ROMA, sabato, 9 giugno 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo stralci dell’introduzione al libro di Maurizio Soldini “Il linguaggio letterario della bioetica” appena pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana.
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di Maurizio Soldini
Nel 1970 l’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter coniava un neologismo: bioethics1 Lo studioso auspicava una nuova disciplina che si facesse carico delle problematiche morali nel campo delle scienze della vita e che potesse rappresentare un ponte gettato nel futuro per poter permettere all’uomo una sopravvivenza globale2 Van Potter era convinto che per ottenere questo le discipline scientifiche dovessero confrontarsi e integrarsi con le discipline umanistiche. Insomma sembrava diventato prioritario che la cultura, divisa e spesso non più in grado di riuscire a parlare e confrontarsi su problemi come quelli riguardanti la vita, dell’ecosistema e dell’uomo, tentasse di recuperare il terreno perduto della sua unità cercando di far tornare a parlare tra loro due linguaggi ormai divenuti reciprocamente incomprensibili, quello scientifico e quello umanistico.
La bioetica compie quest’anno 40 anni. E questi anni, pur avendoli concretamente, non li dimostra. E non li dimostra non perché, come solitamente si dice, sembra essere più giovane rispetto agli anni che ha, ma perché in effetti ne dimostra molti di più. La bioetica sembra mostrare la sofferenza di un invecchiamento precoce. Circa 15 anni fa, quando la nostra disciplina compiva 25 anni, sembrava essere nel fiore della sua crescita3
Pullulavano a livello accademico incontri, dibattiti, congressi, master, corsi di perfezionamento; venivano pubblicate decine e decine di libri e numerosi erano gli articoli su riviste4.
Insomma, sembrava che le dispute bioetiche avessero preso quel verso giusto prospettato e auspicato da Van Potter. In quegli anni scienziati, medici, giuristi, teologi, filosofi, psicologi si sono gettati nell’agone bioetico e hanno cominciato ad affrontare le problematiche morali scaturite dal progresso scientifico e tecnologico. Spesso con una presa di posizione da parte dei vari soggetti nei riguardi di una liceità morale e legale delle pratiche sanitarie. Una volta che le posizioni si andavano delineando e si sono delineate, la bioetica come disciplina ha iniziato ad arrancare e tutta quella movimentazione e quel fervore culturale si andava pian piano spegnendo per arrivare ad oggi, quando basta scorrere la produzione di libri riguardanti la bioetica per rendersi conto della povertà di temi rimastici.
La bioetica sembra invecchiata precocemente perché forse ha disatteso le sue movenze iniziali e iniziatiche. Dobbiamo ricordare come la bioetica per lungo tempo sia stata osteggiata da ampi settori del mondo culturale medico e teologico, in quanto si diceva che in fondo la bioetica non era altro che la riproposizione sotto mentite spoglie di vecchi temi che a pieno titolo rientravano nelle trattazioni della vecchia etica medica da una parte e della teologia morale che riguardava le tematiche della vita fisica dall’altra5. Quello che della bioetica non si è colto è stato proprio il tentativo di comprendere la complessità e le difficoltà inerenti il comportamento dell’uomo nella presentazione dei dilemmi riguardanti le problematiche non solo di
inizio e di fine vita ma ancor più quelle della quotidianità6. Se uno dei fini della bioetica è quello di aiutare il legislatore a legiferare e di questo ne siamo più che convinti, pensando che uno dei compiti della bioetica sia quello normativo, pur costretti a precisare che la norma in primis che ci interessa è quella morale e non quella legale, dobbiamo però rilevare come negli ultimi tempi abbia preso piede da una parte il biodiritto e dall’altra la biopolitica che si sono andati a sovrapporre alla bioetica7. Il rischio odierno è che spesso si pensa di dire qualcosa di bioetica quando invece si sta parlando di altro. La stessa cosa avviene spesso in ambito medico, dove la vecchia deontologia pare aver ripreso piede e i medici spesso in modo autoreferenziale pensano di stare a parlare di bioetica, mentre invece dicono ben altro. Forse lo stesso avviene in campo teologico dove le tematiche bioetiche sono affrontate dai teologi morali.
Sembrerebbe che la bioetica oggi sia andata incontro ad un fenomeno da una parte regressivo e dall’altra degenerativo, che inesorabilmente la stanno portando verso il tramonto. Insomma questi 40 anni della bioetica dovrebbero incoraggiarci a riflettere sul perché questa disciplina pare invecchiata anzitempo e su quali potrebbero essere le terapie per far sì che non se ne decreti la sua fine. Già qualche tempo fa si sono levate voci che hanno parlato dell’inutilità e della noiosità della bioetica8. Noi riteniamo invece che la bioetica sia una disciplina importante e che in quanto tale ha bisogno di essere riabilitata e rinvigorita e ringiovanita. Proveremo a fare un’analisi sintetica di quelli che secondo noi sono stati i malesseri di crescita della bioetica e proveremo a dire quali sono secondo noi le cure da attuare. I malesseri della bioetica sono riposti soprattutto nel problema epistemologico e la cura dovrebbe essere attuata attraverso un’assunzione da parte della stessa del linguaggio filosofico e vieppiù del linguaggio letterario.
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NOTE
1 Cf. G. RUSSO, ed., Storia della bioetica. Le origini, il significato, le istituzioni, Roma, Armando Editore, 1995 e M. SOLDINI, Argomenti di bioetica, Roma, Armando Editore, 1999.
2 V.R. POTTER, Bioethics. Bridge to the future, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1971 e Idem, Bioethics. The Science of Survival, in “Prospectives in Biology and Medicine”, 14, 1970.
3 G. RUSSO, ed., Bilancio di 25 anni di bioetica. Un rapporto dai pionieri, Editrice Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1997.
4 M. SOLDINI, Argomenti di bioetica, cit.
5 Idem
6 M. SOLDINI, Bioetica, difesa della vita umana anche fuori dai laboratori, Editoriale, Il Messaggero, 5 febbraio 2009.
7 M. SOLDINI, Bioetica e Biodiritto. Legge morale e legge civile, Bio-ethos, n. 6, 2009.
8 G. CORBELLINI, La bioetica diventa noiosa, Il Sole 24 Ore, 3 novembre, 2002.