"La vita è un soffio ma il Signore è la nostra roccia"

L’omelia di monsignor Cavina alle esequie di don Ivan Martini, vittima del terremoto che ha colpito l’Emilia

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ROMA, lunedì, 4 giugno 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito l’omelia che monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, ha tenuto ai funerali di don Ivan Martini, sacerdote deceduto nel crollo della chiesa di Rovereto, provincia di Modena – di cui era parroco – in seguito al terremoto che ha colpito l’Emilia il 29 maggio scorso.

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Carissimi fratelli e sorelle,

davanti alla morte di un sacerdote – il terzo – rapito alla nostra famiglia diocesana in quattro mesi ancora nel vigore della sue forze e nel colmo della sua attività, noi ci sentiamo come smarriti; e soprattutto ripensando alla fatalità impietosa dell’episodio che ha posto termine ai suoi giorni terreni, non possiamo impedire che si affacci sulle nostre labbra l’eterna domanda dell’uomo quando si imbatte in una sventura irreparabile: “Ma perché?” “Ma perché visto che era entrato in Chiesa, accompagnato dai Vigili del Fuoco, per salvare il quadro della Madonna del Voto sommamente caro ai parrocchiani di Rovereto”?

Sono domande che nascono naturali e spontanee, che però non trovano quaggiù una risposta adeguata e convincente. La morte è un grande mistero e grande mistero è la vita. Ma il Signore Gesù ci ha svelato il senso dell’una e dell’altra, più ancora che con le sue parole luminose e certe, con la realtà stessa del suo vivere e del suo morire.

Della morte egli ci ha assicurato che non è affatto una fine: è solo una “Pasqua”, cioè un “passaggio” da questo mondo al Padre. Che cosa è stata la morte di Cristo, per coloro che quel venerdì si erano radunati sul Golgota? L’abbiamo udito poco fa dalla lettura del Vangelo: è stato un improvviso buio a mezzogiorno; è stata un angoscioso sentimento di solitudine; è stata la vana attesa dell’intervento di Dio, che staccasse dalla croce il suo unico Figlio e non lo lasciasse morire.

Dio non è intervenuto, e agli occhi dei presenti sembrò che la tragedia si consumasse senza rimedio. Si capisce come gli apostoli ne siano rimasti sbigottiti e disanimati. E invece era solo perché le sue vie non sono le nostre vie e le nostre ore non sono le sue. Quando sembrava che tutto fosse disperatamente finito, si è manifestata la potenza del Padre, ed è esplosa la resurrezione e la signoria di Cristo.

Non diversamente avviene per coloro che credono in Gesù risorto e Signore. Ai nostri occhi sembrano morire, ma essi entrano per sempre in una vita senza tramonto e in una stagione di nuova ed ineguagliabile giovinezza.

E questo è il senso della morte secondo Cristo. Ma ora dobbiamo chiederci quale senso egli ha dato alla vita?

Ci ha detto che il valore della vita non sta nel possesso, nel dominio, nella rinomanza mondana, ma nel rendersi utile ai fratelli e all’intera umanità. Chi vive unicamente per sé, in verità non vive; chi invece vive per gli altri, vede la propria vita arricchirsi ad ogni povertà che soccorre; e la moltiplica a ogni uomo che egli evangelizza, conforta e salva.

Don Ivan aveva capito molto bene il mistero della morte e della vita svelato da Cristo e, come il suo Maestro, “è passato beneficando… perché Dio era con Lui”. E come un buon testimone di Cristo, ha cercato di camminare accanto alla sua gente asciugando lacrime di dolore, pronunciando parole credibili di consolazione, incoraggiando gli sfiduciati, rianimando la speranza, dando dignità ai più poveri e agli umili. In una parola, ha recato la “buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti”.

Le comunità nella quali ha prestato il suo servizio, in particolare la comunità parrocchiale di Rovereto, il carcere e l’ospedale civile, hanno percepito, senza fatica, la totalità della sua dedizione, la sua vivacità, la sua apertura e disponibilità, unitamente alla sua schiettezza. E proprio per questo gli devono molto.

Piange don Ivan non solo la Diocesi di Carpi, ma anche quella di Cremona, ringrazio il Vescovo per la sua presenza, dalla quale è giunto a noi oltre 20 anni fa. Davanti alla sua morte accogliamo l’invito che ci viene dalla parola di Dio: “E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3.26); è il silenzio della fiducia verso chi tutto dispone secondo un progetto d’amore, è il silenzio dell’obbedienza della mente e del cuore a colui che è il Signore di ogni vicenda e di ogni creatura, è il silenzio della preghiera dalla quale sgorga la forza per continuare a sperare, nonostante tutto.

La nostra vita è veramente un soffio, eppure il Signore è la nostra roccia e noi continuiamo a credere nell’amore.

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ZENIT Staff

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