Voltare pagina e ripartire dalla bellezza (Terza ed ultima parte)

Un commento alla visita del Papa a Milano

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di Massimo Introvigne

ROMA, mercoledì, 6 giugno 2012 (ZENIT.org).- Un tema caro a Benedetto XVI è che c’è anche una bellezza delle istituzioni, che si manifesta quando esse sono davvero a misura d’uomo e conformi al piano di Dio. «La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi – ha detto il Papa nel saluto del 1° giugno in Piazza Duomo – deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo».

Nell’incontro con le autorità del 2 giugno, il Pontefice è tornato su questa bellezza delle istituzioni riferendosi ancora una volta a sant’Ambrogio. Il santo ambrosiano è fra i Padri della Chiesa pronti a ricordarci che «l’istituzione del potere deriva così bene da Dio, che colui che lo esercita è lui stesso ministro di Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam,IV, 29). «Tali parole – commenta il Papa – potrebbero sembrare strane agli uomini del terzo millennio, eppure esse indicano chiaramente una verità centrale sulla persona umana, che è solido fondamento della convivenza sociale: nessun potere dell’uomo può considerarsi divino, quindi nessun uomo è padrone di un altro uomo». Allo stesso imperatore il santo scriveva: «Anche tu, o augusto imperatore, sei un uomo» (Epistula 51,11).

La bellezza delle istituzioni rifulge quando vi si pratica «la giustizia, virtù pubblica per eccellenza, perché riguarda il bene della comunità intera». Ma la giustizia da sola non basta. «Ambrogio le accompagna un’altra qualità: l’amore per la libertà, che egli considera elemento discriminante tra i governanti buoni e quelli cattivi, poiché, come si legge in un’altra sua lettera, “i buoni amano la libertà, i reprobi amano la servitù” (Epistula 40, 2)». Si tratta però di comprendere la vera nozione della libertà. «La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve garantire. Tuttavia, libertà non significa arbitrio del singolo, ma implica piuttosto la responsabilità di ciascuno». S’intende così anche in quale senso sia accettabile la nozione di «laicità dello Stato»: nel senso di «assicurare la libertà affinché tutti possano proporre la loro visione della vita comune, sempre, però, nel rispetto dell’altro e nel contesto delle leggi che mirano al bene di tutti».

Nello Stato moderno, «nella misura in cui viene superata la concezione di uno Stato confessionale», è tanto più necessario, per assicurare che le leggi siano giuste, un continuo confronto con il diritto naturale: «appare chiaro, in ogni caso, che le sue leggi debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale non possono derivare indicazioni che siano, in qualche modo, di carattere etico». E di questo «ben essere» della persona, misurato dal diritto naturale, il Papa ha fornito esempi precisi secondo quelli che ha più volte chiamato i tre valori non negoziabili: il «diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione», il «servizio della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita», e il «diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro giudicato valido e pertinente. Non si rende giustizia alla famiglia, se lo Stato non sostiene la libertà di educazione per il bene comune dell’intera società».

In pratica, perché le leggi di uno Stato moderno siano conformi al diritto naturale, e perché esso davvero operi per il bene comune, «appare preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa, senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere con cui si è posta al servizio del popolo». Proprio «il tempo di crisi che stiamo attraversando ha bisogno, oltre che di coraggiose scelte tecnico-politiche, di gratuità»: di quella gratuità che trae alimento e ispirazione dal cristianesimo e dalla dottrina sociale della Chiesa.

Nel dialogo del 2 giugno, rispondendo a una coppia di sposi greci rovinati dalla crisi economica, il Papa ha aggiunto che «dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini».

E nell’incontro con gli amministratori Benedetto XVI ha insistito sul fatto che, perché le istituzioni manifestino la bellezza della libertà e della giustizia, non è sufficiente che chi le guidi sia dotato di competenze tecniche. «A quanti vogliono collaborare al governo e all’amministrazione pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare. Nell’opera De officiis egli afferma: “Quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare” (II, 29)». Oltre alla ragione della competenza è necessaria, ha detto il Papa agli amministratori pubblici, «la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi una chiara espressione e un evidente segno di amore. Così, la politica è profondamente nobilitata, diventando una elevata forma di carità».

(La prima e la seconda parte sono state pubblicate rispettivamente lunedì 4 e martedì 5 giugno)

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ZENIT Staff

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