di Elmar Salmann
ROMA, sabato, 16 giugno 2012 (ZENIT.org).– Pubblichiamo in seguito la «Prefazione» del professor Elmar Salmann OSB al libro di Robert Cheaib, Itinerarium cordis in Deum. Prospettive prelogiche e metalogiche per una mistagogia verso la fede alla luce di V.E. Frankl, M. Blondel e J.H. Newman.
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Le (auto-)biografie e i romanzi di formazione godono di grande popolarità presso il pubblico. In loro assistiamo al plasmarsi del cuore e della forma di una vita, di come una persona rintraccia le orme e la sagoma del suo destino e della sua vocazione, e trova la fecondità, il timbro e la musica di fondo che dà a tutto ciò che dice e compie un suo tocco inconfondibile.
Ed è nel cuore ove confluiscono e dal quale irradiano tutte le correnti della vita. Cosa sarebbe un uomo senza cuore? Gli verrebbero a mancare la letizia, la forza e la delicatezza dell’amare, la sua impressionabilità e vulnerabilità nonché la sua espressività e poeticità, il suo credere e dubitare, il suo ri-cordarsi e rin-cuorarsi.
Dalle Confessiones di Agostino fino a quelle di Rousseau, dal Guglielmo Meister di Goethe fino a Enrico il verde di Gottfried, siamo affascinati dall’emergere lento e sorprendente di una personalità, di una Bestimmung. Generazioni di italiani si sono riconosciuti nel diario immaginario di un ragazzo di terza elementare, Enrico Bottini, che narra gli episodi, lieti e tristi, di un intero anno scolastico, annotando via via le proprie impressioni su un quaderno che poi anni dopo stilerà con l’aiuto di suo padre. I sentimenti, i valori, gli ideali, le sofferenze e le gioie espresse in questo libro di Edmondo De Amicis ha forgiato per decenni l’autoimmagine ideale-laicale-patriottica degli italiani, come la loro anima onirica ha trovato il suo riscontro fantasioso nelle avventure, ardite e angoscianti, di Pinocchio, che nel suo correre scopre ed evolve la sua destinazione umana.
E se tutto questo nostro errare fosse una ricerca sofferta, gaia, spesso anonima di un Dio che avrebbe da dare il suo cuore? Non un idolo qualsiasi, nato dalle proiezioni e farneticazioni dell’animo umano, ma un Dio la cui essenza sarebbe la forza e la soavità della reconnaissance, dell’amicizia (come lo propone Tommaso d’Aquino nelle pagine memorabili della SCG IV, 21-23) e pietas: quae te vicit clementia… ipsa te cogat pietas… come canta l’inno della festa dell’Ascensione, un Dio quasi sconfitto dalla propria pietà, da quella misericordia che è il centro e la dinamica del suo cuore forte e vulnerabile che poi si rivelerà nel cuore trafitto e trasfigurato del Figlio.
La storia del romanzo di formazione e dell’uomo troverebbe così il suo compimento nell’Itinerarium cordis in Deum, al quale il saggio di Robert Cheaib ha cercato di dare un volto e uno statuto teologico.
Il lavoro si distingue per il connubio raro e felice tra elementarità e raffinatezza/sublimità, e in questo riflette un tratto significativo di ogni grande cosa/causa, del credere, amare e sperare, dell’arte, del testimoniare e generare la vita, di nascita e morte.
Assistiamo ammirati al lento forgiarsi ed emergere di una sensibilità religiosa, cristiana ed ecclesiale di cui i tre autori interpellati sono testimoni, tappe, stagioni, coscienze riflettenti e riflettute – un intrigo semplice e complesso, basale e ardito. Cheaib legge i tre autori come soggetti della e alla fede vissuta e ripensata, di una testimonianza imposta ed abbracciata, come personaggi di un dramma di vita, di bio-grafia, come laboratorio vivido e vivente, dal e nel quale si evidenziano con naturalezza le categorie dell’ultima parte per designare la fisionomia di una fede inverata, riprovata, rilevante.
Un Itinerarium che convince per la sua lucidità ermeneutica e dialettica (p.e. come Nietzsche e Lessing vengono introdotti come istanze in controluce), per la forza incisiva di riflessione e di empatia, il suo pathos religioso e il suo gesto linguistico; una costellazione non comune tra intelletto, afflato mistico e cultura. Un bel pezzo di teologia fondamentale che ne riprende e rinnova le domande ed istanze sul piano contenutistico e formale, dinamico e musicale, esistenziale e teorico; ne nasce una fenomenologia del credere sotto le condizioni avverse e stimolanti dell’epoca presente.
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