di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 29 luglio 2011 (ZENIT.org).- “Così dice il Signore: “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti”.(Is 55,1-3)
“Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla; perché vada nel villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù disse loro: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”. Gli risposero: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qui”.
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.”(Mt 14,13-21)
Appena terminato di trascrivere questo Vangelo, mi sono alzato per cercare un libro che lo commentasse. Casualmente ho posto l’occhio sopra un altro libro. Attratto dal titolo, l’ho aperto al centro, ho cominciato a leggere e subito mi sono sentito avvolgere da… un buon profumo di pane:
“Ricordo il profumo appetitoso del forno nei giorni di festa. Le donne del vicinato si mettevano in coda, come in processione, ad aspettare il loro turno per la cottura del pane.
Le forme impastate venivano disposte a una a una su assi di legno, con la meticolosità di chi sta per fare una cosa importante, e poi ricoperte con una pezza bianca.
Molti poveri si avvicinavano al forno: mia madre ne conosceva parecchi e riservava sempre qualche cosa per loro: forme di pane, qualche pezzo di carne, un po’ di vino. Ognuno sapeva di poter contare su di lei e si avvicinava pieno di trepidazione e di speranza. Mai una volta l’attesa di quei poveri andò delusa.
La cottura del pane era sempre una cerimonia importante. Ogni volta mi sembrava di assistere a qualche cosa di nuovo, che non avevo mai visto prima. Intorno c’erano il fermento e l’ansia che accompagnano la nascita di un bambino: quel forno di mattoni, sul retro della casa, era come una culla pronta a ospitare il nascituro, anzi i nascituri, perché i pani da cuocere erano tanti. Le forme, infarinate come pesci, e coperte da un lenzuolo bianco, venivano portate sulle assi verso il forno. Qualche donna accarezzava il proprio pane e vi imprimeva il segno della croce sulla parte rigonfia: un ringraziamento, una benedizione per un futuro migliore. Poi ognuna se ne restava lì, muta, in attesa che la cottura terminasse, con gli occhi fissi alla bocca del forno, attenta a che il pane non bruciasse o non divenisse troppo gonfio.
Quando finalmente era cotto, veniva disteso sulle tavole e di nuovo coperto. Prima di allontanarsi con la tavola dei pani sul capo, tutte ne davano uno a mia madre per l’uso del forno. In quei giorni l’odore del pane rimaneva nell’aria fino a sera.” (Romano Battaglia, Notte infinita, 1989, p. 130-134).
Dicevo che leggendo questa pagina ho gustato nell’anima una fragranza particolare. Potrei esprimerla così: quella nostalgia di bellezza semplice e pura, di povertà lieta e fiduciosa, di amore riconoscente ed accogliente che la scena evoca, non aveva in sé la nota triste dell’assenza, ma quella gioiosa del dono posseduto.
Conosco infatti la verità di questa vita materialmente povera, ma ricca di amore: è quella che ho scelto, anzi, è quella che ha scelto me, è quella che celebro ed amministro da vent’anni, è quel “Pane di vita” (Gv 6,48) che mangio e distribuisco ogni giorno e che nutre la mia vita in un modo tale per cui, sempre assetato e sempre affamato di Lui, posso nel medesimo tempo testimoniarne l’ineffabile sazietà: “non manco di nulla” (salmo 23/22,1).
Ma ciò non è solo per me.
Dice infatti la Scrittura: “O voi tutti assetati,..venite, comprate senza pagare,..ascoltatemi..e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti” (Is 55,1-3).
Le forme di pane impastato avvolte di bianco, il forno come grembo e culla, la donna che accarezza il proprio pane come fosse un bambino sulla cui fronte traccia il segno della croce, il ringraziamento, la benedizione, e infine la fragranza odorosa come prolungamento del pane: ecco come il simbolo e la poesia riescono a trasfigurare il quadro sereno di una scena di vita non più usuale nell’evento quotidiano della celebrazione eucaristica del “Pane vivo” sulle “tavole” di tutto il mondo, includendovi, non a caso, anche il grembo materno.
Simile ad un sacerdote all’altare, la madre del poeta preparava e prodigava per tutti il dono del pane; così anche noi, ogni giorno, non mangeremmo il “Pane della vita” se Maria, sua Madre, non Lo avesse donato al mondo dicendo il suo “sì” a Dio.
E quel segno di croce tracciato sopra il pane, anche oggi si trova spesso impresso sull’ostia di pane azzimo che diventerà il bianco Corpo di Gesù.
E come ogni donna se ne restava lì, muta, con gli occhi fissai al forno, in attesa che la cottura terminasse, così nella santa Messa ogni credente ascolta in silenzio le parole divine della Consacrazione, per le quali il fuoco dello Spirito Santo invocato scende prontamente dal Cielo ad operare il miracolo del mutamento della sostanza del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore; e tutti contemplano ed adorano il Mistero del “Pane vivo” elevato in alto dal sacerdote.
Si compiono così le parole del salmo:
“Gli occhi di tutti sono a Te rivolti in attesa e Tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la mano e sazi il desiderio di ogni vivente” (Salmo 144/145, 15-16).
Dice: “Gli occhi di tutti”, ma sappiamo che moltissimi non credono o non sanno nemmeno cosa sia l’Eucaristia.
Eppure è vero che, sin dal grembo materno, lo sguardo “ontologico” di tutti i figli dell’uomo è rivolto a questo “vero Corpo nato da Maria Vergine”, e lo è per i tre motivi che Egli stesso ha indicato quando ha detto di essere “la via, la verità e la vita” di ogni uomo (Gv 14,6).
Lo è realmente: com’è vero che il grembo materno è la via obbligata perché la vita fisica di ogni uomo nasca alla luce; com’è vero che l’Amore divino che crea l’uomo al concepimento è la verità unica e totale della sua esistenza; e com’è vero che la vita personale di ognuno è chiamata a realizzare la propria felicità per mezzo della somiglianza all’“immagine di Dio” secondo la quale è stata creata (Gen 1,27).
“Io sono il pane della vita”, non cessa di affermare Gesù (Gv 6,48) dalla “tavola” di pietra di ogni altare.
Pane vivo da “baciare ed accarezzare”, poiché Dio è bambino ed il rapporto con Lui consiste necessariamente in quell’affetto e quella fiducia che caratterizzano i piccoli e sono suggeriti dal legame materno.
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato
sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.