La musica liturgica fra cultura e sottocultura

di Aurelio Porfiri*

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MACAO, martedì, 26 luglio 2011 (ZENIT.org).-Ogni anno conduco un workshop di aggiornamento in Hong Kong incentrato sulla musica liturgica. Mi ritrovo con ragazzi, ragazze, uomini e donne che insieme a me voglio cercare di capire un po’ meglio e di più in che modo la musica possa veramente svolgere quel compito che le è proprio, di favorire cioè l’elevazione delle nostre anime alla contemplazione di quel Mistero che è intangibile con semplici parole. Per me è sempre una occasione di confronto importante, anche perché i corsisti sono tutti provenienti da una realtà che comunque non è quella della mia formazione alla musica liturgica: l’Asia, Hong Kong, la Cina continentale, Macao…insomma, devo cercare di vedere i problemi sotto angolature diverse per adattarle anche alla loro propria situazione. Questa volta ho incentrato il mio workshop, della durata di due settimane, sugli insegnamenti di Joseph Ratzinger in materia di musica liturgica. Questi scritti da me usati sono precedenti alla sua elevazione al pontificato e anche il testo che li raccoglie, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, non porta come autore Benedetto XVI ma Joseph Ratzinger. Quindi mi attengo alla Vaticana. Negli scritti dell’illustre teologo ci sono vari spunti molto interessanti che meriterebbero di essere approfonditi. Quello di cui voglio trattare qui si trova a pagina 671:

La musica sacra come fede diventata cultura è necessariamente coinvolta nell’odierna problematica del rapporto tra Chiesa e cultura”[1].

Questo spunto viene proseguito dall’autore ed incentrato sulla separazione che si è venuta storicamente a realizzare tra la Chiesa e la grande cultura. La Chiesa era la maggiore produttrice di cultura nel Medioevo e nel Rinascimento (ma qui l’autore vede i primi segni di scollamento) ma poi nel corso dei secoli, soprattutto nell’era segnata dall’Illuminismo, la cultura si è fatta sempre più profana. Questo è evidente per chi sa un po’ di storia: seppure è vero che grandi artisti hanno continuato a produrre opere religiose e liturgiche, è altrettanto vero che la Chiesa non era più la principale committente per le loro produzioni, ma si affiancava ad altri enti e potentati. Inoltre, per quanto riguarda la musica, basta pensare a come dal Barocco scendendo fino a noi si sia registrata una predominanza di generi come l’opera e il sinfonico che non hanno di per sé una matrice liturgica o religiosa. Insomma, l’osservazione dello studioso è pienamente condivisibile. Poco più avanti viene detto qualcosa che è ancora più interessante:

Comunque, chi guarda tante chiese neogotiche o anche neoromantiche vede che la Chiesa, pur non potendo rinnegare il proprio tempo, è stata visibilmente respinta in una specie di sottocultura, che finiva ai margini della corrente principale di sviluppo culturale”.

Questo concetto di sottocultura mi sembra vada un attimo ponderato.

In effetti bisognerebbe prima chiarirsi su cosa si intende per cultura in questo caso. Perché già quando ci si mette a fare i conti con questi termini si rischia grosso, tanto essi sono sfuggenti e polisemantici. In effetti cultura può significare un bagaglio di conoscenze come una condivisione di valori, usanze e tradizioni da parte di un popolo. Nel nostro caso si vuole intendere che la cultura artistica condivisa dalla maggior parte del popolo, suoni, immagini e quanto altro, una volta era impregnata di cattolicesimo ma poi c’è stata una sorta di separazione facendo in modo che l’arte cattolica divenisse una sottocultura. Chiariamo questo: per l’autore il termine “sottocultura” non ha una accezione negativa, e riconosce anche come cose molto buone si siano prodotte in questo ambito. E’ solo una constatazione sullo status questionis.

Ma cosa succede oggi? Succede un fenomeno che direi molto interessante e che possiamo dividere in due fasi. Nella prima fase alcuni uomini di Chiesa cercano di rincorrere la cultura ufficiale, anche nell’ambito della musica liturgica. Questo era probabilmente più vivo in passato, ma ancora oggi si crede che sposare la cultura significa introdurre la musica pop nella liturgia così da fare in modo che la gente partecipi di più e meglio perché è la sua cultura. Ma questa musica è popolare non nel senso che deriva dal popolo, ma lo è nel senso che è diffusa. Ora si deve distinguere fra ciò che viene dal popolo e ciò che il popolo (in un certo senso) riceve passivamente. Sappiamo bene che questa musica è il prodotto di una potente industria culturale, che è finalizzata puramente al consumo. Ora, nulla di male in se stesso, ma è questo il modello che vogliamo dare di musica liturgica? Un altro aspetto è quello portato avanti da altre fazioni nella Chiesa stessa, che per stare al passo con i tempi e con la cultura dominante introducono nella liturgia espressioni derivate da quella che viene definita arte contemporanea. Quindi sentiamo composizioni per la liturgia con linguaggi veramente molto arditi che si farebbe fatica a seguire anche da persone preparate musicalmente. Anche qui si rincorre la cosiddetta cultura ufficiale ma non si medita troppo sul fatto che anche la cosiddetta arte contemporanea è una sottocultura, molto lontana da quella che il comune fedele fruisce quotidianamente. Anche qui, non sto criticando la cosa in sé, l’arte contemporanea o la musica d’avanguardia, ma l’idea di applicarla alla liturgia per rincorrere i tempi. Già perché questo mi sembra il nodo del problema: la Chiesa si è fatta sempre più contenitore e sempre meno contenuto, essa si presta a linguaggi che sono nati in contesti e con motivazioni non cristiane e che molto difficilmente si prestano ad una redenzione liturgica. La Chiesa dovrebbe tornare ad essere fonte culturale, non a rifugiarsi in linguaggi altri rincorrendo una modernità che per sua natura non può che essere sfuggente. Dovremmo sperare al contrario che il mondo della musica leggera si ispiri alle nuove creazioni provenienti da musicisti liturgici e i designer possano trovare nell’arte per la liturgia nuove idee e stimoli. Ricordiamo che la Chiesa “creò” un nuovo linguaggio, una nuova arte, una nuova cultura. Come ricominciare ad essere rincorsi e non a rincorrere? Come ridivenire cultura e non solo sottocultura? Ecco il solo e vero progetto culturale a cui dedicarsi con tutte le proprie forze.


1) Joseph Ratzinger. Cantate a Dio con Arte. Indicazioni Bibliche orientative per la Musica Sacra in Opera Omnia (Vol. IX), Teologia della Liturgia. Stato Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010.

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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.

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ZENIT Staff

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