Riccardi: per l'unità contro la cultura del conflitto

All’inaugurazione del convegno di Sant’Egidio “Bound to live together”

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di Chiara Santomiero

MONACO, lunedì, 12 settembre 2011 (ZENIT.org).- L’affermazione, negli ultimi dieci anni, di una cultura generalizzata del conflitto: è questo, secondo Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, uno degli effetti più rilevanti dell’attacco alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001.

“Quell’ evento che ha aperto in modo tragico il XXI secolo – ha affermato Riccardi dando ufficialmente il via al convegno “Bound to live together. Destinati a vivere insieme” iniziato domenica a Monaco di Baviera con la partecipazione di 300 leader religiosi di tutto il mondo per iniziativa della Comunità di S. Egidio in collaborazione con l’arcidiocesi di Monaco e Frisinga – fu letto da molti come conferma di un’interpretazione della storia: la realtà era un conflitto permanente tra civiltà e religioni, in particolare tra islam e Occidente”.

Nel quadro di questa cultura generalizzata del conflitto, “il dialogo è apparso una pericolosa ingenuità e si è invece riabilitata la guerra come strumento per affermare il diritto, difendersi, lottare contro il terrorismo”. La cultura del conflitto, infatti “esprimeva le paure e le angosce di un mondo globalizzato, spaesato, minacciato da varie parti: sembrava proteggere”. Allo stesso modo “lo spirito d’Assisi che aveva caratterizzato l’incontro voluto da Giovanni Paolo II nel 1986, ancora durante la guerra fredda, quando convocò i leader religiosi per pregare per la pace, insistendo sul legame tra le religioni e la costruzione della pace stessa, sembrò un’utopia”.

Di fronte a questa cultura “occorre porre, con rinnovata forza, il problema della pace”. “Pace – ha affermato Riccardi – non è retorica, ma bisogno impellente di simpatia, di unione, di dialogo. La pace è necessità di gente diversa che vive vicino“. Pace, ancora, “vuol dire fine dei conflitti aperti. Ma pace è anche costruzione politica: per l’Europa significa unione tra i paesi europei nell’esercizio di una comune responsabilità nel mondo e nei paesi più poveri, libertà dalla miseria”. E se pace vuol dire sicurezza di fronte al terrorismo, essa significa contemporaneamente “far crescere una società del vivere insieme in città cariche di tensioni”.

“Parlare di pace oggi – ha proseguito Riccardi – sembra un lusso durante la crisi economica” a causa della quale si corre il rischio di “diventare più concentrati su noi stessi e sulle nostre società e anche più antagonisti mentre già la crisi la pagano i più poveri“.

In questo mondo, spaventato dalla crisi economica, “ci vuole un soffio che rianimi la speranza e guidi alla coscienza di un destino commune”.Èproprio questo il compito che chiama in causa le religioni. “Le religioni – ha sottolineato Riccardi – mostrano che gli uomini tutti compiono un unico grande viaggio”. Si tratta di “una coscienza basilare, semplice come il pane e necessaria come l’acqua. Ma talvolta questa coscienza si perde nell’intrico degli odi, nelle perversioni della cultura o tra gli interessi in conflitto. Bisogna rianimare in tutti cantieri dell’unità la tensione unitiva, semplice e basilare”.

“L’attuale crisi finanziaria ed economica – ha concordato nel suo intervento all’apertura del convegno Sua Beatitudine Daniel, Patriarca della Chiesa ortodossa romena – può costituire una nuova sorgente di conflitti sociali, interetnici, interreligiosi e internazionali”. Se, al contrario “è presa in considerazione con la massima responsabilità, essa può divenire un momento favorevole per promuovere la saggezza della convivenza pacifica attraverso nuove forme di comunicazione e cooperazione nel conservare e coltivare il dono santo della vita umana nel nostro pianeta”.

“Noi che viviamo in Terra Santa – ha affermato Shear Yashuv Cohen, Rabbino capo emerito di Haifa – sappiamo bene che la sola via per sopravvivere nel nostro amato paese è combattere l’odio e promuovere la pace, la sicurezza e la comprensione”. La Terra Santa per i credenti dell’ebraismo, dell’islam e del cristianesimo deve essere “una ragione per unirci gli uni agli altri, per impedire spargimenti di sangue, odio e contrasti”. “Cari amici, leader delle fedi – ha invitato Cohen – insegniamo ai nostri fedeli a fermare questo terribile crimine. Impariamo a vivere insieme, a rispettarci e a ripetere incessantemente le parole del profeta Malachi che ci ricorda come abbiamo tutti un solo padre”.

“Come qualcuno abbia potuto commettere atti così biechi e malvagi – ha affermato Seri Anwar Ibrahim membro del Parlamento della Malesia – va al di là della nostra comprensione, ma sappiamo che la storia dell’umanità è sporcata da atti inimmaginabili di depravazione e crudeltà”. “La Jihad – ha spiegato Ibrahim – deve essere intesa da un osservante musulmano solo come purificazione spirituale: è un richiamo all’anima del fedele affinché adempia i dogmi della religione, facendo il bene ed evitando il male, stabilendo la giustizia, promuovendo la carità ed aiutando i deboli ed i poveri”. E questo deve essere il fondamento del rapporto tra islam e Occidente “poiché il dibattito è stato invariabilmente pregiudicato dall’idea sbagliata dominante sull’islam, come una religione di terrore e violenza e diametralmente opposta all’uguaglianza, alla giustizia e alla dignità umana”. Con l’avvento della “primavera araba, secondo Ibrahim “il vecchio paradigma si è sbriciolato e con esso, vogliamo sperare, anche le vecchie interpretazioni e pregiudizi: l’islam e la democrazia sono perfettamente compatibili”.

“Tra lo scontro di civiltà e la globalizzazione volgare, ridotta solo all’economia – ha affermato Riccardi –, c’è il largo campo della costruzione dell’unità nella diversità”. Su questo, ha sottolineato il fondatore della Comunità di Sant’Egidio “abbiamo rischiato in venticinque anni; non siamo stati delusi; su questo spazio vogliamo costruire il futuro”.

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ZENIT Staff

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