di padre Angelo del Favero*
<p>ROMA, giovedì, 21 giugno 2012 (ZENIT.org).- Is 49,1-6
“Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.(…) Mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria.(…) Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra.”.
Salmo 139,13.15
“Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra”.
Lc 1,57-66.80
“Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio.(…) Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: “Che sarà mai questo bambino?. E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.”.
La festa della nascita di san Giovanni Battista è molto antica e significativa: essa fu istituita nel IV secolo, e la data del 24 giugno, che cade sei mesi prima del Natale, esprime il suo riferimento alla nascita di Gesù, secondo l’indicazione data dall’angelo a Maria nove mesi prima: “Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,36-37).
Nonostante questa precisa cronologia, l’oggetto essenziale della festa odierna non va riconosciuto nel fatto in sé della nascita del Battista (sottolineata oggi da Luca: “Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio”), ma anzitutto nell’evento del suo concepimento, cui fanno indiretto riferimento sia la prima Lettura: “il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1), sia il Salmo: “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra” (Salmo 139,13.15).
“Giovanni è il suo nome”, scrive Zaccaria sulla tavoletta (Lc 1,63), obbedendo così al comando dell’angelo che gli aveva detto: “Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni” (Lc 1,13). Ora, “Giovanni” significa “dono di Dio” (“Jehohana”), quel dono del figlio tanto atteso dagli anziani coniugi e finalmente concesso dalla Sua misericordia mediante la ri-creata fecondità del grembo di Elisabetta, che può concepire il figlio Giovanni nell’età della fisiologica menopausa.
Il “nome” perciò, va riferito, personalmente, al figlio appena concepito.
Le parole pronunciate da Zaccaria otto giorni dopo la nascita del Battista, non risolvono semplicemente la questione anagrafica, ma indicano la verità biblica del suo “nome”, verità assolutamente universale: con il dono della vita, Dio assegna ad ogni uomo concepito una missione di amore personale, a beneficio dell’intera l’umanità.
Si tratta, per ognuno di noi, del progetto divino rivelato nel N.T. da san Paolo in termini grandiosi: “In Lui (Cristo) ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità; predestinandoci ad essere per Lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà..” (Ef 1,4-5).
Per il Padre che ci ha creato, dunque (ed è questa la coscienza che ognuno deve avere del valore e della dignità della propria ed altrui vita), il dono del concepimento significa chiamata, vocazione, predestinazione in Cristo. E’ questo il significato profondo del “nome” personale.
Chiamato per nome dal suo Creatore, ogni uomo può far proprie, sin dal grembo della madre, le parole di Paolo: “questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). E’ questa la sintesi che Paolo fa del proprio “nome”.
Il piccolo Giovanni, quando gli si avvicinò Gesù portato da Maria si mise a sobbalzare di gioia nel grembo di Elisabetta, e se anche a lui come al padre Zaccaria gli si fosse sciolta per miracolo la lingua, avrebbe potuto indicare il motivo di tanta felicità usando le stesse parole di Paolo ai Galati.
Sì, c’è un filo conduttore nella vita di ogni uomo che Dio intreccia con essa fin dal primo istante in cui la crea. Si tratta, per così dire, di due fili indissolubili, come nella doppia elica biologica del DNA. Perciò la sequenza storica degli avvenimenti personali non è mai assemblata casualmente dal “destino”, ma fa parte di quel cammino di predestinazione in Cristo che è intrinseco al nostro stesso “nome”, cioè al dono della vita ricevuto al concepimento.
E come ognuno dei due fili del DNA opera necessariamente in relazione con l’altro, così una profonda reciproca relazione con Dio sta a fondamento della libertà umana. Tale relazione filiale è indicata dal “nome” personale, che è incessantemente conosciuto, pronunciato e ‘compiuto’ da Dio.
E il nome di questa relazione vitale di libertà e di amore con Dio, è “fede”.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.