ROMA, venerdì, 1° luglio 2011 (ZENIT.org).- Una manovra con “troppe incognite sul futuro”. La scelta di rimandare ai prossimi due anni il grosso del risanamento dei conti lascia “perplesse e preoccupate” le Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), che hanno commentato così il decreto varato giovedì dal Consiglio dei ministri per ridurre notevolmente il debito dell’Italia, fino ad arrivare al deficit zero nel 2014.
“Molti annunci e troppi rinvii generano inevitabilmente confusione e inquietudine. Sia per quanto riguarda i tagli che le riforme”. Per il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, “la manovra non sembra dare al Paese le certezze di cui ha bisogno. Ci sono i tagli preoccupanti agli enti locali, che mettono definitivamente a repentaglio i già scarsi servizi sociali, oltre a pregiudicare lo stesso sviluppo del federalismo. Mentre la riduzione dei costi della politica appare poco più di una generica dichiarazione di intenti. Il tema dell’abolizione delle province non è neppure accennato. Ma il Paese ha bisogno di riforme almeno quanto ha bisogno di conti a posto”.
“C’è perplessità – continua Olivero – sulla capacità della manovra di rilanciare lo sviluppo. La liberalizzazione del collocamento è cosa buona. Il forfait fiscale per i giovani imprenditori è un buon segnale. Ma tutto ciò non appare sufficiente a far ripartire l’economia e l’occupazione, a sostenere i redditi delle famiglie”.
Quanto all’apertura dei negozi la domenica, per Olivero “va in direzione contraria rispetto a quanto chiedono le organizzazioni del lavoro e in particolare il mondo cattolico”. L’innalzamento dell’età pensionabile delle donne “è fatto senz’altro in maniera graduale, ma mancano norme compensative che vincolino i risparmi ottenuti all’investimento nelle politiche di sostegno all’occupazione femminile”.
Tra gli aspetti positivi, tuttavia, le Acli segnalano l’introduzione del prelievo del 20% sulle rendite da capitale, “una misura di equità fiscale chiesta da molti e da molto tempo”. “Peccato invece l’accantonamento, se dovesse essere confermato, della tassa sulle transazioni finanziarie inizialmente ipotizzata dal Governo”.
Bene anche il preannuncio della riforma del welfare. “Una riqualificazione e un riordino della spesa sociale sono senz’altro necessari – afferma Andre Olivero – , e chiediamo da subito un coinvolgimento dei soggetti che operano quotidianamente in questo settore. Ma alcune cose si possono fare a costo zero, altre no. Il mancato reintegro dei fondi per le politiche sociali rende difficile accostarsi a qualsiasi tavolo in maniera serena. Senza risorse messe in campo, una riforma del welfare appare difficilmente realistica”.
Infine la riforma fiscale. “E’ ancora presto per capire se andrà a ridistribuire le risorse o a premiare ancora una volta i redditi più alti. Quello che è certo è che ci era stata promessa in campagna elettorale, e poi ancora ad inizio legislatura, l’introduzione del quoziente familiare. Di quella promessa non c’è traccia alcuna. Manca totalmente qualsiasi riferimento ad un fisco a misura di famiglia. Il presidente del Consiglio dovrebbe spiegare agli italiani perché si è rimangiato la parola data agli elettori”.
Secondo Stefano Tassinari, incaricato del Terzo settore per le Acli, il Governo deve capire che “non è più tollerabile proseguire nella logica dei tagli alle politiche sociali”, perché “la situazione sta diventando insostenibile” e “le ricadute sociali ed economiche di queste scelte saranno pesantissime e alla fine controproducenti anche in termini di spesa pubblica”. Per questo le Acli, insieme al Forum del Terzo Settore e alla campagna “I diritti alzano la voce”, sono scese questo giovedì in piazza per chiedere di “rinnovare e rilanciare le politiche sociali”, “per un nuovo patto sociale per il futuro del Paese”.
“Noi siamo per un welfare moderno – spiega Tassinari – che concorre a ridurre disuguaglianze ed esclusione, ma questo è possibile solo se si riconosce nelle politiche sociali un investimento e non un costo. E invece si sono drasticamente ridotti, se non cancellati, tutti i fondi sociali, che riguardavano la non autosufficienza, i servizi sociali, le politiche per la famiglia e per i giovani, per l’integrazione degli immigrati, il servizio civile, i servizi per l’infanzia…. Questo significa avviare alla liquidazione il welfare italiano e cancellare anche tutti gli sforzi fatti per costruire sussidiarietà”.
“Non c’è risparmio nella logica dei tagli – conclude Tassinari –. Il vero risparmio per lo Stato consiste nell’investire in un welfare intelligente, che veda protagonisti enti locali e terzo settore. Ma questo è impossibile se il Governo non fa la sua parte e riduce i fondi destinati alle politiche sociali fino all’80%”.