Sud Sudan: finalmente indipendente

Il primo Paese a riconoscere la nuova Nazione è stato proprio il Sudan

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di Paul De Maeyer

ROMA, lunedì, 11 luglio 2011 (ZENIT.org).- In un’atmosfera quasi da stadio – qualcuno suonava persino le vuvuzela (le chiassose trombette di plastica dei Mondiali di calcio 2010 in Sudafrica), come ha fatto notare Avvenire.it -, il Sud Sudan ha vissuto sabato 9 luglio il tanto atteso giorno della sua indipendenza dal Sudan, diventando ufficialmente il 54° Paese del continente africano e il 193° del mondo.

Alla solenne cerimonia, svoltasi nella capitale Juba al mausoleo del leader indipendentista John Garang, rimasto ucciso in un incidente d’elicottero nel luglio 2005, hanno partecipato decine di migliaia di persone, formando secondo la Neue Zürcher Zeitung (9 luglio) la più grande concentrazione umana mai vista nella città situata sulle rive del Nilo Bianco.

La celebrazione è iniziata con le preghiere lette da due leader religiosi, uno musulmano e l’altro cristiano, monsignor Paulino Lukudu Loro. “Che Dio doni gioia a tutto il nostro popolo”, così ha pregato l’arcivescovo cattolico di Juba, che ha voluto ricordare tutti coloro che “ci hanno espresso solidarietà durante i lunghi anni di guerra” ed ha chiesto inoltre una “nuova intesa” tra Nord e Sud (Agence France-Presse, 9 luglio).

Il culmine dell’evento si è avuto quando è stata ammainata la bandiera sudanese ed issata quella della Repubblica del Sud Sudan, che dopo l’Eritrea (1993) è la seconda Nazione africana nata da una secessione. L’indipendenza di Juba è stata preceduta da una lunga e sanguinosa guerra civile tra il Nord musulmano e il Sud animista e cristiano scoppiata nel 1955 e durata (tranne una pausa dal 1972 al 1983) fino alla firma dell’Accordo Comprensivo di Pace (CPA in acronimo inglese), avvenuta il 9 gennaio del 2005 nella capitale del Kenya, Nairobi, tra il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir e i ribelli del Movimento/Esercito Popolare per la Liberazione del Sudan (SPLA/M) di Garang.

Si calcola che la seconda fase della guerra civile – la più cruenta – abbia causato circa 2 milioni di vittime e più di 4 milioni di sfollati. “I nostri martiri non sono morti invano”, ha sottolineato il presidente sud sudanese Salva Kiir Mayardit rivolgendosi alla folla (BBC, 9 luglio). “Abbiamo aspettato più di 56 anni per questo giorno. E’ una giornata che sarà per sempre incisa nei nostri cuori e menti”, ha continuato l’ex capo ribelle, che portava il suo ormai caratteristico capello nero da cow boy.

Il primo Paese a riconoscere già venerdì il Sud Sudan è stato proprio il Sudan. Secondo l’agenzia Reuters (9 luglio), si tratta di un gesto di buona volontà da parte del regime di al-Bashir, sulla cui testa pende ancora un mandato di cattura internazionale emesso dal Tribunale Penale Internazionale (ICC) dell’Aja (Olanda) per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel Darfour tra il 2003 e il 2004. Al-Bashir ha partecipato d’altronde alla cerimonia di indipendenza. “Ci congratuliamo con i nostri fratelli del Sud per la creazione del loro nuovo Stato. Condividiamo la loro gioia e festa. La volontà della gente del Sud dev’essere rispettata”, ha detto l’uomo forte di Khartoum, che ha chiesto agli USA di togliere le sanzioni contro il suo Paese (BBC, 9 luglio).

Da parte sua, il presidente americano Barack Obama ha affermato in una nota di essere “orgoglioso di dichiarare che gli Stati Uniti riconoscono formalmente la Repubblica del Sud Sudan come uno Stato sovrano e indipendente” (Reuters, 9 luglio). Per la Casa Bianca, la giornata di sabato “ci ricorda che dopo il buio della guerra la luce di una nuova alba è possibile”. Obama ha lanciato a sua volta un appello a Khartoum, dicendo che se continua sulla via della pace “il governo del Sudan può ridefinire il suo rapporto con la comunità internazionale ed assicurare un futuro più prosperoso al suo popolo”. 

Anche l’Egitto ha riconosciuto la neonata Nazione africana. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri del Cairo, Mohammed el-Orabi. Come spiega l’agenzia Reuters (8 luglio), il governo egiziano ha seguito il processo di secessione con preoccupazione a causa della questione della spartizione delle acque del Nilo, che fornisce il 90% circa del fabbisogno idrico del Paese. Mentre sei Paesi del bacino del fiume hanno firmato l’anno scorso un accordo sulla redistribuzione delle sue acque, che cancella alcuni privilegi concessi all’Egitto in epoca coloniale, l’indipendenza del Sud Sudan, che diventa l’11° Paese rivierasco del Nilo, rischia di complicare il dossier.

Tutti sono d’accordo che con l’indipendenza inizia il vero lavoro per Juba. Le sfide che attendono il Paese – uno dei più poveri al mondo, grande più o meno quanto Portogallo e Spagna messi insieme – sono enormi. La prima sfida è quella della sicurezza, non solo quella esterna – come suggeriscono la crisi nella contestata regione di Abyei e la violenza nello Stato sudanese del Kordofan del Sud – ma anche quella interna. Sul territorio sud sudanese operano almeno sette movimenti di ribelli, che secondo Juba sono finanziati da Khartoum. Per molti commentatori, il vero nemico del Sud Sudan si nasconde infatti all’interno del Paese e sono la corruzione e le divisioni etniche.

Sul fronte della sicurezza c’è comunque una buona notizia. Il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato venerdì 8 luglio la missione UNMISS (United Nations Mission in the Republic of South Sudan), che prevede l’invio di 7.000 caschi blu e 900 poliziotti. “Si tratta di un forte segnale di sostegno al nuovo Sud Sudan”, ha ribadito l’ambasciatore della Germania, Peter Wittig, che questo mese assume la presidenza dell’organismo (Reuters, 8 luglio).

Poi ci sono le spinose questioni dei confini col Sudan, del debito sudanese e soprattutto del petrolio. Mentre la maggior parte dei giacimenti sudanesi (almeno il 75%) si trovano ormai in territorio sudista, l’infrastruttura per l’esportazione dell’oro nero (in particolare il Grande Oleodotto del Nilo e il porto commerciale di Port Sudan) è rimasta nelle mani di Khartoum. Ma anche se il Sud Sudan sarà dunque costretto a scendere a patti con il Nord, tutto indica che per il suo sviluppo economico avrà soprattutto bisogno dei suoi vicini Etiopia, Kenya ed Uganda.

Come ricorda Reuters (6 luglio), il Sud Sudan è infatti il principale destinatario delle esportazioni ugandesi, che secondo l’Uganda Exports Promotions Board hanno raggiunto nel 2009 un volume pari a 184,6 milioni di dollari. Nello stesso anno, il Kenya ha esportato beni e servizi per 157,7 milioni di dollari verso Juba. Secondo un rapporto del centro di consulenza Frontier Economics, una eventuale ripresa della guerra nel Sud Sudan potrebbe costare ai suoi vicini fino al 34% del loro PIL annuale combinato per un periodo di 10 anni. Juba è del resto il candidato più probabile per diventare membro della Comunità dell’Africa Orientale (EAC), se gli attuali Stati membri (Burundi, Kenya, Ruanda, Tanzania e Uganda) dovessero decidere di allargarsi.

Per il suo sviluppo, Juba ha forse un sorprendente asso nella manica: potrebbe diventare una meta per gli amanti dei safari. Come ha ricordato il quotidiano spagnolo El Mundo (10 luglio), nel Sud Sudan si nasconde un Serengeti “segreto”. Esploratori della società zoologica di New York (Wildlife Conservation Society o WCS) e del National Geographic hanno scoperto nel 2006 una migrazione di massa di erbivori grande o persino maggiore a quella del famoso Parco Nazionale del Serengeti, in Tanzania. A questa migrazione partecipano fino ad 1,4 milioni di antilopi ed altri erbivori, fra cui il cobo dall’orecchio bianco, l’antilope alcina e l’orice beisa. Assieme con l’ovest dell’Etiopia, la zona del Sud Sudan dove si verifica la migrazione forma secondo El Mundo il maggior ecosistema di savana ancora intatto di tutta l’Africa.

Nel frattempo, la priorità assoluta è la creazione – quasi da zero – di un sistema sanitario e scolastico. Con una popolazione uguale a quella di Milano e R
oma messe insieme – osserva Il Corriere della Sera (9 luglio) – il nuovo Paese africano ha meno di 400 ragazze diplomate alla scuola superiore. Ad aiutare in questa colossale sfida le autorità del Sud Sudan – un Paese dove un bambino su dieci continua a morire prima dei cinque anni e una donna su dieci muore durante o in seguito al parto – sono non solo le oltre 400 ONG attive sul suo territorio ma anche la Chiesa cattolica. Quest’anno, la diocesi di Torit intende ad esempio dedicare 9 milioni di dollari a progetti di sviluppo (La Croix, 1 aprile).

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ZENIT Staff

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