Commento di padre Lombardi alla vicenda della diocesi di Cloyne

ROMA, mercoledì, 20 luglio 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le riflessioni personali del direttore della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi, sul Rapporto stilato dal governo irlandese riguardante la diocesi di Cloyne.

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Il Rapporto della Commissione di inchiesta irlandese sui casi di abuso su minori commessi da membri del clero nella Diocesi di Cloyne, pubblicato il 13 luglio, come quello che lo aveva preceduto sulla Arcidiocesi di Dublino, ha ancora una volta messo in luce la gravità dei fatti avvenuti, questa volta anche in un periodo piuttosto recente. Il periodo preso in esame dal nuovo Rapporto va infatti dal 1.1.1996 al 1.2.2009. Le autorità irlandesi hanno inoltrato a Roma tramite il Nunzio copia del Rapporto chiedendo una reazione da parte della Santa Sede; si deve quindi prevedere che essa darà i suoi commenti e le sue risposte nelle forme e nei tempi appropriati. Per parte nostra pensiamo comunque opportuno esprimere alcune considerazioni sul Rapporto e i suoi echi, considerazioni che – come appena detto – non costituiscono però in alcun modo la risposta ufficiale della Santa Sede.

Anzitutto ci sembra doveroso richiamare e rinnovare gli intensi sentimenti di dolore e di riprovazione espressi dal Papa in occasione del suo incontro con i vescovi irlandesi, convocati in Vaticano l’11 dicembre del 2009 proprio per affrontare insieme la difficile situazione della Chiesa in Irlanda alla luce del Rapporto sull’Arcidiocesi di Dublino, allora recentemente pubblicato. Il Papa parlava allora apertamente di “sconcerto e vergogna” per “i crimini odiosi”. E’ da ricordare che proprio in seguito a tale incontro, e ad uno successivo del 15 e 16 febbraio 2010, il Papa ha pubblicato la sua nota e ampia Lettera ai Cattolici dell’Irlanda, del 19 marzo successivo, in cui si trovano le espressioni più forti ed eloquenti di partecipazione alle sofferenze delle vittime e delle loro famiglie, come pure di richiamo alle terribili responsabilità dei colpevoli e alle mancanze di responsabili della Chiesa nei loro compiti di governo o di sorveglianza. Una delle azioni concrete seguite alla Lettera del Papa è la visita apostolica alla Chiesa in Irlanda, articolata nelle visite alle quattro archidiocesi, ai seminari e alle Congregazioni religiose, visita i cui risultati sono in uno stadio avanzato di studio e di valutazione.

E’ giusto quindi riconoscere l’impegno deciso posto dalla Santa Sede nell’incoraggiare e appoggiare efficacemente tutti gli sforzi della Chiesa in Irlanda per la “guarigione ed il rinnovamento” necessari per superare definitivamente la crisi connessa alla drammatica piaga degli abusi sessuali nei confronti di minori. Come è giusto anche riconoscere l’impegno posto dalla Santa Sede sul versante normativo, con la chiarificazione e il rinnovamento delle norme canoniche riguardanti la materia degli abusi sessuali su minori, che hanno avuto – come noto – tappe fondamentali con il Motu proprio del 2001, la unificazione delle competenze sotto la Congregazione per la Dottrina della Fede, e i successivi aggiornamenti fino alla promulgazione delle norme riformulate nel luglio del 2010.

Per quanto riguarda il passato più lontano, ha avuto in questi giorni particolare risonanza una lettera del 1997, cioè di 14 anni fa, – riportata nel nuovo Rapporto, ma già pubblicata nel gennaio scorso – indirizzata dall’allora Nunzio in Irlanda alla Conferenza Episcopale, con la quale, in base a indicazioni ricevute dalla Congregazione del Clero, metteva in rilievo che il Documento “Child Sexual Abuse: Framework for a Church Response” si prestava ad obiezioni, perché conteneva aspetti la cui compatibilità con la legge canonica universale erano problematici. E’ giusto ricordare che tale Documento era stato inviato alla Congregazione non come documento ufficiale della Conferenza Episcopale, ma come “Report of the Irish Catholic Bishops’ Advisory Committee on Child Sexual Abuse by Priests and Religious” e che nella sua Premessa si affermava: “Questo documento è lungi dal rappresentare l’ultima parola su come affrontare i problemi che sono stati sollevati – This document is far from being the last word on how to address the issues that have been raised”. Che la Congregazione proponesse delle obiezioni era quindi comprensibile e legittimo, tenuto conto della competenza di Roma per quanto riguarda le leggi della Chiesa, e – anche se si può discutere sull’adeguatezza dell’intervento romano di allora in rapporto alla gravità della situazione irlandese – non vi è alcuna ragione per interpretare tale lettera come intesa a occultare i casi di abuso. In realtà, si metteva in guardia dal rischio che si prendessero provvedimenti che poi si rivelassero contestabili o invalidi dal punto di vista canonico, vanificando così lo stesso scopo di sanzioni efficaci che i vescovi irlandesi si proponevano.

Allo stesso tempo non vi è assolutamente nulla nella lettera che suoni invito a non rispettare le leggi del Paese. Nello stesso periodo il Card. Castrillon Hoyos, allora Prefetto della Congregazione per il Clero, così si esprimeva incontrando i Vescovi irlandesi: “La Chiesa attraverso i suoi pastori, non deve, nel modo più assoluto, ostacolare il legittimo cammino della giustizia civile, mentre, simultaneamente, dà avvio alle regolari procedure canoniche” (Rosses Point, Sligo, 12.11.1998). Le obiezioni a cui faceva riferimento la lettera circa un obbligo di informazione alle autorità civili (“mandatory reporting”), non si opponevano ad alcuna legge civile in tal senso, perché essa non esisteva in Irlanda a quel tempo (e le proposte di introdurla sono state oggetto di discussione per diversi motivi nello stesso ambito civile). Risulta perciò curiosa la gravità di certe critiche mosse al Vaticano, come se la Santa Sede fosse colpevole di non aver dato valore di legge canonica a norme a cui uno Stato non aveva ritenuto necessario dare valore di legge civile! Nell’attribuire gravi responsabilità alla Santa Sede per ciò che è avvenuto in Irlanda, simili accuse sembrano andare assai aldilà di quanto asserito nello stesso Rapporto (che usa toni più equilibrati nell’attribuzione delle responsabilità) e non manifestano la consapevolezza di ciò che la Santa Sede ha effettivamente fatto nel corso degli anni per contribuire ad affrontare efficacemente il problema.

In conclusione: come hanno dichiarato diversi vescovi irlandesi, la pubblicazione del Rapporto sulla Diocesi di Cloyne segna una nuova tappa del lungo e faticoso cammino di ricerca della verità, di penitenza e purificazione, di guarigione e rinnovamento della Chiesa in Irlanda, a cui la Santa Sede non si sente affatto estranea, ma vi partecipa con solidarietà e impegno nelle diverse forme che abbiamo ricordato.

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ZENIT Staff

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