La pace, prima che traguardo, è un cammino in salita

L’Ordinario militare celebra le esequie di Gaetano Tuccillo

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ROMA, martedì, 5 luglio 2011 (ZENIT.org).- Celebrando questo martedì mattina il funerale del Caporal Maggiore Scelto Gaetano Tuccillo, ucciso sabato in Afghanistan, l’Ordinario militare per l’Italia, l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, ha ricordato che la pace  per la quale si impegnano le missioni italiane all’estero “prima che traguardo è cammino”, “e per giunta cammino in salita”.

In una gremita Basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, il presule ha ricordato che “l’amore è lotta e la persona non raggiunge la sua piena maturità se non quando fa scelte di fedeltà che valgono più della vita”.

Gaetano Tuccillo, ha ricordato, era un “uomo ricco di quella pace che illumina gli occhi e rapisce il cuore”, un “ragazzo tranquillo, discreto e sorridente” che “fa parte di quella lunga schiera di persone che partono perché vogliono proteggere la Patria e il bene comune”.

“Nella sua esperienza cristiana aveva compreso che l’amore vero è gratuito, perciò difficile”, ha sottolineato l’Ordinario militare.

“Amare chi ci ama è spontaneo e gratificante. L’amore contraccambiato nutre il cuore. Ma se è vero, deve diventare amore per i meno amabili”.

“Amare chi ci attrae per incanto di personalità, fascino, finezza”, infatti, è l’“amare dei ricchi”. Se il ricco può, in modo del tutto naturale, attirare la nostra attenzione, “il povero invece ci chiama e il suo richiamo possiede qualcosa di esigente”.

“Gaetano era convinto che l’uomo afghano esiste non come uno fra i tanti, ma in quanto uomo unico, eppure, in tutto simile a noi”, ha proseguito l’Arcivescovo Pelvi.

“Ci ha insegnato che è possibile accogliere il fratello come un dono”, ha aggiunto. “Non come un rivale o un nemico. Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del nostro egoismo: la sua carta d’identità. Si, perché accogliere significa avere la forza di non soffermarsi su quell’egoismo che spesso definiamo sicurezza”.

“Nelle mani di Gaetano che hanno spezzato e condiviso il pane, che hanno carezzato i bambini, che sono state trafitte, in queste mani è passato un amore così grande, da superare sofferenza e paura”.

Via della pace

La pace, obiettivo delle missioni italiane all’estero e quindi anche in Afghanistan, “prima che traguardo, è cammino. E per giunta, cammino in salita”, ha indicato l’Ordinario militare.

“Ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste”.

In questo contesto, l’Italia deve aiutarne il processo, rispondendo “alla propria vocazione di apertura agli altri”, soprattutto oggi, quando si corre il “rischio serio” “che ci si possa accontentare di ciò che abbiamo, considerandoci degli arrivati, chiudendoci in un isolamento egoistico di fronte alle novità che maturano”.

“L’Italia vuol fare la sua parte sostenendo altri popoli desiderosi di partecipare ai benefici dello sviluppo e conquistare spazi di libertà e democrazia”.

La professione militare, ha indicato l’Arcivescovo, “apre all’etica del dono sincero di sé, facendo comprendere che esistono anche i beni di gratuità, che nascono dal riconoscimento che siamo legati a ogni uomo e a tutto l’uomo”.

Di fronte a tragedie come quella della morte di Gaetano Tuccillo e al profondo dolore dei familiari, il pianto umano “non cade nel vuoto”, ha sottolineato.

“Le nostre lacrime, anche nascoste, furtive, quelle ingoiate o non piante, perché restano grido che lacera dentro, aride e amare, brucianti, sono raccolte dall’otre di Dio”.

“Dio custodisce tutto il pianto umano, quello dei singoli e quello di interi popoli e civiltà. Non al dolore mi arrendo, ma a Dio; a questa vicinanza che sembra una lontananza. Dentro di me sono un povero, abbandonato; è questa la resa al mistero di Dio. E qui tutto il segreto di una fiducia, di una speranza che non ha fine”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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