RIO DE JANEIRO, martedì, 12 luglio 2011 (ZENIT.org).- Il primo seminario di comunicazione per i Vescovi del Brasile dev’essere un momento opportuno per riflettere sulla comunicazione nella Chiesa oggi, sostiene l’Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni.
“Guardo a questa iniziativa con grande interesse e soddisfazione”, ha affermato. “Considero molto prezioso il fatto che gli stessi Vescovi abbiano preso questa decisione di dedicare totalmente alcuni giorni a una riflessione che include tutti i campi della comunicazione”.
Per l’Arcivescovo Celli, è fondamentale discutere su ciò che significa oggi affrontare una pastorale nel mondo della comunicazione tenendo conto dei nuovi linguaggi e delle nuove tecnologie.
Il primo seminario di comunicazione per i Vescovi del Brasile è in svolgimento da questo martedì al 16 luglio, organizzato dalla Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattolici del Brasile (CNBB), dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e dall’Arcidiocesi di Rio de Janeiro in questa città.
“Le nuove tecnologie – ha osservato monsignor Celli – non solo svolgono una funzione strumentale, ma generano anche una nuova cultura, che chiamiamo ‘cultura digitale’, una nuova forma di essere e di relazionarsi”.
La Chiesa, ha aggiunto, “ha la profonda consapevolezza di dover annunciare il suo messaggio all’essere umano di oggi, una persona che vive ed è dentro questa nuova cultura. E’ questa la grande sfida per la Chiesa: vedere come fare, che cosa fare e in che misura essere presenti nel nuovo contesto culturale”.
Per il Presidente del dicastero vaticano, le nuove tecnologie possiedono anche un nuovo linguaggio.
“Dobbiamo dialogare con questa realtà e far sì che anche il messaggio del Vangelo sia collocato in questo contesto”, ha spiegato.
“E qui è fondamentale, per tutti noi, il tema del nuovo linguaggio. Il mio modo di parlare con la gente di oggi deve utilizzare un linguaggio comprensibile, un linguaggio che non sia solo qualcosa che utilizzo per essere compreso, ma che abbia una profonda dimensione antropologica”.