di Jesús Colina
PARIGI, mercoledì, 21 settembre 2011 (ZENIT.org).- Il rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta alla discriminazione contro i cristiani vede errori d’informazione in alcuni media che suscitano discriminazioni nei confronti dell’Opus Dei in Francia.
Massimo Introvigne mostra, in un’intervista concessa a ZENIT, come la denuncia di una donna contro una scuola alberghiera venga usata strumentalmente per lanciare una campagna mediatica contro questa Prelatura personale e, più in generale, contro la Chiesa cattolica.
“L’Opus Dei nel cuore di un processo inedito a settembre a Parigi” è il titolo di alcuni articoli pubblicati dalla stampa per far riferimento all’ultima tappa di questo processodavanti al tribunale correzionale di Parigi,che avrà luogoil 22 e il 23 settembre prossimi.
Si analizzerà la denuncia presentata anni fa daCatherine Tissier contro il suo antico datore di lavoro, l’ACUT, l’associazione che gestisce la scuola alberghiera Dosnon, su questioni legate allo statuto di alcuni periodi di stage. In particolare, si accusa la scuola di far svolgere agli alunni un lavoro professionale non remunerato.
Il fatto che Catherine Tissier abbia fatto parte dell’Opus Dei fino al 2001 e che l’assistenza spirituale della scuola Dosnon sia offerta da persone dell’Opus Dei ha portato la difesa dell’accusa e alcuni media a cercare il coinvolgimento istituzionale della Prelatura in questo processo. Questo elemento è stato respinto fino ad adesso dalla Giustizia francese.
In questo modo, nel leggere alcuni articoli si ha l’impressione che tutti i 2.000 preti egli 86.000 laici che fanno parte dell’Opera sia sotto processo, mentre in realtà si tratta di un processo a una piccola scuola che non ha coinvolto in nessun modo l’Opus Dei.
In questa intervista, Massimo Introvigne,fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR) nonché Rappresentante OSCE per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni, chiarisce le implicazioni del processo.
Chi analizza questo caso si rende conto che si tratta di una vicenda legata al diritto del lavoro ordinario. Invece, a leggere alcuni titoli di stampa, si ha l’impressione che sia tutta un’istituzione della Chiesa cattolica ad essere portata in tribunale. Perché?
Massimo Introvigne: Il caso di per sé non ha nulla di clamoroso. Si tratta di un tipico rapporto di lavoro fondato su un’amicizia che a un certo punto si guasta, il che induce a manifestare anzitutto simpatia per la sofferenza di tutte le persone coinvolte. C’è un’evidente strumentalizzazione, che non saprei se attribuire agli avvocati, ai media o ad attivisti laicisti, che utilizza un caso tutto sommato comune per attaccare l’Opus Dei e la Chiesa cattolica.
Non crede che in questi casi le istituzioni religiose vengano giudicate con parametri di valutazione diversi? Un caso così, in una scuola pubblica, forse non avrebbe avuto neanche un titolo nelle pagine interne del quotidiano locale…
Massimo Introvigne: Ci sono due elementi diversi. Da una parte, è in corso una grande campagna contro la Chiesa cattolica e le sue istituzioni che dall’intolleranza – che è un fatto culturale – passa (secondo stadio) alla discriminazione, che è un fatto giuridico, con il rischio che si arrivi anche a episodi di violenza (terzo stadio).
È lo schema che è emerso dal vertice di Roma dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dello scorso 12 settembre.
Anche questi sono episodi di discriminazione in senso lato, perché un caso che, se riguardasse altri, sarebbe trattato in modo diverso riceve “attenzioni” speciali perché c’entra un’istituzione cattolica legata all’Opus Dei.
C’è però anche un secondo elemento, diverso. In Francia c’è una sensibilità particolare per tutto quanto riguarda le “sette”. Non solo se la vicenda avesse riguardato i Testimoni di Geova o uno dei gruppi protestanti fondamentalisti etichettati come “sette” l’attenzione sarebbe stata analoga, ma di fatto casi simili sono già successi. Dal momento che ci sono associazioni “anti-sette” e giornalisti che considerano l’Opus Dei una “setta” ecco che la stampa riconduce anche questa vicenda allo stereotipo della “setta”.
In passato, in Francia sono state pubblicate delle liste di gruppi settari nocivi che comprendevano istituzioni, movimenti e comunità pubblicamente riconosciuti dalla Chiesa cattolica. Che opinione ha al riguardo?
Massimo Introvigne: Vorrei precisare che la famosa lista del 1996 di una commissione governativa non comprendeva l’Opus Dei, anche se comprendeva altri gruppi cattolici. Come Rappresentante dell’OSCE per la lotta al razzismo, alla xenofobia e alla discriminazione contro i cristiani e i seguaci di altre religioni, nel corso di una visita ufficiale in Francia, ho visitato nel maggio scorso la MIVILUDES, la Missione Interministeriale di Vigilanza e di Lotta contro le Derive Settarie. Nel corso di un incontro che giudico positivo e cordiale, mi è stato assicurato che la lista non è più un punto di riferimento per le autorità francesi, né si prevede di compilare altre liste. Piuttosto che discutere se questo o quest’altro gruppo dovesse esservi incluso io – come molti altri – ho sempre contestato l’idea stessa di una lista. Sembra che anche le autorità francesi siano ora d’accordo per voltare questa pagina molto controversa.
Perché certi impegni cristiani, come per esempio molte delle abitudini di un monastero di clausura, prima erano visti come parte della ricchezza culturale europea (basta pensare al monachismo) ed oggi sono attribuiti a sette pericolose? Qual è la differenza tra questi comportamenti di religiosi o consacrati o di qualsiasi altro fedele cattolico e le tecniche delle sette?
Massimo Introvigne: Ci sono due modi per reagire quando una benemerita realtà cattolica come l’Opus Dei è accusata di essere una setta, il che – lo preciso subito – per me è assurdo.
Il primo è rispondere che effettivamente, come pensano le associazioni anti-sette, molta stampa e anche alcuni cattolici, esiste una categoria unitaria di “setta”, caratterizzata dall’uso di tecniche di manipolazione mentale o “lavaggio del cervello” che distinguono le adesioni alle sette rispetto a quelle alle religioni, e che semplicemente è sbagliato includere l’Opus Dei o altre realtà cattoliche in questa categoria.
A me questa sembra una risposta poco convincente. Una volta che si è accettata la categoria di “setta” così costruita si accetta, per così dire, tutto un “pacchetto” che, per esempio, dà molta importanza alle testimonianze degli ex-membri, riconosce autorità per identificare le “sette” alle associazioni anti-sette e accoglie la nozione di lavaggio del cervello, una nozione da tempo rifiutata dalla grande maggioranza degli studiosi.
La mia risposta è completamente diversa. È che le “sette” – così come le intendono molti media francesi e una certa opinione pubblica – non esistono.
Attenzione: esistono certamente movimenti religiosi – o magici – che si macchiano di crimini spaventosi, per cui devono essere puniti senza che la libertà religiosa possa diventare per loro un paravento dietro cui nascondersi.
Esiste anche una categoria teologica di “setta” all’interno del cristianesimo: è un movimento che si è separato dalla Chiesa e comunità tradizionali pensando che la Chiesa fondata da Gesù Cristo a un certo punto sia finita e non debba essere solo riformata (come pensano i protestanti) ma rifondata. Questa categoria è usata da sempre nella Chiesa Cattolica, e in questo senso parla di “sette” anche il Papa.
Dunque esistono “sette” in senso teologico ed esistono
movimenti religiosi o magici criminali. Chiunque mi attribuisse opinioni diverse sul punto ricostruirebbe le mie idee, esposte in una cinquantina di libri sul tema, in modo caricaturale.
Io penso che non esistano invece le “sette” se per “sette” si intendono gruppi che, a prescindere da specifici reati che eventualmente commettano – o anche non commettano – possono essere identificati come “sette” perché ricorrono a qualcosa chiamato plagio o manipolazione mentale o lavaggio del cervello. Queste a loro volta sono categorie dallo statuto epistemologico e scientifico molto dubbio.
Naturalmente esiste l’inganno dei “consumatori spirituali” ed esistono le pressioni psicologiche. Quelle che non esistono sono tecniche “magiche” con cui “si lavano i cervelli” e che permetterebbero di distinguere a priori e a colpo sicuro tra religioni e sette.
Del resto quella che per gli amici è una religione per i nemici è spesso una setta, e viceversa. Dunque il modo corretto ed efficace di rispondere ad attacchi pretestuosi all’Opus Dei e a tanti altri gruppi cattolici non consiste a mio avviso nel dire che le “sette” – non, ancora, nel senso teologico ma nel senso psico-criminologico corrente – ci sono ma l’Opus Dei non è una setta, ma nello smascherare e demistificare questa categoria di setta come sia non scientifica sia pericolosa per la libertà religiosa.