha accresciuto progressivamente il contributo del settore FIRE (Finance, Insurance and Real Estate) alla formazione del reddito.
Il FIRE, dapprima ha sottomesso la politica e nonostante una legislazione mondiale di favore, non è riuscita a mantenere il tasso di crescita tendenziale dei paesi industrializzati al livello del periodo di Bretton Woods (1945-1971), dominato da una politica economico-sociale di tipo Keynesiano, ed hanno messo a repentaglio la stabilità finanziaria del sistema mondiale.
A sua volta la crisi finanziaria ha deteriorato considerevolmente gli indici di sostenibilità ambientale, economica, sociale, in un circolo vizioso che rischia di propagarsi per un lungo periodo di tempo.
Ma la crisi non sarebbe forse neppure iniziata se come ha scritto Benedetto XVI nel n. 67 dell’enciclica Caritas in veritate, si fosse dato vita ad un “governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità”.
Ne è prova il picco del prezzo del petrolio del luglio 2008 non dovrebbe essere interpretato come un fenomeno casuale, ma come l’indice di un sistema energetico insostenibile basato sull’uso dei combustibili fossili che hanno vincoli di scarsità stringenti e sono i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico e dei danni conseguenti all’alterazione della qualità dell’aria.
Inoltre, anche tenendo conto delle fonti di petrolio non convenzionali, la maggior parte degli studi esistenti prevedono che l’offerta di petrolio sia destinata a raggiungere negli anni a venire il picco della cosiddetta curva di Hubbert per poi cominciare a decrescere nel tempo.
In assenza di provvedimenti urgenti e massicci che accelerino la transizione ad un sistema energetico alternativo basato sulle fonti di energia rinnovabile, il prezzo del petrolio sarà presumibilmente un ostacolo insormontabile alla sostenibilità della ripresa economica.
Nonostante il cattivo giudizio espresso dalle associazioni ambientaliste, siamo convinti che bisogna guardare avanti con coraggio e speranza.
E’ molto positivo il punto di vista della Santa Sede che invece è riuscita nell’intento di separare le politiche di salvaguardia del creato dall’imposizione di programmi per la riduzione delle nascite.
Nel documento finale ci sono punti positivi sicuramente apprezzabili, come l’affermazione che l’uomo è il centro dell’economia e anche la definizione di ciò che va meglio compreso come l’economia sostenibile.
I tre punti di riferimento sono: lo sviluppo economico in quanto tale, lo sviluppo sociale che pone l’uomo, l’essere umano nel centro della preoccupazione e che l’economia sostenibile sia anche ecologicamente sostenibile, quindi che abbia sempre in considerazione anche l’ecosistema.
Altro dato positivo di questa Conferenza è stata la presenza di circa 190 rappresentanti di Paesi. Questo testimonia un crescente interesse della comunità internazionale sulle tematiche ambientali e dei vecchi e nuovi beni comuni. Questo fa cultura contribuisce a cambiare gli stili di vita.
Il rammarico nasce per l’assenza di alcuni capi di Stato, di Paesi importanti come la stessa Italia, gli Stati Uniti, il Giappone… I maggiori protagonisti sono stati i Paesi in via di sviluppo, sempre più leadership nel campo dei temi globali.
Un ruolo importante è stato svolto anche dalla Santa Sede, in cui sono stati ribaditi tutti i temi del Magistero Papale e in particolare di Benedetto XVI. E’ stato riaffermato il significato autentico del progresso come vocazione umana, un appello trascendente cui l’uomo non può e non sa rinunciare: in tal senso nascerebbe l’esigenza di coniugare la tecnica al suo significato.
Lo sviluppo umano integrale come vocazione esige anche che se ne rispetti la verità. La vocazione al progresso spinge gli uomini a “fare, conoscere e avere di più, per essere di più”; e, in tal senso, la Dottrina sociale della Chiesa ha il pregio di essere il viatico per questa affermazione integrale dello sviluppo umano.
Il Vangelo sarebbe elemento fondamentale dello sviluppo, perché in esso Cristo, “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo”. Infatti, “quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il bene comincia a svanire”.