ROMA, lunedì, 7 novembre 2011 (ZENIT.org).– Con la decisione del 18 ottobre scorso, n° C-34/10, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha affermato la non brevettabilità dei procedimenti che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano, comportino la distruzione dell’embrione medesimo.
La decisione riguardava una domanda presentata da Greenpeace, rispetto alla quale il Tribunale federale tedesco in materia di brevetti aveva dichiarato la nullità del brevetto di un ricercatore, in quanto avente ad oggetto procedimenti che consentono di ottenere cellule progenitrici a partire da cellule staminali di embrioni umani.
La Corte federale tedesca di cassazione aveva ritenuto opportuno interpellare la Corte di giustizia in merito all’interpretazione della nozione di «embrione umano», non definita dalla direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. In particolare, si chiedeva se l’esclusione della brevettabilità dell’embrione umano riguardi tutti gli stadi della vita a partire dalla fecondazione dell’ovulo o se debbano essere soddisfatte altre condizioni, ad esempio che sia raggiunto un determinato stadio di sviluppo.
La Corte di giustizia, dopo avere sottolineato come non rientri nelle sue competenze affrontare questioni di natura medica o etica, ha esaminato la questione attraverso un’interpretazione giuridica delle pertinenti disposizioni della direttiva 98/44/CE, in base alle quali ha escluso che sia possibile ottenere un brevetto sull’utilizzo di cellule staminali ottenute mediante la distruzione di embrioni umani.
In particolare, secondo la Corte, la nozione di «embrione umano» deve essere intesa in senso ampio, considerando che sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un «embrione umano», dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano. Inoltre, deve essere considerato «embrione umano» anche l’ovulo non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura, nonché l’ovulo non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi mediante partenogenesi.
Per conoscere meglio quanto accaduto ZENIT ha intervistato il giurista Andrea Stazi, docente di Diritto comparato presso l’Università Europea di Roma, il quale ha spiegato che “la decisione riguarda il profilo della brevettabilità, ossia ribadisce la non utilizzabilità dell’embrione umano a fini di profitto, in quanto ciò pregiudicherebbe il doveroso rispetto della dignità umana, principio fondamentale dell’ordinamento comunitario. Inoltre, si è specificato che il divieto di brevettabilità, previsto all’articolo 6, comma 2, della direttiva 98/44/CE per le «utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali», include anche la preliminare utilizzazione a fini di ricerca scientifica, in quanto il fatto di accordare un brevetto sull’invenzione da essa derivante implica, in linea di principio, il suo sfruttamento industriale e commerciale”.
Di particolare interesse risulta, secondo Stazi, “l’interpretazione estensiva della nozione di embrione fornita dalla Corte di giustizia, un precedente non vincolante ma di notevole rilievo, che appare destinato ad influenzare la definizione del concetto nell’ambito dei diversi Stati membri dell’Unione Europea”.
Peraltro, precisa infine Stazi, “la Corte ha aggiunto che la brevettabilità delle utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali non è vietata, ai sensi della direttiva, riguardo all’utilizzazione a fini terapeutici o diagnostici che si applichino in modo utile all’embrione umano”.
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