di Paul De Maeyer
ROMA, mercoledì, 21 settembre 2011 (ZENIT.org).- La “maternità surrogata” viene spesso descritta in termini positivi. La surrogazione (come viene anche chiamata) sarebbe un atto di altruismo, in cui una donna porta a termine una gravidanza per un’altra donna che non può concepire. Vista in questa luce, si tende a dimenticare che si tratta di una tecnica la quale pone molti interrogativi etici e che spesso finisce in situazioni sconcertanti. Per questo motivo, Paesi come Italia e Francia vietano il ricorso alle “madri portatrici”.
Che il rischio di derive sia reale lo dimostra una notizia proveniente dal Canada, dove la pratica della surrogazione è autorizzata e regolamentata dalla Assisted Human Reproduction Act (AHRA) del 2004. A far aggrottare più di un sopracciglio è la vicenda di una giovane donna di Bathurst, nella provincia del Nuovo Brunswick, che incinta di due gemellini ha visto saltare alla ventisettesima settimana della sua gravidanza il “contratto” che aveva stipulato con un coppia inglese.
La giovane donna, Cathleen Hachey, che ha solo vent’anni ed è già madre di due piccoli bambini, aveva conosciuto la coppia, che vive nella contea del Hertfordshire, attraverso il sito Surrogate Mothers Online e con la quale aveva creato un rapporto di amicizia. Dopo alcuni mesi di contatti quotidiani, la coppia decide nel novembre scorso di passare al dunque e di recarsi in Canada.
I tre raggiungono un accordo – la Hachey riceve un compenso di 200 dollari canadesi al mese per le sue spese – e decidono per una “surrogazione tradizionale”, cioè la Hachey viene inseminata con il seme dell’uomo della coppia inglese (del resto non in una clinica ma a casa, con strumenti casalinghi, cioè una siringa). Questo implica che il nascituro (si trattava poi di due gemelli dizigoti, un maschietto ed una femminuccia) è stato concepito con gli ovuli della madre surrogata e che la Hachey è quindi anche la madre biologica.
Nella surrogazione “gestazionale”, invece, vengono trasferiti nell’utero della madre portatrice uno o più embrioni concepiti in vitro (usando i gameti della coppia richiedente e/o di donatori), facendo sì che la madre portatrice sia solo il “vettore gestazionale” (traduzione dell’espressione inglese “gestational carrier”). Anche se ha un costo molto superiore alla surrogazione “tradizionale”, quella “gestazionale” viene preferita dagli esperti proprio per il fatto che il bambino non ha alcun legame biologico con la madre portatrice.
Arrivata alla 27.ma settimana della gravidanza, la surrogazione della Hachey conosce una brusca svolta quando ricoverata in ospedale riceve un SMS da parte della donna della coppia richiedente, dicendo che rinunciava ai bambini perché si era separata nel frattempo e da solo non ce l’avrebbe fatta a crescere i piccoli. Sempre tramite SMS, la Hachey si è messa poi in contatto con il padre dei bambini, ma invano.
Con l’aiuto di un amico, la giovane donna riesce a trovare solo poche settimane prima del parto una coppia disposta ad adottare i due bambini. “E’ stata dura”, ha raccontato (Parentcentral.ca, 9 settembre). “Se fossi stata in una migliore posizione economica, li avrei tenuti”. Infatti, la Hachey è single e durante la sua gravidanza il suo fidanzato l’aveva lasciata temporaneamente perché non se la sentiva di crescere quattro bambini con uno stipendio.
Nonostante la sua disavventura, la Hachey ci vuole riprovare. “Mi piace essere incinta, mi piace partorire. Mi è piaciuto tutto”, ha dichiarato (CBC News, 13 settembre). Ma non si farà più sorprendere. “Avrò il mio avvocato. Avrò un sacco di clausole nel contratto che mi tutelino”, ha promesso (Parentcentral.ca, 9 settembre).
Non è la prima volta che problemi relazionali all’interno della coppia richiedente compromettono una surrogazione in Canada. Sally Rhoads, di SurrogacyInCanada.ca, conosce almeno tre casi di madri portatrici che stanno crescendo i bambini dopo l’abbandono del progetto da parte dei richiedenti perché divorziati nel frattempo (The National Post, 6 ottobre 2010). Ma anche la Hachey non ha rispettato le regole. La legge del 2004 (in parte cassata dalla Corte Suprema del Canada nel dicembre scorso) stabilisce infatti che la candidata madre surrogata deve avere almeno 21 anni.
La vicenda dimostra quanto è facile aggirare le normative. Secondo il National Post (16 settembre), l’agenzia federale per il controllo sulla procreazione assistita – Assisted Human Reproduction Canada (AHRC) – ha esaminato finora più di venti presunte violazioni della legge, di cui la maggioranza per il pagamento di un compenso alla madre surrogata e la compravendita di gameti. La legge vieta infatti la commercializzazione della riproduzione umana e permette solo il rimborso di eventuali spese sostenute dalla gestante.
A preoccupare gli esperti, come Diane Allen, del gruppo di sostegno Infertility Network, è l’esistenza di “un mercato nero e grigio” in Canada. “La surrogazione (…) a parte pochi casi eccezionali di altruismo, è un commercio”, ha detto al National Post. “Alla fine, c’è uno scambio di denaro per un bambino. La società si oppone alla vendita di bambini attraverso adozioni straniere e al traffico delle donne e alla tratta degli schiavi, ma poiché ci sono dei medici coinvolti, è stato legalizzato”, osserva. “Qui stiamo parlando di vite umane e vengono trattate come un processo produttivo”, ha continuato.
Altri specialisti, fra cui Sherry Levitan, esperta legale nel campo della surrogazione, puntano il dito contro le coppie infertili e le madri surrogate che (come nel caso della Hachey) scelgono la “strada indipendente”, cioè quella del “do it yourself” o “fai-da-te”. “Ci sono quasi sempre dei problemi quando la gente va per conto proprio”, ha detto la Levitan (CBC News, 13 settembre). Non sanno – sostiene – quali sono le domande da fare e quali sono i meccanismi di protezione da mettere in atto.
Un’altra caratteristica della surrogazione è che spesso finisce davanti a qualche tribunale, costringendo i giudici a pronunciare sentenze di grande impatto. Sintomatico è un verdetto emesso poche settimane fa in Canada da Jacelyn Ann Ryan-Froslie, giudice della Court of Queen’s Bench della provincia del Saskatchewan. Nella sua sentenza, la Ryan-Froslie ha permesso ad una coppia gay di cancellare il nome della madre surrogata (che era d’altronde d’accordo) sul certificato di nascita della bambina che la donna aveva partorito nell’agosto del 2009, e concepito dal seme di uno dei due e da un ovulo donato.
Trattandosi di una “surrogazione gestazionale”, la portatrice non è legalmente la “madre” della piccola. Anche se non si sa ancora come sarà il nuovo certificato di nascita, secondo il Toronto Sun (13 settembre) tutto indica che il compagno del padre biologico risulterà come l’altro parente, anche se lui (come la madre surrogata dunque) non ha alcun legame biologico con la bambina. La surrogazione svuota dunque la maternità. Mentre prima si distingueva ancora tra “madre adottiva” e “madre biologica” – come osserva il National Post (13 settembre) -, oggi la surrogazione spacca quest’ultima categoria in “donatrice di ovuli” e “vettore gestazionale”.
Inoltre si tende ad ignorare il legame che si instaura tra una madre “gestazionale” e il bambino durante la gravidanza. Separarsi dal piccolo dopo il parto può essere molto doloroso anche per un “gestational carrier”, come dimostra l’esempio di una donna scozzese, Louise Murray, 29 anni, che per il dolore della separazione dal piccolo è finita in terapia farmacologica antidepressiva. “Piango ancora per il mio bambino”, ha raccontato la donna, che è lesbica, al Daily Record (11 settembre).
Circa un mese prima che nascesse il bambino, Louise ha persino pensato di non consegnarlo alla coppia richiedente (un contratto di surrogazione non è legalmente vincolante nel Regno Unito). “L’ho fatto solo perché avevo detto loro che l’avrei fatto, e ho mantenuto la mia parola. Ero moralmente costretta”,
ha spiegato.
Proprio il “bonding” (la parola inglese per la costruzione di un legame empatico ed affettivo tra madre e figlio) è negli USA al centro di una causa legale intentata contro il proprio datore di lavoro da una donna di New York, Kara Krill, che ha “avuto” dei gemellini tramite una surrogazione. La ditta – la Cubist Pharmaceuticals, con sede nel Massachusetts – aveva concesso dopo la nascita solo cinque giorni di congedo di maternità retribuito (come nei casi di un’adozione) alla Krill, invece delle 13 settimane chieste dalla donna. Secondo l’azienda, i cinque giorni erano sufficienti, dato che la donna non ha dovuto riprendersi dal parto. Secondo la Krill, che soffre di una patologia uterina, il lungo periodo serve proprio per instaurare un legame con i piccolini.
“Lo scopo di un congedo di maternità non è solo quello di permettere alla madre di riprendersi dal parto, ma anche di permetterle di stabilire un legame con il bambino”, ricorda Gaia Bernstein, professore di Diritto presso la Seton Hall University School of Law, nel New Jersey (ABC News, 2 settembre). “Questo è ancora più importante per una madre che non ha costruito un legame attraverso la gravidanza”, sostiene.