ROMA, giovedì, 14 luglio 2011 (ZENIT.org).- Nell’articolo precedente abbiamo visto i maggiori problemi, o equivoci, che funestano la musica nella liturgia. Ora continuiamo a vedere gli altri. Si comincia con l’annoso problema della musica dei giovani.

Bisogna valorizzare la musica e la cultura dei giovani.

Eccoci di fronte ad uno degli argomenti topici di tanta cultura post-conciliare. Questo errore logico può essere chiamato “ricorso alla novità”, quindi qualcosa è buona solo in quanto nuovo. La gioventù viene quindi celebrata in se stessa, non come proiezione verso la maturità ma come momento a sé stante. Certo ci sono le bellezze della gioventù ma essa è bella in quanto proiezione alla piena maturità e dovrebbe essere vista come proiezione alla piena maturità. Quindi, imporre attraverso il culto della gioventù un dato stile musicale a tutta la Chiesa (che è fatta anche da anziani, uomini e donne mature e bambini) non è logico.

Il culto del giovanilismo era in auge durante il fascismo, tramite il futurismo, e della gioventù veniva esaltata la vigoria atletica. Nel nostro caso, non si è neanche così fortunati perché della gioventù si esalta praticamente il concetto in se stesso, ma così facendo depauperandolo del suo vero significato che è la proiezione verso la maturità. Parlare poi di cultura musicale dei giovani è estremamente delicato, in quanto sappiamo che essi sono preda di una industria culturale che ne condiziona i gusti tramite potentissimi mezzi. Quei giovani dall’ascolto più passivo sono totalmente in balia di questi condizionamenti, mentre coloro che riescono a mantenere un po' di indipendenza sanno anche discernere. Ma lo stile musicale che di solito passa nelle nostre chiese è quello dei passivi, meno raffinati. Quindi, in pratica non stiamo difendendo la cultura dei giovani (cosa è poi?) ma la cultura imposta dalle major discografiche. Certamente è un discorso complesso ma più o meno quello che succede è questo.

La rappresentazione della vita come gioia.

Conseguenza di questo atteggiamento è anche il presentare la vita indistintamente come gioia. Quindi tutta la musica per la liturgia deve avere un carattere saltellante in modo da servire questa esigenza. Esigenza che però come tutti sperimentiamo giorno dopo giorno, è profondamente sbagliata. In un certo senso può essere definito come ricorso alla paura: perché tutti sappiamo che la vita non è solo gioia, allora creiamo una sorta di paradiso artificiale. Dalla celebrazione e dai canti della stessa si eliminano tutti quei canti o termini che richiamano alla realtà di sofferenza per sostituirli con termini e canti semplicemente inneggianti ad una gioia che in questo caso non è spirituale, ma spiritata, quasi proveniente da una esaltazione che non procede da processo spirituale ma da una specie di esaltazione malsana.

Ma c’è anche un altro errore: la musica per la liturgia non è rappresentazione della vita, essa è per la gloria di Dio e l’edificazione e santificazione dei fedeli. Sono tutti concetti ascendenti, non sono concetti che si limitano al terreno. Ma questo lo vedremo poco più oltre. Tutti i pericoli di cui sopra erano stati identificati da Romano Amerio:

Oggi la vita è presentata ai giovani irrealisticamente come gioia, prendendo la gioia in isperanza, che serena l’animo in via, per la gioia piena che lo appaga soltanto in termino. La durezza dell’umano vivere, dipinto un tempo nelle orazioni più frequentate come valle di lacrime, viene negata o dissimulata. E poiché con quello scambio la felicità viene figurata come lo stato proprio dell’uomo e dunque dovuto all’uomo, l’ideale è di preparare ai giovani una strada 'secura d’ogn’intoppo e d’ogni sbarro' (Purg., XXXIII, 42). Perciò ai giovani pare ingiustizia ogni ostacolo da saltare e lo sbarro è riguardato non come prova, ma come scandalo” (Amerio 1989, 173).

Questa mentalità si è riversata senza tregua nella musica liturgica. Questo rifuggire dalla sofferenza della vita promuovendo un repertorio musicale solo improntato al ritmi balzellanti è tipico di questo atteggiamento in cui si nega la sofferenza della vita. Certo tutti vogliamo la felicità, ma essa è una speranza non una falsa realtà.

In Chiesa si suona musica che la gente riconosce come propria.

Anche qui c’è un fondamentale fraintendimento della liturgia. La liturgia non è principalmente la vita, essa è soglia verso l’oltre. Essa è liminale, che significa che essa è una porta verso l’eterno. La musica dovrebbe essere un simbolo sonoro che serve ad aiutare i fedeli ad avvicinarsi a questo oltre, non ad aggrapparsi a se stessi. Se ci aggrappiamo a noi stessi non ci possiamo elevare, ci serve un appiglio esterno. Ecco l’errore di chi pensa che la musica che si sente fuori deve essere poi trasportata nella liturgia magari cambiando semplicemente il testo.

C’e anche il problema che le neuroscienze ci fanno capire sempre meglio: per riconoscere la musica noi usiamo un processo che è chiamato “categorizzazione”, quindi ad un ascolto musicale associamo certe sensazioni contenute nel nostro archivio mentale. Ora, quando la musica nella liturgia richiama troppo fortemente modelli improntati alla musica profana, il rischio è che i valori che passano siano quelli di quest’ultima, non quelli della liturgia. La musica in stile pop può essere usata per manifestazioni ad impronta religiosa, è sempre buono che si cerchi di parlare di valori spirituali usando tutti i linguaggi, ma la messa non è un momento prettamente catechetico, è il momento del disvelamento della Presenza. A questo ci prepara.

Chi presta un servizio musicale-liturgico lo fa con il cuore e buona volontà, non si deve chiedere più di questo.

Quindi, se si accettasse questo, sarebbe veramente fuori luogo il professionalismo musicale nella liturgia. Ma va accettato? In effetti, no. In questo caso abbiamo un errore logico che viene definito “falsa pista”: l’argomento di partenza svia il corretto svolgersi della questione perché è mal posto. E’ vero che chi presta un servizio deve farlo con il cuore? Certamente, la disposizione personale è importante ma lo è anche la capacità tecnica nello svolgere un dato compito. Se io vado da un dentista e devo scegliere fra il suo buon cuore e la sua bravura professionale, io sceglierei la seconda. Se andiamo da un medico per avere anche un piccolo interventino e il medico in questione ci fa sapere che lui non è veramente preparato per quel lavoro ma ci metterà tutto il cuore, saremmo tranquilli o no? Questo esaltare la buona volontà di tanti gruppi che si mettono ad animare la liturgia senza le necessarie capacità configura anche un altro errore logico, quello che viene definito “ricorso alla pietà”. Non perché una cosa ci può commuovere per questo deve diventare vera.

I professionisti non sono più ben accetti perché vogliono addirittura essere pagati, mentre queste cose vanno fatte con spirito di gratuità.

Chi presta un servizio musicale-liturgico deve avere i necessari requisiti tecnici, per avere questi è necessario studiare, per studiare bisogna pagare. Ora è un dovere che il popolo cristiano supporti coloro che offrono un servizio professionalmente qualificato, così come si pagano i fiori o coloro che forniscono il sistema audio e via dicendo. Il sacrestano viene pagato, perché non l’organista o il cantore? Anche qui, purtroppo, c’è un altro equivoco che poi ha serie conseguenze, in quanto questa deprofessionalizzazione ha disastrato la musica liturgica, portandola al livello attuale di grande decadenza. Non dimentichiamo che nella tradizione della Chiesa e nella dottrina sociale c’è il rispetto per il lavoro umano. Se io vado in chiesa esclusivamente per pregare certo non devo essere pagato, ma se offro una competenza essa de ve essere riconosciuta e ricompensata. Perché se il principio fosse accettato che non bisogna pagare nulla nella liturgia quindi non dovrebbero essere pagati i fiori, la luce, l’elettricità, l'offerta per le messe e per il sacerdote e via dicendo. Se è valido quel principio, e non lo è, deve essere valido per tutto.

Insomma, se si usasse la logica ci si ritroverebbe a fare i conti con tanti errori che sviano coloro che si danno da fare con buona volontà ma che talvolta per non mettere in discussione alcune direttive non riescono a discernere il vero dal falso.

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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E' professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L'Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E' socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell'Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l'ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.