"Ho visto gente piangere di gioia"

Intervista con monsignor Paul Hinder, OFM Cap, apostolico d’Arabia

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ROMA, venerdì, 23 marzo 2012 (ZENIT.org) – Monsignor Paul Hinder, OFM Cap, nato in Svizzera, vive ad Abu Dhabi ed è responsabile del più esteso territorio cattolico nel mondo, il quale copre circa tre milioni di chilometri quadrati e conta circa 2 milioni di cristiani. In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) l’arcivescovo del Vicariato Apostolico d’Arabia.

Di quali paesi si tratta quando parliamo degli Stati arabi?
Monsignor Paul Hinder: I Paesi sarebbero sei, cioè gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman, lo Yemen, l’Arabia Saudita, il Bahrain e il Qatar. Poi c’è un altro Vicariato Apostolico in Kuwait, che fa anche parte della penisola arabica.

Si dice spesso che in queste zone i cristiani sono pochissimi o che non ci sono. Può raccontarci qualcosa sulla presenza cristiana in questi Stati arabi?
Monsignor Paul Hinder: In un certo senso è vero che non ci sono cristiani locali, ma ne abbiamo molti, in particolare cattolici, immigrati provenienti da tutto il mondo, soprattutto dalle Filippine e dall’India. La maggior parte di loro sono qui per un tempo relativamente breve, anche se non manca gente che vi è rimasta per 30 o 40 anni. Tutti hanno bisogno di permessi temporanei per vivere qui. E naturalmente il culto pubblico è limitato.

Quindi c’è la libertà di culto, ma non la libertà di religione?
Monsignor Paul Hinder: La libertà di religione intesa come diritto umano non c’è, almeno non pienamente, perché è impossibile che un cittadino musulmano possa diventare cattolico, cristiano, o cambiare, in qualsiasi modo, la sua religione, ma siamo liberi, almeno in alcuni paesi, di praticare la nostra fede.

Come sono i rapporti dei cristiani con la comunità musulmana?
Monsignor Paul Hinder: Direi che è più un “vivere accanto a” che non un “vivere con”, a causa della situazione civile o sociale delle persone. I cristiani lavorano per loro. Sono migranti tra altri migranti. In alcuni paesi, rappresentano una grande maggioranza della popolazione e hanno, direi, un rapporto professionale con i musulmani, ma nella vita ordinaria preferiscono avere rapporti con la propria gente o chi condivide la stessa religione.

Mi chiedo se questo non è tanto un problema legato al fatto che si tratta di lavoratori migranti, mentre in altri Paesi del Medio Oriente, ci sono cristiani arabi “nativi”?
Monsignor Paul Hinder: Esattamente. C’è una grande differenza tra queste due realtà. C’entra sicuramente il fatto che il nostro popolo, me incluso, normalmente non parla bene l’arabo o non lo parla affatto. Sono stato destinato lì e non mi aspettavo questo. Ecco perché l’interazione non è tanto facile, soprattutto con i capi religiosi. Un imam, in uno di questi Paesi, non necessariamente parla l’inglese e subito si pone un problema di traduzione della lingua…

Lei ha detto che è stato trasferito lì. È stato uno shock quando Le hanno chiesto di andare in Arabia?
Monsignor Paul Hinder: Sono rimasto stupito quando ho saputo per la prima volta che ero un serio candidato per questo incarico ad Abu Dhabi; è stato un momento difficile. Al momento della mia nomina non era più una sorpresa dunque.

Eccellenza, Lei ha raggiunto una sorta di traguardo storico, nel senso che si è impegnato per la costruzione della prima chiesa cattolica in Qatar. Può raccontarci come è andata?
Monsignor Paul Hinder: Il merito non è mio. Penso che questo sia dovuto molto al mio predecessore, mons. Giovanni Bernardo Gremoli, che ha fatto un lavoro meraviglioso nel corso di 29 anni; praticamente tutte le chiese esistenti nei diversi paesi sono state rinnovate o costruite da lui. Poi, è merito delle persone che nel Qatar hanno lavorato duro per raggiungere questo traguardo, i cattolici locali, alcuni ambasciatori che hanno lavorato per tanti anni per preparare il terreno. Adesso raccolgo i frutti seminati da loro.

Che segno di speranza è la costruzione di una chiesa che può contenere circa 2700 fedeli?
Monsignor Paul Hinder: Dobbiamo ricordare che c’erano delle chiese in Bahrain già nel 1939 e negli Emirati Arabi Uniti e nel Sultanato dell’Oman alla fine degli anni ‘60 e ‘70. Per non parlare della prima chiesa della penisola, ad Aden, dove la missione iniziò nel XIX secolo. È un segno di speranza per i cristiani che vivono in quel Paese. Mi ricordo quel giorno, è stato emozionante e ho visto persone piangevano di gioia di vedere finalmente la loro chiesa, una sorta di “soggiorno” della loro fede e questo è qualcosa di molto importante come punto di riferimento visibile, dove la gente può riunirsi e celebrare senza alcun rischio. Dimostra anche l’apertura e la generosità del emiro, e anche un segno che loro vorrebbero essere più aperti, tolleranti ed essere consapevoli delle realtà del Paese.

Si è parlato molto di come conciliare e come andare avanti assieme alla comunità musulmana. Una proposta è promuovere la separazione tra fede e Stato. È possibile?
Monsignor Paul Hinder: Vorrei fare un paragone. Gesù Cristo non è venuto per fondare uno Stato. Non è venuto alla testa di eserciti. Non è venuto con un progetto sociale o politico. Questo è venuto 300 anni più tardi nel mondo cristiano, sotto l’imperatore Costantino. Nei primi tre secoli, i cristiani non esistevano come forza politica, mentre la nascita dell’islam era strettamente connessa ad un progetto politico e militare. Non penso che sarà facile superarlo, perché tanto legato agli inizi dell’islam. Non dico che è impossibile perché, penso, che anche nel Corano ci sono elementi che possono essere interpretati a favore di una maggiore tolleranza verso le altre religioni, sfortunatamente ci sono anche altri testi, specialmente nella tradizionale dottrina islamica, dove ci sono ostacoli molto pesanti. Per fortuna, all’interno del mondo musulmano molti stanno lavorando in questa direzione ma penso che ci vorrà del tempo.

Nella direzione di moderazione e cooperazione?
Monsignor Paul Hinder: Sì. Prendiamo la Turchia come esempio, che è uno Stato laico, ma non la vita è facile per i cristiani lì, perché c’è una mentalità caratterizzata da fondamenta musulmane o islamiche.

Qual è la sua speranza per la Chiesa cattolica nel Golfo Arabo?
Monsignor Paul Hinder: La mia speranza è che noi cattolici non viviamo nella paura. Spero in più tolleranza. In realtà, nella maggioranza dei Paesi non ci nascondiamo. Veramente a Dubai, per esempio, non abbiamo problemi. Se qualcuno espone un rosario con la croce allo specchietto della macchina, la cosa non desta preoccupazione.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.

In rete:
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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