Chiesa e mass media: un rapporto difficile

Dibattito in Vaticano con prelati, giornalisti ed esperti di settore

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 11 novembre 2011 (ZENIT.org) – Incomprensioni tra Chiesa cattolica e media: questo il titolo dell’incontro svoltosi ieri in Vaticano, nell’aula vecchia del Sinodo, organizzato da L’Osservatore Romano in occasione del suo centocinquantesimo anniversario.

I diversi relatori, introdotti dal direttore dell’Osservatore, Giovanni Maria Vian, hanno approfondito tutti quegli argomenti che hanno suscitato polemiche, per via delle difficoltà di comunicazione.

La prof.ssa Lucetta Scaraffia ha illustrato il periodo che va dal Vaticano II all’Humanae vitae, mentre il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio ha approfondito le opposizioni a Giovanni Paolo II. Jean Marie Guénois, da parte sua, si è soffermato sulle reazioni contro il “pastore tedesco” Benedetto XVI, mentre il giornalista e sacerdote Antonio Pelayo ha riflettuto sugli stravolgimenti della lectio magistralis del Papa a Ratisbona.

Nel pomeriggio è stata la volta del giornalista tedesco Paul Badde sul caso del vescovo negazionista Williamson. Il giornalista britannico John Hopper ha tenuto una relazione dal titolo Quando il Papa parla del condom, mentre John Allen, impossibilitato a partecipare all’ultimo momento, ha inviato un testo sullo scandalo degli abusi. L’incontro è stato chiuso dall’intervento del cardinale Gianfranco Ravasi.

A margine dell’incontro, Ravasi ha dichiarato a Zenit: “La morale della favola è che comunicare un messaggio forte come quello cristiano è faticoso, è una impresa che va incontro a una infinità di ostacoli di spine e di incomprensioni”.

E ha ricordato che “è assolutamente necessario farlo secondo il nuovo linguaggio e, come corollario, aggiungerei anche: non bisogna sempre considerare tutte le esperienze negative come se fossero solamente negative. Sono in realtà un appello perché la comunicazione nella Chiesa avvenga in una maniera più aderente a questa nuova atmosfera in cui siamo immersi”.

Ravasi ha poi ricordato le difficoltà: “A volte è anche occasione per un esame di coscienza della Chiesa, qualora venga subito un attacco, per quanto ingiusto”.

Parlando dei mezzi di comunicazione di massa, il prof. Vian ha ricordato  L’Osservatore, fondato nel 1861, e il ruolo giocato a suo favore da Pio IX, ma anche la Radio Vaticana con i messaggi di Pio XI, diventati poi un “genere letterario”. Una “luna di miele” che si interrompe dopo la Humanae vitae.

La professoressa Scaraffia ha osservato che, a differenza della Populorum Progressio, con la Humanae vitae si produce una crisi senza precedenti, anche fra i cattolici e tra i favorevoli della rivoluzione sessuale. Questo, però, è avvenuto perché la Chiesa parla con venti secoli di esperienza  

Il prof. Riccardi ha costatato come sul Concilio Vaticano II si è saputo più attraverso i media che attraverso i vescovi. E su Giovanni Paolo II ha ricordato quanto fosse considerato “granitico”, il “Papa polacco” venuto da una Chiesa che non aveva vissuto il Vaticano II. Poi si diffonde la piaga dell’Aids e il Papa viene accusato di “complicità”. Due fatti però sconvolgono questi stereotipi: l’attentato del 1981 e il crollo del muro di Berlino nel 1989. Considerato intransigente, Giovanni Paolo II è diventato però un papa che portava rimedio alla crisi dell’identità cattolica, in una fase che, dal post-’68 si era caratterizzato per un’autocritica fin troppo severa che indeboliva i cattolici nella società.

Jean Marie Guénois, giornalista di Le Figaro ha indicato che papa Benedetto XVI è stato percepito, malgrado la realtà della sua personalità, secondo il falso stereotipo del tedesco. E che, dopo più di sei anni, nonostante i viaggi in Terra Santa ed ad Auschwitz, e la visita alla sinagoga di Roma, pesa ancora un sospetto su di lui.

Su Ratisbona il presidente emerito della Stampa Estera, Antonio Pelayo, ha sottolineato le forzature attraverso l’estrapolazione del discorso accademico del Papa dal suo contesto e di tutte le iniziative del Papa e dei suoi collaboratori per spiegare i reali contenuti del discorso. In quell’occasione la protesta dei musulmani prese spunto dagli articoli “concordati” tra i giornalisti delle testate italiane.

Sul caso del negazionista Williamson il giornalista tedesco Paul Badde ha sottolineato come il Papa, agendo da “Buon pastore”, sia stato messo al posto del vescovo negazionista. Infatti un’intervista a Williamson era stata pubblicata nell’imminenza della revoca della scomunica: su quest’ultima, però, ci fu una carenza di comunicazione. Nessuna persona in buona fede affermò che Benedetto XVI era antisemita, ma non tutti lo erano. E i tentativi di compiere una difficilissima riconciliazione con i lefevriani, sono stati fraintesi come se il Papa volesse rompere con gli ebrei.  

Sulla questione dell’uso del preservativo il giornalista britannico John Hopper ha ripercorso le diverse situazioni di difficoltà: una “tempesta perfetta” nel quale il messaggio del Papa è stato soffocato da un coro di condanne perfino di Paesi europei, anche se poi diversi studi scientifici hanno dato ragione al pontefice. È emersa, in questo caso, la difficoltà di esprimere opinioni impopolari, rendendo così impossibile un ulteriore dibattito.

Sul caso degli abusi di alcuni preti con minori, John Allen, nel testo da lui inviato, ha sottolineato la mancanza di informazioni in generale: ad esempio, in ambito sportivo, pur essendo questo abominio cinque volte più diffuso che nella Chiesa, raramente è stato denunciato. Inoltre in Vaticano i processi amministrativi sono più snelli ed efficaci rispetto ai tribunali laici e che, tra questi ultimi, solo uno su cinque arrivava in Vaticano. Anche il lavoro di Benedetto XVI per sradicare questa piaga è rimasto sconosciuto ai più.

Durante le conclusioni il cardinale Gianfranco Ravasi, responsabile del Pontificio Consiglio della Cultura, ha ricordato che, oltre alla svolta nelle comunicazioni digitali o virtuali, non bisogna dimenticare che si va incontro a un cambiamento antropologico soggetto-oggetto, nel quale i mezzi di comunicazione non sono più una protesi o uno strumento. Ciò avviene perché “siamo entrati in un nuovo ambiente e in una nuova atmosfera”.

Quanto al caso Williamson, ha ricordato le parole del Pontefice quando, riferendosi ai dati che esistevano su Internet sul vescovo lefevriano ha indicato: “In futuro dovremo prestare attenzione a quelle fonte di notizie”.  

Quindi un tema capitale è quello di prestare “più attenzione per quanto riguarda la nostra comunicazione”. E nella dialettica nella quale la Chiesa sempre si troverà, va adottato un dialogo che tenga conto di queste metodologie. E al quale siano capaci gli operatori pastorali e, in generale, chiunque. Una dialettica, tuttavia, che non faccia “che la mia componente perda il suo colore”.

È bene quindi comunicare sapendo che da parte del linguaggio giornalistico esiste sempre la semplificazione, la logica del immediato, il piccante o il negativo, le approssimazioni, e gli schemi preconfigurati; ciò obbliga a essere più incisivi e a dare un messaggio più curato.

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ZENIT Staff

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