La donna indiana: indesiderata da piccola, ricercatissima da grande

Secondo l’Hindustan Times, la “genitoplastica” trasforma le femminucce in maschietti

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di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 19 luglio 2011 (ZENIT.org).-Prima c’era l’infanticidio o l’abbandono di bambine, poi è arrivato l’aborto selettivo di feti di sesso femminile, tuttora diffusissimo (anche se proibito). Ma nell’India della tradizionale preferenza per il figlio maschio sembra farsi strada un’altra tecnica che alle coppie che vogliono ad ogni costo un maschietto consentirebbe di realizzare questo desiderio: l’intervento chirurgico di “genitoplastica”.

Questo almeno suggerisce una notizia lanciata domenica 26 giugno dall’Hindustan Times e ripresa da altri quotidiani, fra cui il Telegraph di Londra (27 giugno) e Avvenire (16 luglio). Secondo l’inchiesta condotta dal giornale con sede a Nuova Delhi, alcuni chirurghi nella città di Indore, nello Stato centrale di Madhya Pradesh, “trasformerebbero” in maschietti ogni anno centinaia di bambine della fascia d’età 1-5 anni. Il basso costo – 1,5 lakh, ossia 150.000 rupie o quasi 2.400 euro – e le “zone grigie” nella legislazione del Paese spiegherebbero l’afflusso ad Indore di coppie provenienti da altri Stati e dalle grandi città indiane, come Mumnai e Nuova Delhi.

Per il quotidiano, si tratta di una “scioccante tendenza senza precedenti”: ciascuno dei circa sette esperti in genitoplastica di Indore che effettuano l’intervento presso strutture private o pubbliche avrebbe trasformato da 200 a 300 bambine in “maschietti”. Solo uno dei medici in questione – così sostiene l’Hindustan Times – è stato in grado di menzionare un caso opposto: quello di un quattordicenne sottoposto ad un intervento per diventare ragazza.

I medici si sono difesi dicendo che si tratta di interventi di chirurgia correttiva eseguiti su piccoli pazienti quando i genitali interni non corrispondono a quelli esterni, di norma bambine nate con qualche organo maschile interno. “Nel crescere il bambino potrebbe rimanere confuso circa il suo sesso di appartenenza. Questa chirurgia può impedire che il bambino sviluppi un disturbo dell’identità sessuale e altri problemi psicologici”, così ha spiegato il chirurgo pediatrico Milind Joshi. “In India non ci sono problemi per queste operazioni in quanto richiedono solo il consenso dei genitori e una dichiarazione firmata”, ha aggiunto un altro chirurgo plastico di Indore, Brijesh Lahot, specificando che sono “interventi chirurgici ricostruttivi nei quali il sesso del bambino viene determinato in base ai suoi organi interni e non soltanto sulla base dei genitali esterni”.

Queste spiegazioni non hanno convinto le associazioni e le ONG che lottano per i diritti dei bambini e della donna. La Commissione Nazionale per la Protezione dei Diritti dei Bambini (NCPRC) ha chiesto alle autorità del Madhya Pradesh un rapporto dettagliato sulle accuse. “Al governo dello Stato è stato chiesto anche di prendere tutte le azioni necessarie per combattere le pratiche immorali di convertire bambine in ragazzi, incluso il ritiro dell’autorizzazione ai medici e agli ospedali coinvolti in tali pratiche”, ha detto una fonte ufficiale a Nuova Delhi (The Times of India, 28 giugno). Anche l’Ufficio del Primo Ministro Manmohan Singh “ha preso atto” della questione (The Hindustan Times, 28 giugno).

Alcuni esperti ritengono comunque che la storia dell’Hindustan Times non sia credibile. “A mio parere è impossibile convertire chirurgicamente una bambina normale in un maschietto. Nessuno può farlo. Se i medici di Indore avessero sviluppato questa tecnica, si sarebbero trasformati in dèi”, ha detto il professor Ashley LJ D’Cruz, presidente dell’Indian Association of Pediatric Surgeons (IAPS), al sito Daily News & Analysis (29 giugno). “Anche solo l’idea è ridicola”, ha aggiunto.

“Se siamo in grado di trasformare una bambina in un bambino, dovremmo essere immediatamente raccomandati per il Premio Nobel”, ha dichiarato a sua volta il chirurgo Manish Patel, presidente della sezione locale della IAPS ad Indore. Anche il dottor Sangram Singh non ha alcun dubbio. “Siamo disposti ad andare in galera se viene scoperto anche solo un singolo caso di cambiamento di sesso in una normale neonata”, ha scritto sul sito daily.bhaskar.com (6 luglio).

Vera o no, la vicenda richiama l’attenzione su un fenomeno ben noto in India: la tradizionale preferenza per il maschio, che provoca uno squilibrio preoccupante nella “sex ratio” tra uomini e donne. Assieme ad alcuni altri Paesi asiatici – in particolare la Cina del figlio unico -, l’India deve far fronte a un crescente “deficit” di bambine. Secondo l’ultimo censimento della popolazione (2011), nella fascia di età 0-6 anni ci sono solo 914 bambine per ogni 1.000 maschietti, vale a dire il rapporto più basso dal 1947, l’anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna. Questa mancanza di donne e ragazze colpisce specialmente vari Stati dell’India settentrionale ed occidentale, come quello dell’Haryana, ma anche la stessa capitale Nuova Delhi. “I dati stanno peggiorando”, ha detto Ranjana Kumari, del Centre for Social Research, una delle più note attiviste contro il feticidio femminile. “Nel 2001 sono nate 886 bambine ogni 1.000 maschietti a Delhi. Oggi sono solo 866”, ha sottolineato la Kumari (The Telegraph, 27 giugno).

Per constatare l’impatto devastante della preferenza al figlio maschio, basta una visita al distretto di Jhajjar, nello Stato dell’Haryana, come ha fatto lo scorso mese il Telegraph di Calcutta (19 giugno). Jhajjar è infatti il distretto con il rapporto tra i sessi più basso di tutta l’India: 774 bambine ogni 1.000 maschietti. “Portate un camion pieno di donne in questo villaggio e saranno maritate entro un’ora”, ha raccontato con amarezza Tilak Raj, un contadino trentaquattrenne del villaggio di Chhara, da anni disperatamente in cerca di una moglie. “Ho perso ogni speranza di trovare una sposa. Se anche uomini alfabetizzati e con un lavoro non riescono a trovare moglie, cosa mi rimane?”, gli fa eco un altro single di Chhara, il trentanovenne bracciante agricolo Nitish Kumar.

Per i cosiddetti “rami spogli” – come vengono chiamati in Cina gli uomini single senza prole -, l’unica soluzione è cercare moglie in un altro Stato, ad esempio nell’Assam (nordest) o nel Kerala (sud). Lo ha fatto il quarantaduenne camionista Rajesh Dalal, che sei anni fa ha sposato una giovane donna del Bengala Occidentale (nordest), Mishto Sardar. “Non ho rimpianti. Qui ho almeno due pasti abbondanti e un tetto sopra la mia testa”, ha detto la madre di due bambine, la quale ha però una grande preoccupazione: vorrebbe un figlio. Anche se non lo dice espressamente, per averlo la donna ha già deciso che quando sarà di nuovo incinta farà un’ecografia per stabilire il sesso del feto – una pratica vietata dalla Pre-Conception and Pre-Natal Diagnostic Techniques Act – e se sarà femmina ricorrerà all’aborto selettivo.

Il crescente numero di maschi celibi favorisce purtroppo il traffico di donne. “Le donne sono merci”, osserva Rishi Kant, fondatore di una ONG con sede a Delhi, Shakti Vahini, che salva ragazze rimaste vittime della tratta. “Generalmente le donne vengono comprate per una cifra dalle 20.000 alle 50.000 rupie”, spiega al Telegraph di Calcutta un’assistente sociale dell’Haryana, Jaswanti, cioè da poco più di 300 euro a quasi 800 euro. “Per quelle che sono carine e belle viene offerto fino ad un lakh”, ossia 100.000 rupie (quasi 1.600 euro).

Un’altra conseguenza negativa del “deficit” di donne è che sempre più uomini frequentano i bordelli, un fenomeno che a sua volta favorisce la tratta di donne e potrebbe far aumentare l’incidenza delle malattie sessualmente trasmissibili, fra cui l’HIV-AIDS, come ha avvertito Rajesh Kumar, coautore di uno studio sull’aborto selettivo in India, pubblicato il 24 maggio scorso sulla rivista medica britannica The Lancet. “Dobbiamo conoscere ancora le ripercussioni sociali a lungo termine”, ha ricordato il ricercatore del Postgraduate Institute (PGI) of Medicale Education and
Research di Chandigarh, la città che funge da capitale per gli Stati del Punjab e dell’Haryana.

Una cosa è certa: essere donna non sembra per nulla facile in India. Infatti, secondo una ricerca diffusa di recente dalla Nielsen Company con il titolo “The Women of Tomorrow Study”, le donne indiane sono le più stressate al mondo. Dall’inchiesta demoscopica, basata su un campione di 6.500 donne in 21 diverse nazioni, intervistate tra febbraio e aprile 2011, emerge infatti che lo stress colpisce ben l’87% delle donne indiane mentre un altro 82% delle indiane dice di non avere il tempo per rilassarsi (Reuters, 28 giugno).

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ZENIT Staff

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