L'esperienza di un missionario indiano in Amazzonia

La testimonianza di padre Nallamelli Prakasa Rao, in Brasile dal 2001

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di Piero Gheddo

ROMA, lunedì, 26 marzo 2012 (ZENIT.org).- Ormai è provato. Dall’Asia e dall’Africa verranno i missionari per ricondurci alla fede in Cristo o, in alternativa, per convertirci ad Allah e al Corano. Un esempio su tanti altri. Nell’Amazzonia brasiliana sono presenti cinque missionari indiani del Pime, sette in Brasile. Ecco cosa dice padre Nallamelli Prakasa Rao, 43 anni, in Brasile dal 2001 e parroco a Mazagào dal 2006. Nato nel 1969 ad Annadevarapeta (Andhra Pradesh), da una famiglia cattolica fuori casta, è entrato nell’Istituto dopo essersi laureato in scienze politiche. Gli chiedo anzitutto cosa dicono i suoi genitori che lui è missionario nel lontano Brasile.

“Mamma e papà preferivano che io diventassi sacerdote in India, ma mi hanno lasciato andare dove Dio mi chiamava. Papà è morto, ma la mamma mi dice sempre: “Noi abbiamo ricevuto la fede dai missionari italiani, adesso vai ad aiutarli a portare Gesù a chi ancora non lo conosce”. La mia famiglia e il mio villaggio sono fieri di aver dato un missionario alla Chiesa”.

Il Vangelo è stato portato nell’Amapà dai portoghesi nel 1700 (l’antica cattedrale di Macapà è del 1761). La parrocchia di padre Nallamelli è nella diocesi di Macapà (estesa metà Italia), fondata dai missionari del Pime a nord dell’estuario del Rio delle Amazzoni. Il territorio della parrocchia è vastissimo, tutto fiumi e foreste, con circa 17.000 abitanti, 10.000 dei quali nella cittadina di Mazagào, gli altri dispersi in una settantina di piccole comunità lungo i fiumi. La parrocchia è stata iniziata dai missionari tedeschi fra le due guerre mondiali, nel 1948 sono venuti i missionari del Pime, che hanno messo il parroco.

– In città, dice padre Prakasa, abbiamo la chiesa matrice e poi cinque cappelle in quartieri periferici. Ho con me padre Arcangelo Vanin che si interessa della catechesi e dell’apostolato soprattutto in città. Il 90% dei miei parrocchiani sono battezzati e sentono fortemente l’appartenenza alla Chiesa cattolica, ma diversi vanno anche nelle sette che ormai invadono tutto il Brasile. In città la partecipazione alla Messa domenicale è di circa il 13-15%, nell’interno quando viene il prete vengono tutti. Nell’interno c’è ancora una vita religiosa tradizionale, nella città c’è più secolarizzazione e poi prevalgono le mode moderne anche in Amazzonia.

– Cosa vuoi dire con “mode moderne”?

– Voglio dire che radio e televisione, cinema, cellulare, computer, internet, discoteche, collegano con tutto il mondo, c’è il rischio di vivere una vita virtuale. La secolarizzazione rende le persone e le famiglie come in Italia. Sono cattolici, ma la fede viene dopo tante altre cose e la vita moderna non favorisce la vita cristiana. I battesimi in un anno sono 700-800, ma i matrimoni sono pochissimi, l’anno scorso ne ho fatti solo quattro. La moda occidentale di non sposarsi ma di convivere è arrivata anche qui nel profondo dell’Amazzonia! Il grande problema della parrocchia è che dopo la Cresima i ragazzi vanno via, non li vedi più. Se vengono cresimati 70 ragazzi, tornano in chiesa una decina.

– Nelle famiglie si prega assieme?

– Le famiglie cattoliche hanno nella casa l’altarino domestico con i loro santi, e loro pregano, dicono il rosario e poi c’è la grande tradizione delle feste popolari religiose. Ad esempio l’8 dicembre abbiamo la festa dell’Immacolata, protettrice della città. Al mattino la processione e la Messa solenne; nel pomeriggio fanno la festa civile, con bevute, danze e altro.

– Ci sono ancora le comunità di base?

– Sì, sono essenziali per mantenere la fede, la preghiera, gli incontri, ecc. Una volta l’anno a Macapà le comunità di base si riuniscono e fanno il programma annuale e in questo incontro spiegano bene cosa fare, come andare avanti. La grande maggioranza di queste comunità di base, nei villaggi dell’interno non hanno la Messa. Però tutte le domeniche si riuniscono per pregare e leggere la Parola di Dio. Tutte le comunità hanno la cappella di legno, alcune in muratura ma poche. Tutte le cappelle hanno la devozione molto grande a N.S. del Perpetuo Soccorso e fanno la novena. Il mio popolo ha la fede, ma la vive poco.

-Come visiti le comunità dell’interno?

– In genere in barca, alcune in auto, almeno due volte l’anno. Sono 70 comunità molto disperse, faccio battesimi, prime comunioni, cresime, confesso, celebro Messe e facciamo anche processioni. Hanno preparato tutto e io dò i sacramenti. Le maggiori comunità hanno il catechista, ma quando ho preso la parrocchia nel 2005 parecchi di questi catechisti non sapevano nemmeno leggere. Adesso è molto meglio perché ci sono molte scuole e i giovani sanno tutti leggere e hanno una mentalità più moderna, più evoluta. Ho con me un diacono permanente molto bravo, che viene in tutti i viaggi. Lui cura la liturgia, i canti, le cerimonie, insegna il catechismo, mi aiuta molto. Poi abbiamo il pilota e motorista della barca.

– Economicamente, come te la cavi?

– La parrocchia è sempre stata in passivo. La gente è buona e vuol bene al prete, ma è troppo povera in quanto non ci sono attività che producono ricchezza. I padri italiani del Pime chiedevano aiuti agli amici dell’Italia. Io ho preso questa parrocchia ma la mia famiglia e il mio villaggio in India sono poveri, mi mandano qualcosa ma non possono di più. Le spese sono tante perché ogni mese vado con la barca a visitare le 70 comunità lungo i fiumi, che aiutano con il “dizimo”. Questo aiuto basta per comperare gasolio e pagare il motorista, ma tutto il resto rimane scoperto. Ogni mese noi spendiamo 6.000 reais che corrispondono a 2.500 Euro più o meno. Il passivo è di 2000-2500 reais, cioè 1500 Euro di spese vive, poi c’è tutto il resto.

– La diocesi non dà nulla alla parrocchia?

– No, ho chiesto alla diocesi un aiuto, ma non possono darmi niente. Da due anni è venuto con me padre Arcangelo, che riceve aiuti, ma non bastano. Per esempio, nel gennaio di quest’anno abbiamo chiesto il preventivo per aggiustare la nostra barca a motore che è vecchia e serve per visitare le comunità. Il preventivo è di 17.000 reais (circa 8.000 Euro) perché bisogna cambiare diversi pezzi del motore. Ma questi soldi non li abbiamo, ogni volta che vado in giro rischio di rimanere fermo per guasti al motore.

– Tu hai delle suore che aiutano?

– Avevamo tre suore, ma da cinque anni sono andate via perché il vescovo non può più pagare il salario.

– Tu vieni dall’India e conosci bene i cattolici indiani. Fammi un confronto fra cattolici indiani e brasiliani della tua parrocchia.

– La comunità indiana non è molto vivace, in Brasile trovo comunità più vivaci, ad esempio, funzioni in cui si canta e si battono le mani, più allegre. Il carattere indiano diverso. Per il brasiliano la fede è una festa, una gioia, per l’indiano, che vive in un paese pagano, è soprattutto un impegno di fedeltà e di buon esempio. Sì, i cattolici indiani sono molto forti nella fede e profondi, meditano spesso la Parola di Dio, sono attaccati alla preghiera, al prete, alla Chiesa. I brasiliani sono più superficiali nella fede, è una tradizione radicata, ma come fede passano facilmente alle sette. I brasiliani hanno una fede emozionale, sono più espansivi, quando cantano i cantici carismatici loro piangono, invece gli indiani sono più convinti, più profondi.

– Però la società cattolica brasiliana è più vicina al cristianesimo della società indiana?

– Senza dubbio, il Brasile è un paese cattolico, l’India no e questo si vede e si sente ovunque.

– Sei contento della tua parrocchia?

– Sì, sono molto contento, ringrazio il Signore e spero con l’aiuto di Dio di poter andare avanti. La gente mi vuol bene. Ho imparato che bisogna andare piano, adagio, loro hanno bisogno di tempo per venire, per rispondere. Ma mi vogliono bene. Sono contento di far
e questo lavoro, che è abbastanza duro, ma mi dà soddisfazione. Il lavoro è duro soprattutto quando vado 10-15 giorni nell’interno a visitare le comunità, si viaggia e si vive sulla barca, mangiare e dormire a volte sulla barca, poi le zanzare, il clima, i pericoli di viaggi nell’interno sono tanti.

– Raccontami qualche episodio.

– Una volta sono andato a trovare una signora ammalata, povera povera, che a volte non hanno da mangiare. L’ho confessata e lei è rimasta molto contenta. Prima di andare via mi dice: “Padre io non ho niente da darti, ma ho una gallina che mi fa le uova”. E mi ha dato cinque uova. Questo mi ha toccato il cuore, ho capito che quella donna era veramente contenta. Il prete che si impegna davvero è sempre contento.

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ZENIT Staff

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