Il Giudizio: faccia a faccia con l'Amore

Vangelo della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

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di Padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 17 novembre 2011 (ZENIT.org) – Ez 34,11-12.15-17:  “A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”.

Mt 25,31-46: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria..separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio,ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”.

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno,..perché  ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare,..non mi avete dato da bere,..non mi avete accolto,..non mi avete vestito,..non mi avete visitato. Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.

Sono passate solo tre settimane dalla festa dei Santi ed eccoli nuovamente schierati davanti ai nostri occhi, alla destra del Re. Sono tutti coloro che si sentiranno dire: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Un quadro grandioso e glorioso, dal quale il Creatore non vuole escludere nessuno:“Questa è l’adozione dei figli di Dio, i quali in verità diranno a Dio ciò che lo stesso Figlio dichiara, in san Giovanni, all’eterno Padre: “Tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie”(Gv 17,10)”: così lo descrive il carmelitano san Giovanni della Croce, aggiungendo che l’anima fedele “parteciperà della stessa bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, quando vedrà Dio faccia a faccia” (Cantico Spirituale B, 36, 5).

Oggi, però, il quadro comprende anche la schiera dei “dannati”. Sono coloro che, chiamati a realizzare la felicità della vita nel dono sincero di sé,  vivono (per così dire) nel continuo “danno” di sé, poiché “fanno morta” la propria persona non volendo riconoscere né mettere in pratica il comandamento dell’amore: “tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non lo avete fatto a me” (Mt 25,45).

Quella del Vangelo di oggi è una specie di immensa “fotografia di gruppo”, consegnata ad ognuno affinché scelga responsabilmente fin d’ora a quale delle due schiere del giudizio intende appartenere: quella degli eternamente vivi alla destra del Re, o quella dei morti per sempre alla sua sinistra.

Perciò non illudiamoci: l’appartenenza benedetta delle pecore è un dono legato al compito quotidiano di una fedeltà chiamata a resistere “fino al sangue, nella lotta contro il peccato” (Eb 12,4), per la quale abbiamo “solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniamo ciò che è stato promesso” (Eb 10,36).

Ma neppure disperiamoci: se riconosceremo pentiti il nostro cattivo odore di capri e cominceremo a fare le opere dell’amore, il “profumo di Cristo” (2 Cor 2,15) ci inebrierà per l’eternità. E tali opere le possiamo fare realmente poiché non ci manca l’aiuto determinante della divina Misericordia, la quale vuole: “che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4).  

Ma allora ci domandiamo: che significa vivere fin d’ora alla destra del Re? In altri termini: in cosa consiste essenzialmente la santità? La santità consiste nella perfezione dell’amore, ma l’amore può essere praticato in molti modi, secondo le varie personalità e circostanze. San Paolo lo afferma implicitamente quando, parlando della trasformazione totale dell’uomo nella risurrezione finale, dice che “ogni stella differisce da un’altra nello splendore” (1 Cor 15,41). Paolo intende qui una diversità permanente nello stato glorioso definitivo.

Per questo, sebbene i martiri nei primi tempi della Chiesa fossero considerati come i veri cristiani e santi, si ammise poi che potevano esserci anche altri modi di “morire a se stessi”, che esigevano essenzialmente le stesse virtù ammirate nei martiri.

E’ così che attraverso la contemplazione dell’opera salvifica di Cristo, personificata nei suoi santi, i credenti sono ricondotti al mistero fondamentale della santità cristiana, che è in persona lo stesso Signore Gesù Cristo. Ancora Paolo, infatti, rivela che: “E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza” (Col 2,9).

Con la loro morte, i martiri e tutti i santi testimoniano l’incredibile mistero della fede: Dio è nato a Betlemme da una donna, è morto e il terzo giorno è risorto dai morti nella sua stessa carne crocifissa. In tal modo, nel Figlio incarnato quella santità che per gli ebrei solo Dio poteva possedere e comunicare, viene resa accessibile a tutti gli uomini, che ne vengono santificati.

I cristiani sono “santi” per il loro rapporto con Colui che è il Santo per eccellenza, “dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” in dono e compito la santità battesimale (Gv 1,16).

Così, ricevendo continuamente la vita di Gesù Risorto, mediante i Sacramenti e la Parola, noi diventiamo conformi alla sua santità, non per mezzo dei nostri sforzi umani di mortificazione (anche se l’impegno della nostra libertà non può mancare), ma grazie al trionfo graduale della virtù del nostro stesso Battesimo.

Al riguardo un’ultima considerazione è più che opportuna.

La vita dei santi è una dimostrazione continua della nostra collaborazione con la grazia divina. Spesso i biografi dimenticano che la santità è una conquista graduale, e omettono o riducono al minimo le testimonianze della lotta interiore sostenuta dalla debolezza dei santi, con le loro cadute e il loro continuo rialzarsi.

In fondo, il primo di quelli alla sua destra a cui il Re dirà “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34), è il malfattore che fu crocifisso con Lui, e non sappiamo se, sul Calvario, si trovava alla sua destra o alla sua sinistra (Lc 23,33.43).   

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.


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ZENIT Staff

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