di Giuseppe Adernò*
ROMA, lunedì, 18 luglio 2011 (ZENIT.org).- “Possiamo guardare con fiducia all’avvenire? E possiamo attendere con serenità al nostro lavoro, nella certezza che esso serve pure a qualche cosa, che la vita non è vana, che è anzi degna e buona?”. A questa domanda Aldo Moro, insigne statista che ha guidato l’Italia del dopoguerra risponde: purtroppo, no. Anzi, se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo riconoscere che la radice vera di questa diffusa inquietudine che pesa su di noi e toglie respiro alla vita, è proprio nella nostra anima.
Siamo noi inquieti, impazienti, esasperati, preoccupati, sempre in posizione di difesa e di offesa, senza comprensione, né pace. Non possiamo gettare sugli altri tutta la responsabilità di questo stato di cose e sentirci nemici in un mondo nemico, se noi per primi non sappiamo capire, compatire, amare; se non sappiamo sciogliere nel nostro spirito, questo gelo di sfiducia e di stanchezza, che impedisce ogni movimento, che frena in noi ogni generosità, che ci fa morti in un mondo di morti.
Rileggere, a distanza di oltre sessant’anni, queste espressioni riportate in “Studium” – marzo-aprile 1945 – produce un senso di amarezza e di delusione nel non essere stati capaci di incidere positivamente e da veri cristani nella vita sociale. Da più parti in questi giorni è stato apprezzato e riconosciuto lo sforzo di responsabilità compiuto dal Governo, maggioranza e opposizione, su sollecitazione del Presidente della Repubblica, in vista dell’approvazione della “Finanziaria”, che al momento sembra salvare l’Italia dal collasso economico internazionale
“Il Paese – ha affermato Andrea Olivero, presidente delle Acli – non è più in grado di sostenere tagli e interventi sulle fasce più deboli della popolazione. La concentrazione della ricchezza nelle mani di poche famiglie non è solo una un’offesa al senso di giustizia e alla coesione sociale, ma rappresenta oggettivamente un ostacolo alle prospettive di crescita”. Si assisterà nei prossimi anni ad un allargamento sempre maggiore della forbice sociale che stringe sempre più i poveri, il ceto medio e che determinerà l’ampliamento della fascia di povertà nel Paese, che non potrà essere misurata secondo le indicazioni della certificazione Isee, ma che necessita di altri parametri applicativi.
Le Acli sostengono con forza che la soluzione ottimale oggi sia “l’introduzione di un’imposta patrimoniale solidale sui redditi più alti che non producono lavoro”. Tale imposta potrà contribuire sia alla riduzione del debito pubblico ed ancor più allo sviluppo dell’economia e dei consumi: “E’ venuto il momento in cui i nuovi sacrifici richiesti all’Italia dalle congiunture internazionali siano caricati responsabilmente sulla parte di Paese più ricca, sulle grandi rendite, sui grandi patrimoni”. Un nuovo Robin Hood dovrebbe salvare la società italiana dal baratro verso cui è protesa.
Ecco ancora la lezione di Aldo Moro: “Non possiamo dolerci del nostro tempo, finché ciascuno di noi non ha lavorato, proprio in mezzo alla tempesta, per farsi diverso e migliore, finché non si è tentato di placare l’ansia e l’impazienza, per vedere, finché è possibile, cose serene e normali, i profondi motivi umani e costruttivi di questa tragedia, affioranti dall’abisso in cui siamo caduti”. Ed ancora continua: “Siamo tutti facili alla condanna! Ci piace estraniarci dal nostro tempo, per scuotere da noi pesanti e fastidiose responsabilità! Non amiamo il nostro tempo, perché non vogliamo fare la fatica di capirlo nel suo vero significato, in questo emergere impetuoso di nuove ragioni di vita, in questa fresca misteriosa giovinezza del mondo”. Oggi più che mai, ci conforta e ci stimola il messaggio di Aldo Moro: “Niente è finito per fortuna, niente è irrimediabilmente perduto, malgrado lo sperpero che si è fatto della bontà e della pace, malgrado l’oscurità sconcertante di questa, che pur sappiamo esser un’aurora”.
La speranza cristiana, alimentata da un concreto impegno civile, incarnata nel servizio e nella cooperazione sociale è la risposta certa all’ora che volge, al presente storico di una società che, priva di ideali e di valori, naviga nel materialismo relativista, conseguenza di una mancata azione di indirizzo, quando c’erano i presupposti per farlo. Ora il nostro cammino è più lento e più difficile. Vera risorsa dell’uomo spirituale, il quale crede nella vita e la ama è illavorare in profondità con lo sguardo rivolto lontano, agendo con pazienza, esercitando un ascolto attento del tempo presente e testimoniando dei valori professati e proclamati.
Perilluminare l’oscuro avvenire occorre innanzitutto amare il nostro tempo; non di un flebile amore di convenienza e di supina accettazione, ma di un agire operoso e pieno di fede, capace di trasformare poco a poco, ma sul serio, in profondità e per sempre, questa nostra ammalata società.
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*Il prof. Giuseppe Adernò è preside dell’Istituto “G. Parini” di Catania.