di Antonio Scacco
ROMA, sabato, 9 giugno 2012 (ZENIT.org).- Nel libro Senza radici, scritto in collaborazione con l’allora cardinale Joseph Ratzinger ed ora papa con il nome di Benedetto XVI, Marcello Pera si chiede: «C’è forse una guerra? La mia risposta è: sì, c’è una guerra, e credo che sia responsabile riconoscerlo e dirlo, anche se sembra politicamente corretto tacerlo. Dall’Afghanistan al Kashmir alla Cecenia al Dagestan all’Ossezia alle Filippine all’Arabia Saudita al Sudan alla Bosnia al Kosovo alla Palestina all’Egitto all’Algeria al Marocco, in gran parte del mondo islamico e arabo, gruppi consistenti di fondamentalisti, radicali, estremisti (…) hanno dichiarato una guerra santa all’Occidente, la jihad. Lo hanno detto, scritto. comunicato, predicato, diffuso a chiare lettere»1.
Noi concordiamo in toto con le parole del filosofo e uomo politico, soprattutto, concordiamo con quanto scrive papa Ratzinger: «[lo] sgretolarsi del cristianesimo sta – a mio parere – nel fatto che sembra essere superato dalla “scienza” e non essere più in armonia con la razionalità dell’età moderna. Ciò vale soprattutto da due punti di vista. La critica storica ha scompaginato la Bibbia rendendo non credibile la sua origine divina. La scienza e l’immagine moderna del mondo creata dalla scienza sembrano escludere dalla realtà la visione di fondo della fede cristiana, relegandola nell’ambito del mito»2.
Dalle parole dei due insigni personaggi, ci sembra di poter trarre la seguente conclusione: l’Europa è, sì, in guerra, ma la prima guerra da combattere è contro se stessa e il primo nemico da battere si chiama scientismo.
Come abbiamo scritto altrove3, l’uomo contemporaneo si dibatte in una profonda crisi umanistica. le cause? Gli studiosi sono pressoché unanimi nell’indicare la scienza moderna (quella che nasce con Galilei, per intenderci) come l’artefice principale della crisi. Ad essa è da imputare quella malattia del secolo che il sociologo americano Alvin Toffler definì, negli Anni Settanta del secolo scorso, future shock, per la cui terapia «’individuo deve diventare infinitamente più adattabile e capace di quanto sia mai stato prima. Deve scoprire modi totalmente nuovi di ancorare sé stesso, poiché tutte le radici di un tempo – religione, nazione, comunità, famiglia o professione – stanno ora vacillando sotto l’impeto da uragano della spinta acceleratrice»4.
Individuata nella scienza la causa principale della crisi umanistica contemporanea, resta da vedere in che modo essa la determini. Partiamo da una constatazione molto semplice.
La scienza, pur esistendo ormai da diversi secoli, non cessa tuttavia di entusiasmarci, o almeno di scuoterci, una volta con la scoperta dell’energia nucleare, un’altra con la conquista dello spazio, poi con l’avvento dell’informatica e dell’ingegneria genetica e, negli anni a venire, chissà con quante altre mirabilia! La scienza, in sostanza, ci rivela continuamente aspetti del mondo osservabile mai notati prima, e ciò perché il suo modo di conoscere la realtà è dinamico, mentre quello prescientifico era statico, ancorato, cioè, ad una visione delle cose fissa e immutabile.
Il dinamismo della scienza ci spiega in che modo essa influenzi l’attuale crisi umanistica. La ricerca scientifica, poiché, a causa del suo progressivo espansionismo (mutabilità estrinseca), mette necessariamente in discussione molte delle convinzioni che in passato erano ritenute evidenti, genera nell’uomo un senso di scoraggiamento che lo porta a considerare come illusoria ogni visione umanistica della realtà. Ma ben più profondo è l’effetto della mutabilità intrinsecadella scienza sulla crisi dell’uomo contemporaneo. Come si sa, i risultati della ricerca scientifica non sono fissi e immutabili, ma sempre esposti a cambiamenti e a novità impreviste. Ora, se la scienza stessa non arriva mai a risultati certi e definitivi, è possibile parlare di vera certezza della conoscenza umana? E se non si ha certezza, come si può avere un umanesimo? Ed ecco la tentazione diffusa di scetticismoe relativismo, radice ultima della crisi umanistica contemporanea.
Tuttavia, se la scienza è all’origine della crisi umanistica contemporanecrisi di identità), essa può essere – se ben compresa – fattore di umanizzazione. Vediamo in che modo. Bisogna, anzitutto, dire che, se è la scienza a provocare la crisi umanistica, essa non ne è la causa ultima, la quale invece è da addossarsi all’uomo. L’unica colpa della scienza semmai è di rivelare l’uomo a sé stesso (autoscoperta); ma questi ha poi paura di affrontarsi e di intraprendere lo sforzo richiesto dalla sua umanizzazione (autoaffrontamento), e facilmente si lascia tentare dallo scientismo, dalla scelta cioè della scienza come la principale e l’unica sorgente di valori. Il grande valore della scienza è sì la ricerca della verità come fine a sé stessa, ma tale verità è di tipo intellettuale-oggettivo e il suo valore morale è necessariamente unilaterale. Lo scientismo non è, dunque, una conseguenza necessaria della scienza, ma un’indebita esagerazione del suo valore morale.
Pur essendo un’espressione degenere della scienza, è proprio lo scientismo che ci dà un primo segno rivelatore della dimensione umanizzante della scienza, poiché esso presuppone non la mancanza o l’eclisse bensì l’esistenza di ideali etici in chi si dedica alla ricerca scientifica. La scienza è umanistica perché è essenzialmente ricerca di un ideale. La conferma ci viene dall’indagine socio-psicologica della mentalità scientifica: il vero scienziato si sentirebbe umiliato se la sua ricerca fosse motivata soltanto da esigenze finanziarie od opportunistiche. Un altro elemento rivelatore della dimensione umanizzante della scienza è costituito dal senso di accentuata sensibilità morale dello scienziato.
Una volta scoperta la verità, il ricercatore si sente in obbligo di intervenire sui problemi di ordine etico che la scoperta implica. Chi non ricorda i tentativi fatti da Einstein e Bohr, alla fine della seconda guerra mondiale, per l’uso pacifico dell’energia nucleare? La coerenza, infine, con lo spirito della scienza porta il vero scienziato a non arrestarsi, nella sua ricerca, ai dati osservabili, ma a chiedersi qual è la sorgente ultima dell’intelligibilità del reale.
La scienza, in sostanza, non è nemica, secondo una diffusa opinione, della metafisica e della religione. Tale atteggiamento è solo di chi riduce la scienza, tradendone lo spirito, a pura attività tecnica. Lo scienziato autentico, invece, spinge la sua ricerca di comprensione al di là del mero dato empirico, disvelandoci così ulteriormente l’influsso umanizzante della scienza. E la fantascienza quale ruolo potrebbe avere nell’affrontare l’attuale crisi umanistica? Anzitutto, è doveroso rilevare che, come shock culturalecausato dalla scienza moderna trova ampio rispecchiamento in molte opere di fantascienza, altrettanto avviene per gli aspetti umanistici della scienza che fin qui abbiamo evidenziato. L’introduzione della fantascienza nelle scuole andrebbe dunque favorita e non osteggiata, come avviene attualmente.
N O T E
1 JOSEPH RATZINGER-MARCELLO PERA, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori “Speciale Panorama”, Milano 20056, pp.41-2.
2 Ibidem, pp.114-115.
3 Cfr. il nostro intervento Il rinnovamento umanistico tra scienza, fantascienza e religione in Fantascienza umanistica (cap.1.1., Boopen 2009, pp.13-22). A richiesta, si inviano copie-omaggio del libro, ma solo per i residenti nella zona euro.
4 ALVIN TOFFLER, <em>Lo choc del futuro, Rizzoli, Milano, 19722, p.42.