a cura di Rita Salerno
ROMA, giovedì, 7 giugno 2012 (ZENIT.org).- L’attuale crisi è anche e soprattutto una crisi morale, che riguarda anche il nostro rapporto con i beni, gli stili di vita, le persone, l’ambiente. Da questo assunto, ormai evidente a tutti, si impernia il testo di Carmine Tabarro “Dalla società del rischio all’economia civile” edito da Gregorian Biblical Press Roma.
Tabarro, che lavora in banca, è da trent’anni attento studioso di economia civile. Alle spalle ha, oltre ad intense esperienze da volontario in organizzazioni cattoliche come Oxfam International, anche progetti di commercio equo e solidale in Perù come responsabile.
Gli abbiamo rivolto alcune domande sui temi affrontati nel libro.
L’idea di fondo della sua opera è che occorre recuperare il legame tra etica ed economia. Come?
“Nel testo dimostro come al contrario, comportamenti “virtuosi”, orientati consapevolmente al bene comune, prima considerati come ingenui o marginali, appaiono oggi come condizioni necessarie per il funzionamento di qualsiasi sistema umano:
L’idea che si possano produrre le risorse e i beni (economia) o gestire strategicamente tali beni (politica), senza volere al tempo stesso, con le stesse azioni, compiere anche il bene (morale), si è rivelata un’ingenua (per alcuni) o interessata (per altri) illusione. In altre parole dopo il crollo del comunismo e poi del neoliberismo è arrivato il momento, anche per coloro che di etica cristiana non vorrebbero sentire parlare, di mettere in pratica un’antica massima: “fare di necessità virtù”; ciò significa che quello che fino a ieri sembrava una virtuosa ingenuità di pochi, oggi si presenta come una necessità per tutti. In tal senso alle esperienze fatte dalle imprese aderenti all’economia di comunione, al commercio equo e solidale, alla buona cooperazione sociale, al variegato mondo delle imprese sociali ecc. dove i valori di efficienza e di efficacia trovano una profonda comunione”.
Con quale approccio si concilia il bene comune con l’economia di mercato?
“Il bene comune il vantaggio della singola persona si può raggiungere solo se realizzato insieme a tutti i membri della comunità. In altre parole l’interesse di una persona si realizza insieme a quello degli altri, non contro come avviene per il bene privato né a prescindere dall’interesse degli altri come nel caso del bene pubblico. Ai suoi inizi l’economia di mercato si caratterizzava come economia dal valore civile, in cui ai principi di scambio di valore e redistributivo si associava il principio di reciprocità. Fu con l’avvento dell’economia capitalistica di stampo protestante che il principio di reciprocità venne abbandonato e con esso cadde anche l’interesse verso il bene comune. Il modello economico che prevalse fu, dunque, quello basato sulla filosofia utilitaristica di Bentham, in cui il concetto stesso di uomo ha perso di valore, essendo stato ridotto a numeri e variabili che non tengono in conto le singole specificità dell’uomo e l’importanza che riveste il concetto di relazione per il genere umano.
Nel nostro libro mi interrogo sul perché, soprattutto negli ultimi trent’anni, questi principi siano stati oggetto di critiche che hanno evidenziato i limiti di un mercato capitalistico che escluda i beni comuni. La crisi della “one best way” è correlata con la perdita di concetti chiave come reciprocità e relazionalità di cui il terzo settore si sta facendo, viceversa, promotore. Gli oggetti delle transizioni sono indissociabili da coloro che li pongono in essere, lo scambio non può essere impersonale e anonimo. È questa la base del progetto di economia civile che le no profit cercano, in mezzo a mille difficoltà, di far decollare.
Quale modello di sviluppo sul piano del bene comune ritiene sia possibile oggi?
“Dobbiamo renderci conto, che la crisi che l’Occidente sta vivendo è prima di tutto una crisi antropologica. Prima il marxismo poi il neoliberismo hanno generato una profonda crisi di fede e fiducia a partire dalle micro relazioni (come amicizia, famiglia), per poi passare ai corpi intermedi (associazioni, partiti, sindacati, chiesa ecc) fino a nichilizzare la società stessa. Se non si comprende questo tutte le terapie che verranno adottate saranno destinate al fallimento. Gli uomini devono essere educati e vedere che investire nella fiducia nell’altro, nel bene comune, nella società, nel futuro, che li rende protagonisti di sviluppo e di felicità.
La fede allora è una necessità umana. Possiamo dire che non ci può essere autentica umanizzazione, senza fede. Non sto affermando che le persone che non hanno fede in Dio non possono essere pienamente umani. Sto solo dicendo che senza fiducia nell’altro non si può essere pienamente umani. D’altronde come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno?
È possibile crescere senza avere fiducia in qualcuno, a partire dai genitori? È possibile iniziare a percorrere una storia d’amore senza avere fede nell’altro?
In tutta la vita noi uomini dobbiamo avere fede, fare fiducia, credere a qualcuno.
La crisi di fiducia ci rende incapaci a vivere la pienezza e la profondità delle relazioni, da quelle più personali e intime a quelle sociali e pubbliche; abbiamo difficoltà a fidarci, fare credito, credere a qualcuno.
In altre parole, non si può essere uomini senza credere, senza avere fiducia; e questa è la vera notte dell’Occidente; perché credere, avere fiducia è il modo di vivere relazioni non strumentali con gli altri; e non è possibile nessun cammino di umanizzazione senza gli altri, perché vivere è sempre vivere con e attraverso l’altro.
Il grande merito della Chiesa attraverso la Dottrina sociale è quello di proporre un’economia civile, che pone al centro la persona e che sia libera e democratica e non in mano alla tecnocrazia anonima.
Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in veritate al n.6 mentre analizza la crisi finanziaria del 2007-2008, propone una strada alternativa che parte dall’analisi antropologica ed etica di tipo personalista e comunitaria, secondo l’ispirazione cristiana. Il Papa in particolare invita a rafforzare tutte quelle esperienze finanziarie ed economiche fondate su un’economia a servizio del bene comune, mediante l’implementazione della fraternità, della gratuità, del dono, della giustizia espressioni tipiche della cultura del bene comune.
Per ogni approfondimento http://www.usminazionale.it/interviste/intervista12_05.htm