In un articolo su “L’Osservatore Romano”, il Cardinale Robert Sarah, Presidente del dicastero vaticano, commenta l’anniversario ricordando che Paolo VI volle il Pontificio Consiglio “in una fase di grande cambiamento nella Chiesa e nel mondo”, quando a livello ecclesiale si riscontrava “un’attenzione sempre maggiore alle questioni sociali”.
In questo contesto, “Cor Unum” “avrebbe dovuto favorire la testimonianza di carità nella Chiesa, creando, presso la Sede Apostolica, un luogo di incontro, di dialogo e di coordinamento tra i tanti organismi di carità della Chiesa”.
“La scelta del nome non fu casuale – sottolinea il porporato –: il concetto era ripreso dal brano degli Atti degli apostoli che descrive la prima comunità cristiana, decisamente impegnata nell’annuncio della Parola di Dio, nella preghiera e nell’esercizio della carità”.
Questa osservazione “contiene diverse indicazioni: è la comunione della Chiesa a essere all’inizio della testimonianza di carità; questa, prima che un fare, è un essere; è alla comunione nella Chiesa che si nutre l’attenzione per i diversi membri dello stesso corpo, nella reciproca cura; è grazie alla comunione della Chiesa che si dispiega l’intento di una presenza nel mondo più unitaria, più incisiva, più universale”.
Giovanni Paolo II, nel corso del suo lungo pontificato, ha rafforzato le competenze di “Cor Unum”, “che già realizzava donazioni in caso di emergenze naturali a nome del Papa, affidandogli due fondazioni che il Pontefice volle per testimoniare la preoccupazione della Santa Sede per le tante popolazioni del mondo afflitte da povertà, miseria e disastri naturali”.
La prima, denominata “Giovanni Paolo II per il Sahel”, nacque nel corso del primo viaggio apostolico di Papa Wojtyła in Africa, nel 1980, che “lo portò a contatto con il problema drammatico della siccità, che causava impoverimento e fame nei Paesi del Sahel, minacciati dall’avanzare del deserto”. La seconda, la “Populorum Progressio”, “si dedica alla promozione in particolare degli indios e dei campesinos dell’America centrale e meridionale”.
Il Cardinale Sarah ha affermato che “è stato certamente un atto di grande significato il fatto che Benedetto XVI abbia voluto dedicare alla carità la sua prima enciclica ‘Deus caritas est’”.
“Il Papa, che ha individuato nell’assenza di Dio il problema più drammatico che assilla e indebolisce la cultura moderna, ci ha indicato nello stesso tempo la strada per ritrovare un cammino verso di Lui: Dio è carità e la carità della Chiesa è una testimonianza irrinunciabile per aiutare l’uomo di oggi a conoscere, incontrare e amare Dio, che è amore”.
“Non si tratta solo di manifestare con gesti concreti o con iniziative specifiche la compassione e la prossimità della Sede Apostolica ai bisogni umani: si tratta di imprimere a tutta la pastorale della carità della Chiesa questo afflato evangelizzatore. La carità è la via mediante la quale l’uomo può conoscere chi è Dio”.
Parlando delle sfide che affronta il dicastero, il porporato ha segnalato in primo luogo che “si tratta di restare fedeli all’intenzione primaria manifestata da Benedetto XVI nella sua prima Enciclica”. “Se Dio è carità, allora tutta la pastorale di carità della Chiesa deve tornare a ispirarsi a questa fonte”.
Questa specificità, osserva, ricorda “una seconda, grande sfida: legare Vangelo e carità”.
“Il Vangelo ispira la carità e la carità testimonia il Vangelo; il Vangelo motiva la carità e la carità conferma la verità del Vangelo”.
Una terza sfida si colloca nella dimensione ecclesiale della carità. “Benedetto XVI ha insegnato che è la Chiesa il soggetto dell’attività caritativa e dunque Cor Unum deve aiutare a mantenere la comunione nella grande testimonianza della carità della Chiesa: favorire il legame degli organismi di carità con i vescovi e con la Sede Apostolica”.
“Una quarta e determinante sfida” è invece data “dalla preoccupazione per una formazione umana e cristiana, una ‘formazione del cuore’ sempre più adatta ai tempi di coloro che lavorano per la carità nella Chiesa”. Per questo, ha aggiunto, è importante “continuare l’esperienza degli esercizi spirituali continentali, già realizzati per America, Asia e Europa”.
“È proprio questa ispirazione cristiana che ci aiuta a vedere più in profondità i bisogni dei poveri. Ribadire la dimensione divina della carità, e dunque il suo legame con l’evangelizzazione, non significa chiudere gli occhi sulla povertà umana, ma, al contrario, spingere lo sguardo fin nel profondo del bisogno dell’uomo”. “Significa guardare al cuore della sua sofferenza, della sua solitudine e del suo abbandono, per annunciargli, lì, la presenza di Cristo che lo ama”.
Il Cardinale conclude poi ricordando che l’11 novembre “Cor Unum” ha promosso un incontro dei Vescovi delegati e dei responsabili degli organismi di volontariato cattolico europeo con il Pontefice.
“Sarà un’occasione per ribadire, insieme alla nostra adesione al magistero del Papa, la volontà di essere testimoni del Vangelo di Cristo nel vasto mondo della carità”.