di Mariaelena Finessi
ROMA, giovedì, 28 luglio 2011 (ZENIT.org).- Rischia di tradursi in emergenza sociale, depressione economica e instabilità geopolitica: la primavera araba, dunque, non ha un esito così scontato, di rinascita. Di certo rappresenta «un’opportunità», quella cioè di accogliere i «semi di amicizia e fraternità» che ha portato per offrire al Mediterraneo la prospettiva di un futuro migliore.
A sostenere una tale tesi è monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, intervenuto a Roma lo scorso 21 luglio all’incontro, organizzato da Limes e dalla Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, dal titolo “Rivoluzioni in corso. Primavera araba o inverno mediterraneo?”, a cui ha preso parte anche il ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti.
«La storia va guidata e gestita, non subita – ha annotato il vescovo –, e se non è facile intravedere il futuro», ciò non basta per «fermarsi alla stazione della rassegnazione». Un po’ come fa l’Europa che, «invecchiata, impaurita e divisa» dinanzi alle sfide del tempo presente, si mostra incapace di ricordare «la sua vocazione universale».
Il Mediterraneo, allora, dovrà da sé «riconquistare la sua centralità e forza culturale sul pianeta». In altri termini, c’è l’urgenza «di un nuovo sogno – ha sottolineato monsignor Paglia –, che può nascere proprio in un Mediterraneo capace, di fronte alla globalizzazione, di ritrovare una visione umanistica che porti i popoli a uno sguardo universale».
Nata non come contrapposizione agli Stati occidentali, di cui non sono state ad esempio bruciate le bandiere in piazza come in altre proteste degli anni passati, la rivoluzione nel mondo arabo ha avuto il suo motore nei giovani, con «il 60% dei manifestanti che aveva meno di 30 anni». Da lì può dunque venire lo slancio per mettere in piedi un’economia e un sistema sociale che si apra alla modernità e a favore dei popoli.
È ai giovani che occorre dunque guardare: rappresentano «una generazione nuova – ha ricordato il prelato -, cresciuta senza che nessuno se ne rendesse conto», in anni in cui «l’unico vero leader capace di parlare anche a questo mondo è stato Giovanni Paolo II».
«Dopo decenni di immobilismo la storia si è però rimessa in cammino», ha aggiunto Tremonti. «Ora è necessario capire che ruolo avranno in questa vicenda Stati Uniti, Turchia, Russia ed Europa, in special modo, che finora ha praticato una politica di impotenza», una vera e propria «missing in non action», con interventi mancati e decisioni non prese.
Tuttavia, ha avvertito il ministro, «la democrazia non si esporta come fosse una commodity». Richiede delle pre-condizioni e soprattutto del tempo. In fondo, «30-40 anni fa in molti Paesi europei la democrazia era un’eccezione». Questi processi, ha sintetizzato Tremonti, sono positivi ma non possono certo emulare i nostri.
Non vale allora la leggenda del gelsomino: si racconta, infatti, che otto secoli fa gli arabi portarono dall’Europa in Nord Africa un fiore che avrebbe attecchito al punto da diventare il simbolo del confine tra il deserto e il mare. Testimone di una diversità (nasce europeo) che nei secoli si è trasformata in identità.
Il dilemma è attuale: può in sostanza la democrazia che, come il gelsomino è una pianta fragile, inculturarsi al punto da diventare un elemento costante del paesaggio politico del mondo arabo? Per dare una risposta occorre conoscere il terreno dove sono spuntate le rivoluzioni, che è il terreno dell’economia: la primavera araba nasce dalle proteste sociali al grido di “pane e libertà”.
Le rivolte iniziate nel dicembre 2010 in Tunisia, e che hanno incendiato il mondo arabo, sono state innescate da una «doppia fame», ha ricordato Tremonti: «Fame di cibo e di democrazia, per l’improvvisa impennata dei prezzi e per il costo della vita, e contro i regimi autocratici».
«La speculazione finanziaria che ha determinato squilibri sociali», smentendo con la cronaca il Fondo monetario internazionale secondo il quale – ha aggiunto Tremonti, riferendosi ad uno studio del 2008 – «la speculazione non esiste» e ci sarebbe invece «solo un libero gioco di mercato dove si confrontano domanda e offerta».
Un errore di valutazione. Anzi, la speculazione che «ha provocato questi fenomeni», ha sottolineato il ministro, «è tornata ai livelli precedenti alla crisi, addirittura superandoli». Ecco perché c’è bisogno di non arrendersi proprio ora, facendo cadere nel nulla le rivendicazioni dei giovani arabi.
«È scoppiata la primavera e nessuno l’aveva prevista – ha lamentato monsignor Paglia -. Per le stagioni meteorologiche c’era almeno la classica rondine che avvertiva. Qui, mi chiedo, non c’è stata la rondine oppure noi eravamo intenti a guardare in basso, ripiegati su noi stessi? È chiaro che se le cose stanno così, vuol dire che gli occhi della politica e dell’economia non sono sufficienti per scendere nelle profondità della storia».
Alle scelte pratiche deve accompagnarsi, ha concluso il vescovo, «anche un rinnovamento spirituale e un anelito religioso, direi umanistico, alla libertà: una domanda lecita che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo, in ogni cultura e civiltà».