di Emil Ameen


LUXOR (Egitto), mercoledì, 27 luglio 2011 (ZENIT.org).- Un nuovo atteggiamento di speranza serpeggia tra i cristiani d’Egitto, secondo il Vescovo copto cattolico di Luxor.

Mons. Youhannes Zakaria, 61 anni, ha detto a ZENIT che se dalla Rivoluzione egiziana del 1952 il silenzio e la negatività avevano permeato la maggior parte degli egiziani cristiani, quanto accaduto all’inizio di quest'anno, con le rivolte di popolo che hanno portato alla deposizione del Presidente Hosni Mubarak dopo 30 anni di governo, ha reso la presenza dei cristiani nel paese più viva e vegeta che mai.

In questa lunga intervista il Vescovo parla della situazione attuale in Egitto dopo i venti della Rivoluzione scoppiata il 25 gennaio scorso.

Innanzitutto, come descriverebbe in generale la situazione in Egitto dopo la rivoluzione del 25 gennaio? Che risvolti ha avuto, soprattutto, per quanto riguarda la presenza cristiana?

Mons. Zakaria: Anzitutto vorrei esprimere la mia gratitudine e il mio profondo apprezzamento al team della redazione di ZENIT, per tutti i sacrifici e il duro lavoro dedicato alla diffusione di un’informazione cristiana di qualità, in particolare attraverso l’edizione quotidiana in lingua araba e nelle altre lingue.

A mio avviso, la situazione in Egitto, dopo la rivoluzione del 25 gennaio, è oscura. Il percorso non è del tutto chiaro e il cammino è ancora lungo per poter raggiungere una condizione di stabilità e di sicurezza.

Sì, la rivoluzione dei giovani di Piazza Tahrir è stata un grande successo. Ha rovesciato il regime militare al potere in Egitto sin dal 23 luglio del 1952, ha liberato tutti gli egiziani, distrutto il muro di paura estirpandolo dal cuore di tutti gli egiziani. Li ha incoraggiati ad abbandonare i loro atteggiamenti negativi e a partecipare attivamente alla politica. Il successo di questa rivoluzione dei giovani, grazie ai loro sacrifici e al loro martirio, ha anche rappresentato un’occasione d’oro per alcune forze politiche e comunità religiose, che erano messe al bando e perseguitate dal regime, di uscire allo scoperto e lavorare per i propri scopi e la loro agenda politica e religiosa.

Per quanto riguarda la presenza dei cristiani in Egitto, ho notato di recente che essi sono usciti dal loro silenzio e da quell’atteggiamento negativo che ha caratterizzato la maggior parte dei cristiani egiziani soprattutto dopo la rivoluzione del 23 luglio 1952. La presenza dei cristiani egiziani in Piazza Tahrir è stata veramente onorevole, attiva e costruttiva, soprattutto tra i giovani. Ad oggi, la loro partecipazione agli eventi è ancora attiva ed efficace, e la loro presenza nelle conferenze nazionali e nei comitati popolari riflette la loro dedizione agli affari della nazione e la loro disponibilità a collaborare al suo sviluppo.

Mi auguro che la presenza dei cristiani egiziani si caratterizzi per la loro unità e rinuncia a ogni attrito confessionale e isolamento. I cristiani devono dialogare e collaborare con tutte le forze politiche e religiose presenti sulla scena egiziana.

L’aumento dei movimenti radicali provenienti dai diversi partiti è senza dubbio una realtà. Riusciranno i copti egiziani ad adattarsi agli ultimi sviluppi?

Mons. Zakaria: Dopo la Rivoluzione del 25 gennaio e dopo il ritorno della libertà politica in Egitto e il crollo del muro di paura, la scena egiziana ha visto l’emergere di molte comunità religiose e forze politiche che non erano riconosciute dal vecchio regime che non ha mai collaborato con loro e cercava invece di eliminarle.

Credo che queste comunità religiose e forze politiche abbiano bisogno di più tempo e di lavorare di più per raggiungere una fase di maturità nazionale e politica, e per essere in grado di accettare chi è diverso da loro in termini di religione, credo, opinione e pensiero, e quindi per poter collaborare con tutti gli egiziani senza eccezione e lavorare insieme per una vita migliore e un nuovo Stato sviluppato.

Se queste comunità religiose e forze politiche fossero capaci di evolversi e accettare l’altro, chi è diverso da loro in termini di religione e di pensiero, i copti egiziani potrebbero collaborare e vivere pacificamente insieme agli altri.

Tutti auspicano l’istituzione di uno Stato laico, ma le nuvole che si addensano sul cielo egiziano indicano che lo Stato religioso è più vicino. Qual è la sua opinione?

Mons. Zakaria: L’esperienza dei popoli e la storia delle nazioni insegnano che l’esperienza dello Stato religioso, che crede in una certa religione o credo o dottrina, è destinata a fallire in Occidente come in Oriente.

Al giorno d’oggi vediamo che in tutti gli Stati e città del mondo, a Est come a Ovest, vivono persone che appartengono a religioni diverse e credono a dottrine e fedi diverse, eppure cercano di vivere insieme, in pace e armonia. Per la sicurezza della nazione in cui vivono, ognuno è invitato a rispettare la religione e la dottrina altrui e tutti i cittadini sono chiamati a collaborare tra loro per il benessere della società. Quindi, la creazione di uno Stato religioso non produce pace interna e trascura i legittimi diritti di coloro che professano una religione diversa da quella dello Stato.

A tale riguardo vorrei ricordare le parole di Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e il motto della Rivoluzione del 1919 quando i musulmani e i copti hanno protestato contro i coloni inglesi dicendo: “la religione è per Dio e la nazione è per tutti”, e hanno invocato la creazione di uno Stato laico rispettoso dei diritti di tutti i cittadini.

La dottrina e il pensiero di una religione in cui la gente crede sono molto importanti per il rapporto tra Dio e l’uomo e per i rapporti tra gli uomini. Hanno anche una grande influenza sulla vita umana e sociale quotidiana. Quando la dottrina religiosa non è affetta dalla piaga dell’odioso fanatismo, dall’odio e dall’ignoranza, essa è in grado di edificare la patria e spargere i semi dell’amore e della pace. Quindi tutti gli egiziani devono conservare la propria fede musulmana o cristiana e costruire relazioni cordiali fondate sul rispetto reciproco e sui progressi nel dialogo e nella collaborazione costruttiva a servizio della società e del Paese.

Sohag e Qena, le due province più vicine a lei, hanno assistito negli ultimi due anni a un aumento inedito nelle rivolte religiose, che hanno portato alla morte di alcuni copti. A suo avviso, quali sono le vere ragioni di questo aumento?

Mons. Zakaria: Ultimamente, questi eventi dolorosi tra musulmani e cristiani sono aumentati in tutte le provincie e nell’intero Paese, e i copti ne hanno subito le conseguenze in termini di dolore, sacrifici e perdite di vite umane e di proprietà. Io credo che i motivi risiedano principalmente nell’ignoranza, nella povertà e nella malattia fisica e psicologica di cui soffrono molti musulmani e cristiani. In aggiunta a questo vi sono le tensioni e le contrapposizioni settarie create dal vecchio regime in alcuni villaggi e in alcune parti del Paese. Inoltre, non escluderei alcune cospirazioni e interessi interni ed esterni diretti a destabilizzare la situazione interna per ottenere profitti di parte e faziosi.

Cosa pensano i copti di coloro che parlano dell’ineluttabilità della sharia o del sistema tributario islamico nel nuovo Egitto, nel caso in cui si dovesse formare uno Stato religioso?

Mons. Zakaria: Non posso parlare in nome dei copti, ma posso dare la mia opinione personale. Se i fratelli musulmani sono convinti dell’ineluttabilità della legge islamica, io non sono contrario alla sua attuazione, ma solo per loro. Per i non musulmani dovrebbero potersi applicare altre leggi e altri principi dottrinali.

Riguardo all’imposizione della tassa islamica, vi sono molte opinioni e studi interpretativi condotti da accademici musu lmani che rifiutano questo sistema e affermano che la tassa era stata imposta all’inizio dell’era islamica per proteggere i non musulmani. E ai nostri giorni tutti i cittadini la difendono. Il sistema fatto di diverse tasse e tributi governativi ha sostituito il vecchio sistema tributario. Io credo che questo sistema non sarà imposto in Egitto in alcun modo e come cittadino egiziano e cristiano mi rifiuto categoricamente di essere obbligato da un governo a pagare una tassa per poter mantenere la mia religione.

[Giovedì 28 luglio, la seconda parte dell’intervista]