Scoprire la Chiesa in Togo

Un frate marista racconta come ha lasciato la religione tradizionale africana

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ROMA, lunedì, 19 settembre 2011 (ZENIT.org).- Remy Sandah andava in chiesa, nella sua comunità rurale in Togo, per non dover lavorare nei campi.

L’attuale amministratore economico del Consiglio generale dei maristi, fratel Sandah, ricorda il suo primo contatto con il Cristianesimo, come la manifestazione della capacità di Dio ad usare qualsiasi espediente per arrivare alle persone, persino la riluttanza di un bambino a lavorare.

Fratel Sandah è ora molto lontano dalla sua patria in Africa occidentale. Lavora a Roma, dove è stato intervistato dal programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.

Qual è la sua origine familiare?

Fratel Sandah: Provengo da un ambiente rurale. Molte delle zone rurali del Togo sono povere. La gente lavora molto ma realizza praticamente nulla e questo non per pigrizia. Le zone rurali sono agricole e quando un anno va male non esiste assicurazione, si muore di fame.

I suoi genitori lavoravano nell’agricoltura?

Fratel Sandah: I miei genitori, i miei fratelli ed io lavoravamo nei campi. Io avevo sei anni. Lavoravamo su un campo e aiutavamo negli altri. Si potrebbe dire che era una cooperativa.

Aveva tempo di andare a scuola?

Fratel Sandah: Nel mio villaggio si inizia scuola a sei o sette anni. Io lavoravo solo di sabato e di domenica. Cercavo di sfuggire al lavoro dicendo a mio padre che dovevo andare in chiesa. Mio padre non era cristiano ma mi permetteva di andare.

Che tipo di scuola ha frequentato?

Fratel Sandah: Era una scuola pubblica del villaggio, ma i missionari non erano lontani e venivano ad insegnarci catechismo e i canti di Chiesa. Ho avuto contatto con i maristi quando andavo alla scuola secondaria.

Il Togo è un Paese cristiano?

Fratel Sandah: Non direi che il Togo sia un Paese cristiano, perché i cattolici sono il 25%, i protestanti il 9% e i musulmani il 15%. La maggioranza appartiene alle religioni tradizionali, che coprono circa la metà della popolazione. Non è un Paese cristiano, ma abbiamo una grande minoranza cristiana. Esiste libertà di religione e buoni rapporti di convivenza tra tutte le religioni.

Se i suoi genitori non erano credenti, come le hanno permesso di frequentare una scuola cattolica?

Fratel Sandah: La mia famiglia non era cristiana, ma adesso lo è. Il Cristianesimo è stato introdotto nella mia famiglia grazie al mio fratello maggiore. Lui è andato per conto suo ad una scuola cristiana gestita dai missionari maristi, lontano dal nostro villaggio. Voleva ricevere un’istruzione e mio padre non si è opposto e l’ha lasciato andare. Quando è tornato a casa ci ha detto della “Buona Novella”, così la famiglia gradualmente ha abbracciato il Cristianesimo.

Io ho potuto andare in chiesa grazie a lui. Mio padre ci lasciava andare se noi volevamo. All’inizio facevo entrambe le cose. Andavo in chiesa ma facevo anche i sacrifici ai nostri antenati insieme a mio padre nell’ambito della nostra religione tradizionale.

Come è stato questo suo cambiamento dalla religione tradizionale al Cattolicesimo?

Fratel Sandah: In effetti io sono stato battezzato da neonato, ma poi non ho praticato finché, quando sono cresciuto e andato a catechismo, ho imparato a conoscere i contenuti del Cristianesimo e ho abbandonato completamente la religione tradizionale. Ho detto a mio padre: “Ci hanno detto in chiesa che non dobbiamo fare sacrifici se andiamo in chiesa; che dobbiamo scegliere”. Lui ha risposto: “Allora scegli”. Così ho scelto la Chiesa. Lui non si è opposto e io gliene sono grato.

Che cosa, del Cattolicesimo, l’attirava di più?

Fratel Sandah: Dio utilizza ogni mezzo per arrivare alla sua gente e per me direi che ha usato la mia parte “peggiore”. Io andavo in chiesa per pigrizia; per sfuggire al lavoro. In chiesa stavo bene perché ascoltavo i canti. Quando poi sono andato alla scuola marista era diverso. Vedevo la loro dedizione all’educazione, il loro lavoro e come vivevano in comunità. Questo è ciò che mi ha attratto di più; anche la loro allegria e il loro modo di lavorare insieme. Ho iniziato a farmi delle domande. Più tardi sono andato a parlare con uno di loro e, dopo un discernimento, quando ero grande abbastanza per decidere ho deciso di diventare un loro fratello.

Perché marista?

Fratel Sandah: I maristi provengono dalla Svizzera. Io non sapevo nulla di loro. Sapevo cos’era un sacerdote, ma non sapevo nulla di come fosse la vita da frate. Quando mi è stato spiegato che vivevano in comunità e che pregavano e lavoravano insieme – quasi come un sacerdote, ma senza celebrare la Messa – ho capito che non era il sacerdozio che mi attirava, ma questo tipo di vita.

L’altro motivo è che venivano dalla Svizzera, dove però non c’erano più vocazioni e la scuola che gestivano in Togo era destinata a chiudere senza togolesi che potessero proseguirne il lavoro. Io sono stato il primo ad unirmi a loro. Quindi è stato per amore all’educazione.

Qual è stata la reazione della sua famiglia quando ha detto loro di volersi unire ai maristi e diventare frate?

Fratel Sandah: La loro prima reazione è stata negativa perché, come ho detto, la figura del frate non erano conosciuta e non ne volevano sapere nulla. Ho cercato di spiegare cosa fosse la vita religiosa, ma la loro domanda era: “si sposano?”, “no”, “allora è come un sacerdote; non c’è differenza”. Ribadito che la differenza era che non celebrano la Messa, il loro commento era: “se non si sposano è uguale”. Poiché mio fratello maggiore era andato a scuola cattolica ed era diventato sacerdote, loro dicevano: “uno è sufficiente”. Io ho insistito. Alla fine, quando i miei genitori mi hanno visitato e hanno visto altri giovani nel pre-noviziato, lentamente hanno accettato l’idea, in tempo per i miei primi voti.

Hanno accettato il fatto che non si sarebbe sposato, nonostante il fatto che suo fratello maggiore era già sacerdote e che qualcuno avrebbe dovuto continuare la discendenza della famiglia?

Fratel Sandah: Quella era la loro preoccupazione iniziale, ma mio fratello minore ha una moglie e quattro bambini, per cui non si devono preoccupare di quello. Mia madre, che da allora è diventata cristiana, ha capito il senso della vita cristiana. Ha detto: “La vita non è nostra. La vita è per Dio”. L’ha capito e anche mio padre, che ora è andato al Padre, ma prima dei morire era pienamente d’accordo. Quindi gliene sono grato.

È stato difficile abbandonare la religione tradizionale africana quando ha deciso di diventare cattolico?

Fratel Sandah: Devo dire che, da piccolo, ero consapevole che la mia pratica della religione tradizionale non era per fede. Il mio interesse era limitato alla carne dei sacrifici che potevo mangiare e semplicemente ad aiutare, guardare ed essere lì. Quindi non era una partecipazione di cuore. Poi ho scoperto la fede cattolica, ma non posso dire che la religione tradizionale mi manchi.

Che passo delle Scritture ha scelto per la sua consacrazione?

Fratel Sandah: Quando ho fatto i miei voti perpetui – il momento in cui solennemente si decide di rimanere nella Congregazione – ho scelto Giovanni 16,33. Le parole di Cristo erano: “abbiate fiducia, io ho vinto il mondo!”. Queste parole mi dicevano molto in quel momento perché c’era grande turbolenza negli anni Novanta: un conflitto tra Nord e Sud e tra diverse tribù etniche. La gente aveva paura. Io pensavo che noi cristiani non dovessimo avere paura e che dovessimo aiutare le persone a confidare in Dio perché il nostro destino è nelle sue mani.

Qual è la situazione politica di oggi in Togo?
Fratel Sandah: Le cose sono cambiate molto ultimamente. Il nostro ultimo Presidente ha fatto molto per procurare un cambiamento. Siamo una Repubblica che si sta trasformando in una democrazia, con diversi partiti politici in Parlamento. Siamo in fase di transizione da un sistema con un unico partito a un sistema con tre grandi partiti e diversi altri più piccoli.

Cos’altro bisognerebbe fare nel suo Paese?

Fratel Sandah: Dovremmo essere più uniti. Alcune persone pensano di essere più togolesi di altre e di averne maggiore titolarità. Esistono ancora tensioni tra alcune persone del Nord e altre del Sud, a causa di presunte ingiustizie del passato. Il Governo sta ora cercando di farsi parte attiva per allentare queste tensioni, perché senza unità la nazione non potrà prosperare.

Lei può contribuire in questo processo di riconciliazione?

Fratel Sandah: Penso che tutti possano fare qualcosa. Nella pratica, io posso fare ciò che ogni cristiano dovrebbe fare, ovvero essere esempio di riconciliazione. Nella mia comunità ci sono persone che provengo da tribù e gruppi etnici diversi e viviamo in armonia. Se la gente vede che questo è possibile, allora ciò potrà aiutarli ad imparare a vivere senza dissenso e tensione e potrà contribuire al cambiamento.

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Questa intervista è stata condotta da Marie Pauline Meyer per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

Where God Weeps: www.wheregodweeps.org

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ZENIT Staff

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