di padre John Flynn, LC
ROMA, lunedì, 19 settembre 2011 (ZENIT.org).- Un rapporto sullo stato di benessere dei bambini australiani, reso noto due settimane fa, ha rivelato che, sebbene l’attuale generazione di giovani stia crescendo in una società più salutare e più benestante, permangono una serie di problemi gravi per alcune categorie di bambini.
Il rapporto dal titolo “For Kid’s Sake: Repairing the Social Environment for Australian Children and Young People”, è stato commissionato dalla Australian Christian Lobby. L’autore, Patrick Parkinson, è professore di diritto presso l’Università di Sydney e ha scritto libri sul diritto di famiglia e sugli abusi contro i bambini.
Il rapporto osserva anzitutto che l’Australia si colloca tra i primi posti negli indici di sviluppo sociale, nei livelli di istruzione e di benessere economico. Tuttavia, questi livelli generali nascondono gravi problemi che riguardano un numero crescente di bambini.
Secondo il rapporto vi è stato un “aumento drammatico” dei casi di maltrattamenti e di abbandono di minori, unitamente a un sostanziale incremento nel numero dei bambini posti sotto tutela pubblica nel corso degli ultimi 15 anni. La crescita demografica e l’aumento della tendenza a denunciare i casi di abuso non sono sufficienti per spiegare il grado di aumento nel numero dei maltrattamenti.
L’incremento dei casi di abuso e abbandono riguardano tutti i livelli socio-economici, ma sono particolarmente evidenti nella popolazione indigena con un tasso di bambini sotto tutela che è quasi 10 volte più alto di quello relativo ai bambini non indigeni.
Anche le patologie mentali nei bambini sono aumentate notevolmente, con un forte aumento nell’uso di antidepressivi da parte dei bambini. “La rapidità di deterioramento della salute mentale dei bambini e dei giovani è molto preoccupante”, osserva il rapporto.
Fenomeni di autolesionismo, abuso di alcol, delinquenza giovanile, comportamenti sessuali a rischio e gravidanze adolescenziali sono ulteriori settori in cui i bambini di oggi stanno peggio rispetto a quelli della metà degli anni Novanta.
Salute mentale
Il rapporto osserva che i problemi dei bambini di oggi non sono affatto circoscritti all’Australia. La ricerca internazionale mostra un grave deterioramento della salute mentale dei giovani nei Paesi occidentali.
Uno studio citato dal rapporto, pubblicato negli Stati Uniti nel 2010, mette a raffronto gli studenti universitari del 1938 con quelli del 2007. I ricercatori hanno rilevato che ogni generazione successiva ha visto deteriorare la propria salute mentale rispetto a quella precedente. Nel 2007 gli studenti avevano una probabilità cinque volte superiore di soffrire di problemi rispetto al 1938. Secondo lo studio, la maggiore propensione degli ultimi a riconoscere i problemi psichici non è sufficiente a spiegarne il drammatico aumento.
Come si spiega quindi questo deterioramento dello stato di benessere? Il rapporto riconosce la difficoltà di individuarne le cause e che una eventuale correlazione non equivale a una vera causalità. Altri studi su questo fenomeno hanno sottolineato i cambiamenti nella struttura familiare, la disoccupazione giovanile e il maggiore materialismo e individualismo.
Parkinson, ha invece sottolineato l’importanza di un altro fattore: quello della conflittualità e del dissesto familiare. Vivere in una famiglia diversa da quella composta dai propri genitori biologici, prima dell’età di 16 anni è notoriamente associato ad un ampia varietà di conseguenze negative per il benessere dei bambini.
Alcune persone ritengono che il motivo risieda nel fatto che gli adulti che formano matrimoni stabili tendono ad essere inseriti meglio nella società e a stare meglio economicamente. Quindi il fattore decisivo non sarebbe tanto la struttura familiare, quando le caratteristiche personali dei genitori.
Sebbene questo, fino a un certo punto, possa essere vero, il rapporto cita anche studi basati su sofisticati indici statistici, comprendenti anche i fattori genetici, che indicano la disgregazione della famiglia come causa significativa dei problemi dei bambini, piuttosto che la mera qualità personale dei genitori.
Impatto negativo
In Scozia, uno studio ha rilevato che nel 2006 i giovani lamentavano rapporti familiari peggiori rispetto al 1987. Lo studio è stato svolto per individuare le cause del sostanziale aumento dei problemi psicologici dei quindicenni.
Un altro studio, negli Stati Uniti, ha preso in analisi l’esperienza di 2.000 coppie sposate, per un periodo di 15 anni. Da esso risulta che, nei matrimoni con alti livelli di conflittualità, sono maggiori anche problemi nei rapporti tra genitori e figli. In altri termini, il grado di infelicità dei coniugi si riflette sul grado di benessere dei figli. Il divorzio, da questo punto di vista, si è dimostrato avere effetti deleteri.
Altri studi mostrano che il divorzio costituisce un importante fattore di rischio per lo stato emotivo dei bambini e per il loro rendimento accademico. Da uno studio americano risulta anche un collegamento tra il divorzio dei genitori e l’aspettativa di vita dei figli. Infatti, i figli di famiglie divorziate muoiono quasi cinque anni prima di quelli di famiglie integre.
Inoltre, secondo Parkinson, la conflittualità e le tensioni tra genitori non necessariamente finiscono dopo la separazione e possono invece persino aumentare a causa di problemi sulla divisione patrimoniale o sulla gestione dei figli.
Per quanto riguarda le famiglie monogenitoriali, Parkinson fa riferimento a un approfondito studio australiano da cui risultano più elevati livelli di conflittualità nelle famiglie con un solo genitore e soprattutto nelle famiglie con genitori risposati, rispetto a quelle integre.
Un altro studio australiano prende in esame le conseguenze del divorzio sulla vita adulta di chi è stato figlio di genitori separati. In tutti gli indici considerati, i figli di divorziati risultano stare peggio degli altri. Tra gli indici figurano l’attività sessuale precoce, la convivenza, la procreazione prima dei 20 anni di età e il rendimento accademico.
Una delle conseguenze del divorzio che ha un grande impatto sui figli è lo scarso contatto che molti di loro mantengono con il padre, dopo la separazione. Secondo uno studio del 2001, il 36% dei padri non aveva visto il figlio più piccolo nei precedenti 12 mesi.
Inoltre, negli adolescenti che hanno contatti non frequenti con il padre divorziato, sono stati riscontrati maggiore depressione e più scarsi rendimenti scolastici, indipendentemente dal rapporto che hanno con la madre.
Abusi
Molteplici studi internazionali hanno dimostrato che il maltrattamento e l’abbandono di minori è molto più frequente nei figli con genitori separati. Secondo l’Australian Institute of Family Studies il maltrattamento dei bambini nelle famiglie con un solo genitore è circa due volte e mezzo più frequente del normale. Solo un quarto di tutti i maltrattamenti avvengono su figli di famiglie integre: una percentuale molto più bassa di quello che ci si potrebbe aspettare, posto che tre quarti dei bambini vivono in famiglie integre.
Quando in una famiglia monogenitoriale subentra un partner maschile, aumenta molto il rischio di abuso sessuale sulle bambine. Secondo uno studio svolto a San Francisco, una ogni sei bambine cresciute con un padre acquisito risulta essere stata abusata, rispetta al rapporto di una su 40 bambine che vivono con il padre biologico.
Ma anche se la madre rimane da sola, i figli ne subiscono le conseguenze. Spesso la situazione economica diventa difficile e la famiglia deve trasferirsi in un quartiere più povero, cambiando scuola e amici, cosa che provoca grande stress ai bambini.
“Gli sforzi diretti a evitare maltrattamenti e abbandono dei minori, e ad affrontare il crescente
problema dei problemi di salute mentale degli adolescenti, sono destinati ad avere effetti limitati finché, come società, non riusciamo a invertire la tendenza al deterioramento dell’ambiente sociale in cui i bambini crescono”, conclude Parkinson.
Egli non è certo l’unico a evidenziare i problemi discendenti dall’instabilità familiare. Poco dopo la pubblicazione del suo rapporto, la London School of Economics ha reso note le conclusioni di uno studio svolto su 9.500 uomini nati nel 1958. I ragazzi cresciuti senza un padre risultano avere una propensione dal 4 al 5% maggiore di fare un figlio prima di compiere 23 anni, rispetto a chi invece ha continuato a vivere con un genitore maschile, secondo quanto riferito dal quotidiano Telegraph del 7 settembre.
Il rapporto di Parkinson indica anche una serie di raccomandazioni dirette a rafforzare la famiglia. Tra queste figurano una migliore preparazione al matrimonio, programmi per aiutare i genitori a gestire meglio i propri figli, e maggiore sostegno alle comunità che aiutano le famiglie. L’auspicio è che questo rapporto, e i numerosi rapporti simili, che mostrano come sia essenziale per la società tutela e sostenere attivamente le famiglie, ricevano la dovuta attenzione.