L'Origene ritrovato

Clamorosa scoperta nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco: ritrovate ventinove omelie inedite di Origene

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da L’Osservatore Romano

ROMA, mercoledì, 13 giugno 2012 (ZENIT.org) – È con ogni probabilità la scoperta del secolo quella di una filologa italiana nella biblioteca di Monaco di Baviera, annunciata ieri dalla stessa Bayerische Staatsbibliothek.

Nel pomeriggio dello scorso 5 aprile, Giovedì santo, studiando un codice bizantino dell’XI secolo, il Monacense greco 314, Marina Molin Pradel si è infatti accorta che alcune omelie sui Salmi in esso contenute corrispondevano a quelle di Origene all’inizio del V secolo. E subito dopo Pasqua, estendendo i controlli sul manoscritto, la studiosa è arrivata alla conclusione che tutte le 29 omelie contenute nel codice, finora inedite, sono del grande intellettuale cristiano.

Nella prima metà del III secolo Origene aveva dettato sul Salterio una serie imponente di opere che hanno presto avuto un influsso decisivo sull’esegesi biblica sia greca sia latina. Ma proprio la loro estensione, oltre alla condanna del 553, ne spiega la quasi totale perdita, già in epoca antica.

Le omelie non recano il nome dell’autore, evidentemente a causa della damnatio memoriae in cui incorse il grande alessandrino a causa delle condanna ufficiale impartita ai suoi danni dal concilio ecumenico costantinopolitano del 553.

La scoperta, come già accennato, si deve all’intuito e all’acribia della ricercatrice la quale, incaricata di lavorare al catalogo dei manoscritti della biblioteca, imbattutasi nel codice, ha identificato il suo contenuto come sicuramente origeniano, sulla base soprattutto del confronto delle omelie sul salmo 36, ivi contenute, con la traduzione latina in nostro possesso, eseguita agli inizi del V secolo da Rufino di Aquileia.

In effetti la grandissima importanza della scoperta sta nel fatto che dell’immensa opera soprattutto esegetica di Origene, a causa della suddetta condanna, molto è andato perduto, e di quanto si è salvato solo relativamente poco è giunto a noi nella lingua originale e molto di più, invece, in traduzione latina, dato che in occidente, nonostante la condanna, si continuò a leggere e utilizzare gli scritti origeniani tradotti durante tutto il medioevo.

In particolare, dei cicli di omelie predicate da Origene negli anni intorno al 240 nella Chiesa di Cesarea di Palestina solo di alcune su Geremia conoscevamo l’originale greco, a fronte di raccolte su Genesi, Numeri e altri libri biblici conosciute solo in traduzione latina.

Particolarmente grave era la perdita di tutta la grande opera d’interpretazione dei Salmi sia in omelie sia in commentari, a eccezione di poche omelie tradotte in latino, in quanto a suo tempo essa fu considerata l’opus maximum del grande esegeta sia quanto alla mole degli scritti sia per l’eccellenza dell’interpretazione. Oggi finalmente siamo in grado di colmare almeno in parte la grave lacuna.

Non esagero se parlo di grave lacuna quanto alla perdita sia specificamente dell’esegesi dei Salmi sia, più in generale, del complesso degli scritti origeniani. Origene fu il più grande rappresentante delle lettere cristiane nel mondo antico e il suo influsso è stato immenso sulla riflessione dottrinale e sulla spiritualità in genere sia in oriente sia anche in occidente, in quanto si è esercitato prima della condanna definitiva.

Questa fu conseguenza del clima di assoluta intolleranza che si instaurò, soprattutto in oriente, a partire dal v secolo, per cui non si tenne conto del tantissimo di valido e positivo che si riscontrava negli scritti di Origene a fronte di alcune ipotesi dottrinali valutate come erronee alla luce dei progressi della successiva riflessione in argomento.

La condanna ha ovviamente nuociuto per lunghi secoli alla sua fama e ha provocato la scomparsa di buona parte delle opere, soprattutto nell’originale greco. In occidente Origene fu caro ad alcuni umanisti — soprattutto a Erasmo («imparo più da una pagina di Origene che da dieci di Agostino») — ma incorse nelle ire dei riformatori, in quanto la sua strenua affermazione del libero arbitrio si opponeva frontalmente al rigido predestinazionismo di Lutero (si ricordi il suo de servo arbitrio) e di Calvino.

Di qui la sottovalutazione del suo pensiero nella cultura tedesca dell’Ottocento, che volle vedere in lui soprattutto il filosofo che aveva contribuito come nessun altro all’ellenizzazione del messaggio apostolico.

La reazione a tale stato di cose — promossa già negli anni Quaranta del secolo scorso da Daniélou e de Lubac, i quali richiamarono l’attenzione soprattutto su Origene maestro di spiritualità, e portata avanti successivamente da studiosi soprattutto francesi e italiani — ha imposto la grande figura di Origene ai cultori dell’antico cristianesimo, con grande ricaduta, non sempre positiva, nell’ambito degli studi sia in Europa sia in America.

Benedetto XVI, tra le tante novità che ha promosso anche in ambito culturale, ha sanzionato ufficialmente e conseguentemente contribuito a dilatare questa diffusa tendenza di studio, presentando, alcuni anni fa, la persona e l’opera di Origene ai tantissimi intervenuti all’udienza pubblica del mercoledì. Che la scoperta di questo nuovo codice origeniano si sia avuta proprio nella regione natia di Joseph Ratzinger assume in questo senso valore emblematico.

Per tornare alla clamorosa scoperta e alla sua contestualizzazione, va debitamente rilevato che si tratta di un codice conservato in una grande biblioteca della Germania. Mi spiego. Al giorno d’oggi le nostre conoscenze delle antiche lettere in lingua greca e copta si arricchiscono grazie alla scoperta di papiri in Egitto. Per limitarmi a Origene, ricordo i ritrovamenti di Tura, nei pressi di Alessandria, ai quali dobbiamo la conoscenza di scritti, prima non conosciuti, di Origene e del fervente origeniano Didimo il Cieco.

Molto più rare sono le scoperte di opere prima non conosciute in manoscritti conservati in biblioteche dei Paesi d’occidente. Se tutte queste biblioteche fossero dotate di cataloghi ben fatti, tutte le opere contenute nei codici di queste biblioteche sarebbero conosciute.

Disgraziatamente i cataloghi di molte, troppe biblioteche sono ancora lacunosi e anche mal fatti, sì che tuttora conservano opere non conosciute, che solo l’acribia di qualche ricercatore porta alla luce. Ricordo le scoperte, in anni ormai passati, di Morin, Wilmart, Etaix e qualche altro, che ci hanno fatto conoscere personalità letterarie di buon rilievo, prima quasi del tutto sconosciute, quali Gregorio di Elvira e Cromazio di Aquileia.

In anni più recenti ricordo la scoperta di un gruppo di lettere e, successivamente, di una silloge di omelie di Agostino. Quest’ultima fu identificata da Dolbeau in un codice di Magonza del XV secolo, quanto mai recente e perciò fino allora trascurato anche in quella Germania che dalla fine del Settecento ai primi anni del Novecento ha praticamente monopolizzato gli studi sull’antichità classica e anche cristiana.

Il codice scoperto or ora non soltanto è conservato in una grande biblioteca tedesca ma è dell’xi secolo, datazione alta per un codice greco. Da tutto questo ricaviamo un importante insegnamento: anche se conservati in biblioteche importanti di Paesi culturalmente molto evoluti, i codici che tramandano antichi scritti sia classici sia cristiani, se esaminati con maggiore attenzione di quanto non sia stato fatto finora, possono riservare tuttora importanti sorprese.


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ZENIT Staff

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