Il problema della forma nella musica liturgica

di Aurelio Porfiri*

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MACAO, martedì, 6 settembre 2011 (ZENIT.org).- Da molto tempo, vado riflettendo su alcune tendenze che si sono verificate negli ultimi decenni nell’ambito della Chiesa cattolica, con attenzione tutta particolare alla musica liturgica. Mi è capitato di leggere molto su questo argomento e anche di scrivere molto. Ora mi rendo conto di essere vittima di una sorta di insofferenza, una sensazione che sempre più cresce in me e mi rende talvolta il leggere e lo scrivere una fatica più grande. Perché accade questo? Voglio fare un esempio che spero aiuterà a chiarire il mio punto. Ci sono molte persone che soffrono di depressione; alcune di queste, per conseguenza, non mangiano o mangiano poco. Talvolta chi sta intorno a queste persone dice cose tipo: devi mangiare di più… o cose simili. Ora, è vero che non mangiare è un problema ma è ancora più vero che la radice del problema di quelle persone non è nel mangiare ma è altrove; il non mangiare è una conseguenza.

Talvolta mi sembra che accada la stessa cosa per la musica liturgica: ci si combatte a colpi di articoli della Sacrosanctum Concilium, ma io credo che questi articoli siano ben conosciuti dalle varie fazioni, il problema è altrove. Certo bisogna conoscere questi articoli ed esserne bene informati, sono una legge che informa il fare liturgico; ma voi direste che i ragazzi che vanno in giro a rubare lo fanno perché non conoscono la legge? Certo che sanno che rubare è reato, ma c’è tutto un insieme di influenze che fanno in modo che si comportino in quel modo. Prendiamo il discorso della forma. Certo questo è un tema molto caldo: nella tradizione della musica liturgica si privilegiano composizioni con una coerenza formale estremamente curata, con canoni ben precisi e verificabili. Spesso nella bailamme della musica liturgica degli ultimi decenni abbiamo invece composizioni con una forma spesso approssimativa e semplificata, come se essa non giocasse un ruolo nella efficacia delle composizioni stesse. Si oppone forma e contenuto: anche se la forma è approssimativa quello che importa è il contenuto. Sto leggendo con interesse un libro che ha fatto molto discutere, “L’eresia dell’informe” dello scrittore tedesco Martin Mosebach. Ora non voglio entrare nel merito del libro, quello che mi piace e quello che non mi piace. Ma c’è un passaggio che è interessante citare:

La filosofia, un vizio tedesco, ha introdotto nei cervelli, anche più modesti, l’idea di una differenza tra forma e contenuto. Secondo questa dottrina i contenuti e le forme possono essere separati gli uni dagli altri: ciò che essa definisce come contenuto, l’astrazione, il nucleo teorico, costituisce per essa la realtà vera e propria; i corpi, nei quali scorre il sangue, le strutture accessibili ai sensi sono al contrario pura forma, strutture indistinte interscambiabili; chi si interessa di questa forma, rimane nel periferico, nell’accidentale – chi invece, attraverso la forma, giunge fino alle astrazioni eterne raggiunge la luce della verità. Le forme sono qui divenute quasi qualcosa di indeterminato, e talvolta, addirittura qualcosa di peggio; qualcosa di non vero, esse sono qualcosa di falso. Chi coglie e prende sul serio la forma, si espone al pericolo di perdersi ugualmente nella menzogna. Egli è l’esteta. Egli cerca la verità nei luoghi sbagliati, e cioè nella sfera dell’evidenza sensibile, e la cerca con strumenti proibiti, e cioè con i suoi sensi, con il suo gusto, la sua esperienza e la sua ragione. Da questa rivolta intellettuale contro l’evidenza delle cose, è nata la disposizione fondamentale del nostro tempo: una sfiducia di cui è ricolma l’intera opinione pubblica contro ogni tipo di bellezza e di perfezione” (pp. 113-114).

E poi l’autore va avanti a spiegare come questa tendenza si sia imposta nell’arte, influenzando anche la Chiesa cattolica nell’ambito della liturgia. Ho molto riflettuto su questa interessante osservazione dello scrittore tedesco; non c’è dubbio che egli fotografi una situazione verificatisi nel tempo. Ma poi ho cominciato anche a riflettere sul fatto se la tendenza nella nostra società, così come è oggi, possa essere definita solo in questo modo. A questo punto qualche dubbio è cominciato a farsi largo in me. In effetti mi viene da riflettere su alcuni ambiti della società che sono estremamente popolari, come moda, informatica e sport, per esempio.Èproprio vero che qui la forma non viene riguardata come importante? Nella moda si guarda alla perfezione estetica talvolta a scapito della praticità dell’abito. In effetti c’è un eccesso di forma, piuttosto che il suo abbandono. E nei computer? La Apple ha fatto la sua fortuna proprio per l’eleganza del design e ha imposto uno stile che ha rilevanza mondiale. Nello sport? Si guardi a come i campioni sono subito impiegati come simbolo di eleganza ed usati per promuovere prodotti di ogni genere, specialmente se essi sono fisicamente attraenti. Insomma, è proprio vero che c’è una eclissi della forma? Talvolta c’è più un’eclissi del contenuto.

Quindi questa tendenza denunciata dallo scrittore tedesco andrebbe forse specificata meglio e inscritta di più in un certo comportamento insito profondamente nella Chiesa cattolica. Credo che il problema sia che talvolta la Chiesa cattolica rincorra mode che sono oramai passate, come già descritto da importanti intellettuali cattolici. L’idea che lo spontaneismo sia più efficace della professionalità, poteva avere un appeal in un periodo in cui si esaltava la liberazione dai legami con l’autorità. Ma oggi? In effetti questo è il problema. Ancora oggi questo vento proveniente dagli anni Sessanta continua a spirare perché qualche finestra è stata lasciata aperta, come capita in alcune case abbandonate.

Ma perché è potuto succedere qualcosa di simile nella Chiesa cattolica? Io penso ci sono varie ragioni. Una è che in fondo alla gran parte del clero non importa della qualità della musica liturgica nelle celebrazioni. Questo non perché sono cattivi, ma perché non sono più formati ad apprezzare la qualità. In passato c’era una intensa vita anche musicale nei seminari, oggi è quasi il deserto. La mia impressione, confermata da più di vent’anni di vita musicale liturgica, è che in fondo non c’è interesse reale nel clero per la musica liturgica, fatte salve poche eccezioni. Tutto va bene, perché non si percepisce la differenza. E talvolta c’è opposizione alla musica fatta in un certo modo non perché siano contrari, ma perché non hanno gli strumenti per valutarla. Quindi si rimane paralizzati a questa sorta di mentalità anni Sessanta, mentre il mondo va avanti: spontaneismo, giovanilismo, antiautoritarismo…..perché la Chiesa rimane abbarbicata a questo? Una ragione l’ho data sopra. Poi, credo che il Concilio Vaticano Secondo sia stato, nel bene e nel male, una sorta di evento dirimente (e come ci viene insegnato da Papa Benedetto XVI con l’ermeneutica della continuità, forse non doveva essere proprio così). Certi scogli, anche culturali e storici, come le rivolte degli anni Sessanta che sono un poco entrate anche nell’ambito cattolico, non sono state superate con tutto il loro bagaglio. Poi c’è un fenomeno apparentemente contrario: quello del clericalismo che anche blocca un effettivo cambiamento. Se tutto viene sempre gestito dal clero e il clero in generale non ha più la formazione musicale….le conseguenze sono facili da capire. Ecco il problema con la forma, che non deriva come spero ho dimostrato da una tendenza sociale, ma da un ritardo culturale che è proprio allo sviluppo recente della Chiesa cattolica e da cui tutti ci auguriamo si venga presto liberati.

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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute,
la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui:
L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.

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ZENIT Staff

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